La “crisi dei migranti” e la “lotta contro il terrore”, gonfiata a tal punto da diventare “guerra tra culture”, sono i temi politici dominanti dall'inizio del 2016, e non solo in Germania. Da una parte, si schierano i difensori della democratica società civile, dall'altra i sostenitori di una nazione forte. Ma sono davvero due posizioni inconciliabili?

 

La destra…

Le manifestazioni razziste indette al lunedì dai “Patriotischen Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes” (“Patrioti europei contro l'islamizzazione dell'occidente”, o Pegida) hanno raggiunto una considerevole ampiezza e i risultati del partito “Alternative für Deutschland” (Alternativa per la Germania, AfD) alle elezioni regionali si situano attualmente tra il 12% (Renania-Palatinato) e il 24% (Sassonia-Anhalt). I nazional-conservatori così come le cerchie neonaziste sono molto abili nel fomentare il timore di un “assalto di migranti” con relative derive sociali e culturali sulla società tedesca e nell’orientare parte della popolazione in senso razzista, agitando la paura del declino nazionale. L'assurdità di queste proiezioni xenofobe risulta ancor più evidente se si considera il fatto che, nella regione della Sassonia dove le manifestazioni e i tumulti a sfondo razzista sono più forti e diffusi, soltanto il 4% della popolazione è composto da migranti. Reali sono invece le sempre più difficili condizioni di vita e di lavoro della popolazione lavoratrice (contratti precari, indebitamento, disoccupazione e sue conseguenze, tagli allo “stato sociale”, ecc.) e la sempre più acuta diffidenza nei confronti dei politici al potere. Fra i “manifestanti del lunedì”, c’è chi crede ancora al richiamo “Il popolo siamo noi”, che viene dritto dritto dal 1989, cioè dalla fase finale della Deutsche Demokratische Republik (Repubblica democratica tedesca, DDR), quando le manifestazioni settimanali erano espressione della perdita di controllo da parte del governo del Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (il Partito “comunista” della Germania dell’Est, SED): anche allora, il processo di trasformazione, smantellamento e inserimento dell'economia della DDR nella Bundesrepublik Deutschland (Repubblica Federale Tedesca, BRD) fu accompagnato in parte da un rafforzamento del neofascismo e da pogrom razzisti. Ma le mobilitazioni di allora non produssero neanche lontanamente l’effetto che possiamo constatare oggi.

Alcuni studi sociologici relativi a quel periodo rivelano come più del 10% della popolazione della BRD nutrisse solidi ideali di estrema destra. Diversamente da quanto accadeva negli altri Stati europei vicini, queste vedute non trovarono però espressione duratura in nessun partito nella BRD (a differenza della Francia, per esempio, con il Front National, o dell'Austria, con il Freiheitliche Partei Österreichs: Partito della Libertà Austriaco, FPÖ). Concentrandosi sulla “crisi dei migranti”, l'AfD è riuscito a conquistarsi una forte presenza all’interno dello spettro dei partiti borghesi e a rivolgersi non solo a piccolo-borghesi reazionari, ma anche a lavoratori insoddisfatti. Secondo un'inchiesta statistica della Confederazione dei Sindacati Tedeschi (Deutscher Gewerkschaftsbund, DGB), i suoi membri hanno votato AfD in numero addirittura superiore alla media. Ma l'AfD abbraccia una politica che va contro il proletariato (per la riduzione delle prestazioni sociali ai bisognosi e contro il salario minimo) e che sprofonda in un autentico delirio nazionalista.

 

...e la politica del governo federale

D'altra parte, la politica del governo CDU/SPD cerca di incanalare l'afflusso dei migranti lungo vie controllate dallo stato e di evitare la deriva dell'UE. Con la sua breve “Politica dei confini aperti” dello scorso anno e il motto tanto citato “Ce la faremo”, la cancelliera Merkel è riuscita non solo a confondere e illudere borghesi di sinistra e migranti, ma anche a diventare il principale nemico immaginario di tutti i nazionalisti e razzisti. Le motivazioni della politica della Merkel sono più legate a sterili calcoli economici del capitale tedesco che a nobili ideali cristiano-umanistici. Il calo demografico obbliga già da tempo il capitale tedesco a cercare all’estero forza-lavoro qualificata. Secondo le associazioni degli industriali tedeschi, i tecnici e i lavoratori specializzati in fuga dagli orrori della guerra in Siria sarebbero una compiacente forza-lavoro a disposizione del mercato del lavoro nazionale; al tempo stesso, la Confindustria tedesca ha chiesto subito di annullare il nuovo salario minimo di 8,50 euro per i migranti. L'interesse del capitale tedesco per una più ampia regolamentazione dell’afflusso dei migranti è dunque conforme ai suoi interessi economici.

