Ancora una volta si grida alla vittoria, e ancora una volta si assiste a una sconfitta: il teatro è sempre lo stesso, le maschere anche. Ma andiamo con ordine.

Appena prima del periodo festivo, come dono di Natale, gli operai della Saeco di Gaggio Montano (provincia di Bologna) ricevono la notizia che l’azienda (specializzata in macchine per il caffè) deve ridurre i posti di lavoro. Nei fatti, si chiede il licenziamento di metà delle maestranze (impiegati esclusi), adombrando perfino la chiusura dello stabilimento. Gli operai entrano subito in agitazione e presidiano la fabbrica per più di due mesi, allo scopo di non fare uscire le merci. Al termine di quest’agitazione, i padroni ottengono comunque di tagliare gli effettivi di 200 unità e i sindacati di regime presentano come una vittoria l'ennesimo incentivo all’“uscita volontaria”.

Nel corso dei due mesi, abbiamo visto le solite maschere circondare e isolare gli operai, trascinandoli in inutili passeggiate davanti ai palazzi delle istituzioni: festeggiati come migliore bestia sacrificale all'assise generale bolognese della CGIL (preti e sindaci compresi), attorniati da preoccupati commercianti e velatamente minacciati dalle forze dell'ordine.

Storia già vista? Eh, già! Un solo esempio. Un anno fa, una richiesta simile cadde sulla testa degli operai della Titan (macchine agricole, nel Bolognese e Modenese) e il film visto quella volta fu molto simile a quello odierno: l'azienda ottenne quello che voleva e la mobilitazione degli operai fu degradata, fino a far loro accettare come una “vittoria” quattro soldi di incentivo per andarsene.

Le ragioni di quest’ennesima “vittoria”, dal sapore troppo amaro della sconfitta, sono molteplici e noi possiamo evidenziarne solo alcune fra quelle più significative.

Prima di tutto, l'isolamento. In questi anni, le lotte nell'area bolognese, e più in generale emiliana, sono state molte. Tutte però hanno conosciuto un estremo isolamento. A parte la solita parata di delegati ufficiali nei primi giorni, l'azione del sindacato ha avuto come scopo principale quello di isolare ogni singola vertenza dal resto degli operai del territorio. L'operazione ha avuto successo e in questo le responsabilità degli stessi lavoratori sono notevoli: solo quando un processo di autentica solidarietà di classe prenderà piede, generalizzandosi sempre più nel vivo delle battaglie, potremo dire che l'aria sta cambiando.

E, dunque, la combattività. In questi anni, un solo gruppo di lavoratori si è battuto in modo determinato e adeguato all'attacco portato dal padronato: parliamo dei lavoratori della logistica. Non sono questi il luogo e il momento per approfondire le ragioni di questa combattività. Quello che ci interessa sottolineare è il metodo che le lotte dei facchini applicano. La loro consapevolezza e compattezza, e quindi la loro forza, è ben superiore a quella degli altri settori e ciò ha permesso loro di strappare aumenti salariali e di ottenere anche “miglioramenti” sul fronte dell'ambiente di lavoro, spesso rispedendo al mittente le richieste padronali. Nelle lotte dei facchini, le maschere sono state in parte isolate e poste nella condizione di non nuocere, e le organizzazioni di base che li hanno sostenuti e li sostengono si sono mostrate assai più determinate: lavoratori e organizzazioni di base hanno saputo riconoscere da che parte stanno loro e da che parte stanno tutti gli altri... appunto, le maschere. Purtroppo, questo non si può dire degli altri settori: almeno non al livello raggiunto dai proletari della logistica e dalla loro attuale direzione organizzata. L'impressione (che probabilmente non si allontana molto dalla realtà) è che la gran massa dei lavoratori sia sciaguratamente ancora legata all'illusione che la crisi passerà e tutto… tornerà come prima (ma quale prima?): il problema, oggi, è innanzitutto far incontrare queste battagliere esperienze con il resto della classe.

I mezzi della lotta. Quindi, se non si risolvono, nel prosieguo, i primi due aspetti, si parlerà di aria fritta. Se invece la classe riuscirà infine a spezzare le catene dell'isolamento e a mettere in campo una caparbia e potente combattività, allora potremo parlare delle forme più idonee al raggiungimento degli obiettivi immediati e di medio termine. In primo luogo, non si devono accettare piani di compromesso con le controparti. Istituzioni, sindaci, preti, appartenenti ad altre classi, giornalisti, forze dell'ordine: è da tutte queste figure che bisogna mantenere la più rigorosa distanza, perché sono tutte più o meno consapevolmente attivi interpreti (primari o secondari, non cambia nulla) delle necessità del capitale: dunque dello sfruttamento, e soprattutto della repressione. Nel corso della lotta, la contrattazione è l’elemento basilare del “compromesso”, in quanto relazione tra la forza messa in campo dai lavoratori e la controparte. Le altre figure svolgono un ruolo di supporto al fronte padronale, abbassando il livello di tensione della combattività e quindi portando alla sconfitta. Il solo strumento che si deve mettere in campo è l’organizzazione (si chiami “sindacato di base” od “organismo territoriale” poco importa), in grado di svolgere il proprio ruolo di guida (e non di mediatore) per gli obiettivi prefissati e con i metodi dettati dalle necessità dello scontro.

In secondo luogo, bisogna uscire dalla pratica della sola occupazione della fabbrica. Presidiare il sito produttivo può essere un obiettivo importante, in date situazioni: ma fondamentale è colpire gli interessi economici del padronato. Dunque, bisogna propagandare e possibilmente estendere il conflitto sul territorio, con l'esplicita richiesta di solidarietà di classe; bisogna trasformare ogni manifestazione davanti alle sedi istituzionali, priva di contenuti così come la conducono i sindacati ufficiali, in momenti di vera lotta, con l’occupazione degli uffici e il blocco delle strade; bisogna, in altre parole, uscire dall'isolamento della fabbrica e riversarsi nella città e sul territorio.

Infine, soprattutto là dove siano presenti in forze i sindacati ufficiali, bisogna lavorare al controllo minuzioso di ogni atto che essi compiono ed estrometterli decisamente da ogni funzione nel momento in cui si percepisca che non solo stanno giocando al ribasso, ma stanno tentando di smontare gli obiettivi che i lavoratori si erano proposti. Da quel momento, dal punto di vista della conduzione della lotta tali funzionari (e sindacati) vanno considerati parte del problema e non la sua soluzione. In tutti i casi, si deve comunque tornare in assemblea (di fabbrica o territoriale) con pieni poteri deliberativi e rappresentativi.

Tornando ai fatti del giorno, non possiamo che esortare gli operai della Saeco di Gaggio Montano a non illudersi che l'accordo sia una vittoria. Al contrario, esso è l'inizio della fine. Non dobbiamo dirvi noi quante volte avete già assistito a quanto vi sta accadendo. I padroni hanno tempo... e i loro alleati sono tanti. Accade così che oggi vi spezzano in due tronconi e domani ancora in altri due: e forse fra un anno, forse fra meno... sarà ancor peggio. Nel frattempo, vi snerveranno con una continua cassa integrazione. La forza che oggi avete espresso (e che i vostri rappresentanti hanno saputo solo vanificare), domani, quando sarete la metà, non potrete più esprimerla. E, per chi esce (anche con 75.000 euro!), si prospetta solo un futuro di precarietà... forse, per alcuni di voi, proprio nello stabilimento di Gaggio Montano o, per molti altri, con la scelta di immigrare a valle o chissà dove.

Sappiamo che non è facile, ma l'accordo va bocciato!

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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