Ideare “paesi d'origine sicuri” e distinguere tra “profughi di guerra” e “migranti economici” è d'aiuto. Di certo, le idee tedesche sulla regolamentazione dell'afflusso dei migranti urtano con gli interessi divergenti di altri Stati europei: in particolare, quelli dell'est Europa, economicamente più deboli e afflitti da alti tassi di disoccupazione e bassi salari, si oppongono a una forte immigrazione. E anche nella politica del governo tedesco, visti gli immigrati già presenti, aumentano le voci che richiedono “un tetto massimo” ai richiedenti asilo, in quanto altrimenti non sarebbe più possibile un’“integrazione”. Ma, se il rigurgito nazionalista dovesse condurre all'eliminazione dei confini aperti all'interno della UE, a rimetterci sarebbe proprio il capitale tedesco: non sarebbero solo le imprese di spedizione tedesche, il tallone d'Achille dello snellimento della produzione senza magazzinaggio, a veder minacciata la propria situazione economica, in caso di ripristino dei controlli generali alle frontiere! Davanti al pericolo di perdere la propria egemonia economica e politica nella UE, la “cultura del benvenuto” propagandata dal governo scivola sempre più sullo sfondo, mentre passa in primo piano la proposta di arginare l'afflusso dei migranti, se occorre anche con l'aiuto della NATO: per poter mantenere aperti i confini interni, bisogna rafforzare la chiusura di quelli esterni! Il lavoro sporco (e sanguinoso) viene poi delegato: così, si punta su un rafforzamento della cooperazione con la Turchia, che pratica una variante particolarmente brutale di “governo democratico”, con l’esplicito terrorismo scatenato contro parte della sua stessa popolazione.

 

Lo stato borghese...

Nonostante la retorica, le differenze principali tra CDU, SPD, Pegida, ecc. sono in realtà poca cosa, limitandosi alle strategie da adottare oggi per privilegiare gli “interessi tedeschi” e ottenere posti di rilievo all'interno dell'apparato statale; ma, per ciò che riguarda la questione centrale (“Quali sono gli interessi tedeschi?”), sono tutti d'accordo, tutti difendono i presupposti dello status quo sociale capitalista della Repubblica federale.

Non a caso, tra i fondatori dell'AfD ci fu anche il liberista ex-presidente della Confederazione delle Industrie Tedesche, Hans-Olaf Henkel, che abbandonò l’organizzazione solo dopo la sconfitta nella lotta per il potere contro i “nazional-conservatori”. Dato il suo passato fascista, la Germania, in quanto leader dell'export e potenza egemonica in Europa, ha bisogno, per condurre la propria politica imperialista, dell'immagine democratica del “cosmopolitismo”: per questa ragione, i roghi degli alloggi per i rifugiati e i deliri neo-nazisti sono solo di disturbo, sebbene poi, per il capitale tedesco, siano di gran lunga da preferire ai disordini sociali, agli scioperi operai, alle lotte proletarie. Quest’ambivalenza si coglie non solo nel modo incoerente con cui la polizia agisce nei confronti dei neo-nazisti: il coinvolgimento, ormai ampiamente provato, dell'Ufficio Federale per la Tutela della Costituzione nella serie di omicidi commessi dal gruppo terrorista Nationalsozialistischer Untergrund (“Clandestinità Nazionalsocialista”, NSU), ancor oggi sotto processo alla corte di Monaco, dimostra come lo Stato stesso si nasconda in fondo a luridi acquitrini. La creazione di strutture extralegali ha una lunga tradizione, fin dagli apparati di polizia e dai servizi segreti fondati dai vecchi nazisti. Il neonazismo organizzato serve allo stato borghese-democratico non solo come riserva ausiliaria per la repressione sanguinosa di proteste proletarie, ma anche come strumento di terrore, mirato all'intimidazione di qualunque eventuale opposizione antagonista.

Con la loro crescente capacità di mobilitazione, i neo-nazisti servono allo Stato anche come parafulmine, in quanto deviano l'insoddisfazione sociale, distogliendola dalla lotta contro il capitalismo. Le mobilitazioni razziste e antisemite fanno leva sui meschini riflessi condizionati di “chi ci rimette” nella società della competizione e della concorrenza e servono così a far argine alle lotte dei precari e dei lavoratori per i loro interessi reali e al mobilitarsi della classe lavoratrice in quanto classe antagonista. Ma il neonazismo è utile allo Stato del capitale soprattutto come strumento ideologico per ravvivare la facciata democratica. L’ingigantirsi degli apparati poliziesco-repressivi e la riduzione delle libertà democratiche vengono infatti giustificati come misure necessarie a una “democrazia agguerrita” contro… l'estremismo di destra.

Lo Stato borghese è protettore e amministratore degli interessi del capitale. A questo scopo, si serve sia dei metodi del compromesso democratico (in base alle necessità capitalistiche) sia di quelli del terrore (contro le tendenze antagoniste). Il grado di terrore dipende dalla forza dell'antagonismo, e ciò comprende i disordini sociali che si preparano e la lotta di classe che può riaccendersi in futuro. Tanto il riarmo dello Stato nel quadro della “democrazia blindata” quanto la mobilitazione fascista servono a dare legittimità ad una forma costituzionale autoritaria che voglia arrestare lo sviluppo di posizioni anticapitaliste.

 

e la sua sinistra

La vittoria elettorale dei partiti nazionalisti, le mobilitazioni razziste e il rafforzarsi di organizzazioni fasciste in giro per l'Europa sono fatti inquietanti che turbano molti di quelli che si considerano “di sinistra”. La pratica assistenza ai migranti e la discussione politica sull'antifascismo fanno “tendenza”. Per “evitare il peggio” si progettano “coalizioni di tutti i sinceri democratici” e si accetta la “difesa dello Stato borghese-democratico”. Anche le presunte “teste critiche” vanno nel panico di fronte agli sviluppi di queste situazioni. Addirittura “banali verità di sinistra” come quella che “chi non vuole parlare di capitalismo, però, dovrebbe anche tacere sul fascismo” sono per costoro semmai ancora degne di seminari universitari. La regressione della società borghese non si arresta nemmeno davanti alla sua “sinistra”. Il carattere meramente parolaio di questa “sinistra” emerge anche di fronte alla “crisi dei migranti”: essa riempie il vuoto umanitario lasciato dalla società borghese, invece di mettere in dubbio quest'ultima. La “crisi dei migranti” è, quindi, parte della crisi generale del sistema capitalista.

Sotto il peso di condizioni di sfruttamento sempre più pesanti, viene imposta, attraverso una politica sempre più aggressiva degli stati imperialisti, la ricerca del profitto. Con i metodi imperialisti della diplomazia e della guerra, gli Stati capitalisti più deboli sono ricattati, messi sotto tutela o totalmente frantumati. Il capitalismo distrugge le basi vitali economiche e sociali di milioni di persone. Dalle zone più fortemente colpite da questo sviluppo, si è generato un movimento di fuga in massa: la sua meta è la “sicura” ed “economicamente stabile” Europa centrale. Accettare o lamentare il movimento dei profughi non ha senso tanto quanto accettare o lamentare la crisi capitalista. Il capitalismo costringe la maggioranza delle popolazioni alla miseria e i “dannati di questa terra” cercano la loro strada per (soprav)vivere. L'unica prospettiva è quella del superamento di questo sistema di sfruttamento assassino.

Con lo spauracchio del fascismo, la sinistra borghese contribuisce invece a confermare la lealtà della democrazia verso il sistema capitalista. Ciò non riguarda soltanto la parte dichiaratamente democratica della sinistra, che punta su procedimenti statali (ad esempio, procedure di messa fuori legge del NPD) e sulla creazione di un “fronte popolare antifascista”. Anche un'ipotetica politica antifascista più radicale sgretola l'apparente antitesi tra fascismo e democrazia.

Assurda è l'idea di “addomesticare” lo Stato capitalista con manovre democratiche, come vorrebbe fare l'antifascismo pensato come leva tattica grazie alla quale si possa incidere meglio sui presupposti per la soppressione del capitalismo. Come può un movimento rivoluzionario che non ha ancora la forza sufficiente per procedere alla soppressione del dominio borghese imporre a esso i metodi del suo dominio? Quando il proletariato avrà la forza necessaria, allora non ci sarà più bisogno di porsi questa domanda!

Se dai “difensori di sinistra della democrazia” sono ancora riprodotti modelli di pensiero ideologico che promuovono anche il fascismo, ciò dimostra soltanto che il fascismo non può essere sconfitto con la democrazia. Diventa ancora più chiara, in queste piroette politiche della sinistra borghese, l'affinità ideologica tra democrazia e fascismo, basati entrambi sull'ordinamento sociale capitalistico e sui suoi elementi costitutivi (proprietà privata e produzione di merce). Mentre il presidente dell'SPD, Sigmar Gabriel, ha di recente insultato i manifestanti razzisti dei Pegida di Dresda definendoli “ciurmaglia”, da statista ha preteso, davanti al successo elettorale della destra, un “nuovo progetto solidale per il nostro proprio popolo”, affinché i suoi bisogni, data la crisi dei migranti, “non continuino a essere calpestati”. Gabriel si riferisce qui alla popolazione tedesca, ma Sarah Wagenknecht, del partito di sinistra Die Linke, scrive un libro intero in cui propugna la rinascita dello stato nazionale per salvare la “democrazia” dal “capitalismo globale”: “Democrazia e stato sociale si conquistano ragionevolmente nei limiti dei singoli stati nazionali […] Esiste dunque un'istituzione in cui nel prossimo futuro la vera democrazia potrà esistere e dobbiamo adoperarci per la sua ri-democratizzazione: lo Stato storicamente costituitosi con i suoi diversi livelli” (Sarah Wagenknecht, Reichtum ohne Gier, cioè Ricchezza senza avidità!).

Concentrarsi su un popolo definito in termini nazionali, negando al tempo stesso l'antagonismo di classe, non è una trovata dell'ideologia fascista! La nazione è stata storicamente il principale ambito di riferimento politico e ideologico della borghesia per l'imposizione della produzione interna di merci e allo stesso tempo la forma della sua lotta sul mercato mondiale. La creazione ideologica di una comunità comporta sempre anche l'esclusione di una determinata parte (ad esempio, minoranze nazionali). Il fascismo storico non era nient’altro che l’esecutore radicale di questa politica, in una situazione di crisi sempre più grave del capitalismo!

 

La ripresa della lotta di classe è l'unica soluzione

Fin quando le distruttive condizioni capitalistiche verranno viste come “normali” non ci sarà altra possibilità se non la fuga individuale o l'apparente benefica subordinazione civica a Stati e capi forti. Si riproducono e aggravano i rapporti di concorrenza interiorizzati del sistema: “il più forte si fa strada”, non solo nelle piccole città tedesche di impronta razzista, ma anche lungo le rotte dei migranti. Come tra i cittadini tedeschi, ovviamente anche tra i migranti esistono idee e atteggiamenti reazionari, chauvinisti e sessisti, che bisogna combattere. La comune condizione sociale di salariati, a prescindere da sesso e nazione, è il presupposto di una lotta comune da cui possa nascere solidarietà e collettività. Qualsiasi linea divisoria, sia essa su base religiosa o nazionalista, si dovrà quindi combattere. La nozione di “rifiuto del capitalismo” in tutte le sue sfaccettature politiche è il presupposto necessario affinché la lotta abbia successo. La riduzione dei proletari a individui, a cittadini, può avere fine solo con l'azione di classe del proletariato. Lo sviluppo del capitalismo non fa che costringere sempre più i lavoratori alla lotta per l'esistenza, che può avere successo solo rompendo con il compromesso di classe dei sindacati e con l'integrazione democratica, così come con la politica dell'unità nazionale. A questo lavora il Partito Comunista Internazionale.

 

Partito comunista internazionale

                                              (il programma comunista)

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