Da centocinquant'anni indaffarata a dimostrare l'insostenibilità della dottrina marxista, la borghesia ha indicato nella teoria della miseria crescente della massa dei proletari una delle... più stolte formulazioni comuniste, cieca di fronte sia allo sviluppo delle organizzazioni di tutela degli interessi dei lavoratori sia all'aumento del... “benessere generale”: “Oggi non è più come una volta... Oggi l'operaio ha la televisione, l'automobile, il cellulare... Oggi il proletario non immiserisce... la società gli offre sempre maggiori possibilità di benessere... Basta allargare la sfera dei diritti attraverso una sana dinamica parlamentare e democratica...”. Lo sentiamo dire da politici e sindacalisti: possono cambiare le posizioni delle parole, ma il prodotto non cambia.

Poi, arrivano il sociologo dell'ultima ora o il recente rapporto “Gradi disuguaglianze crescono” della ong inglese Oxfam e, dati alla mano, dicono che “sì, questo è pur sempre il migliore dei mondi possibili, però... però... le disuguaglianze crescono... nel 2016 più della metà della ricchezza globale sarà in mano all'1 per cento della popolazione del mondo... ecc. ecc.”. Ricchi e poveri, dunque. Ma allora come stanno le cose?

Il banale argomento che la disponibilità di prodotti da parte degli operai è cresciuta (il che, per borghesi e piccolo-borghesi, vuol dire “miglioramento delle condizioni di esistenza”) non ha nulla a che vedere con la legge della miseria crescente come venne formulata già nel 1847-48, in un momento in cui la lotta di classe e l'organizzazione di difesa economica erano in pieno sviluppo. La ripresentiamo con le stesse parole con cui apparve in Lavoro salariato e capitale, non essendo intervenuto, per noi comunisti, alcun “fatto nuovo” a invalidarle:

“Se cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati, in una parola: il dominio del capitale si estende su una più grande massa di individui”. Dunque, i piccoli produttori cadono nel numero dei nullatenenti, che cresce sempre più. Andiamo avanti: “E supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo, cresce la domanda di lavoro, sale dunque il prezzo del lavoro, il salario”. E l'operaio... compra il televisore, l'automobile, il cellulare... “Un aumento sensibile del salario presuppone un rapido aumento del capitale produttivo. Il rapido accrescersi del capitale produttivo provoca un'altrettanto rapida crescita della ricchezza, del lusso, dei bisogni sociali e dei godimenti sociali. Sebbene dunque i godimenti del lavoratore siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è diminuita in confronto al grado di sviluppo della società in generale...”. Ossia: il proletario dispone di una quantità sempre minore del prodotto sociale totale. “I nostri bisogni  e godimenti scaturiscono dalla società; noi perciò li misuriamo in base alla società, non in base all'oggetto della loro soddisfazione. Poiché sono di natura sociale, essi sono di natura relativa”. E ancora, e il corsivo è di Marx: “Quale è ora la legge generale che determina l'aumento e la diminuzione del salario e del profitto nel loro rapporto reciproco? Essi stanno in rapporto inverso. La quota del capitale, il profitto, sale nello stesso rapporto in cui cade la quota del lavoro, il salario, e viceversa. Il profitto sale nella misura in cui il salario cade, esso cade nella misura in cui il salario sale”.

Continuiamo: “Un rapido aumento del capitale è parimenti un rapido aumento del profitto. Il profitto può crescere rapidamente solo se il prezzo del lavoro, il salario relativo, diminuisce con la stessa rapidità. Il salario relativo può diminuire, anche se il salario reale sale insieme al salario nominale, al valore in denaro del lavoro; ma non nello stesso rapporto in cui sale il profitto. Se, per esempio, il salario cresce, in un buon periodo d'affari, del 5%, mentre il profitto aumenta del 30%, il salario relativo, proporzionale, non è aumentato, bensì diminuito. Se dunque, con la rapida crescita del capitale, aumentano le entrate del lavoratore, aumenta nello stesso tempo l'abisso sociale che separa i lavoratori dai capitalisti; si accresce nello stesso tempo la potenza del capitale sul lavoro, la dipendenza del lavoro dal capitale”.

Questa è la miseria crescente, che è, insieme, pena di lavoro, nel senso più ampio. Non si tratta allora di negare l'aumento di capacità d'acquisto dei proletari (che si realizza quasi sempre in una maggiore disponibilità di prodotti industriali), ma di mostrare come quanto più essi ricevono tanto maggiore è lo sfruttamento cui sono sottoposti.

Ancora Marx: “Se il capitale aumenta rapidamente, per quanto possa crescere il salario del lavoro il profitto del capitale cresce in modo sproporzionatamente più rapido. La condizione materiale del lavoratore è migliorata, ma a prezzo della sua condizione sociale. L'abisso sociale che lo separa dai capitalisti si è approfondito”.

E' questo il punto, e prescindiamo pure dalla considerazione generale che, calcolate le grandi crisi, le catastrofi economiche, le guerre, i disastri “naturali” e la progressiva distruzione dell’ambiente con le sue ricadute negative sulle condizioni di vita, ecc., calcolato tutto ciò, lo stesso aumento assoluto del “tenore di vita” si riduce a una ben squallida beffa! L'“idealismo” borghese riduce l'esistenza umana – nonostante tutte le professioni di fede etiche e il buonismo sparso a piene mani – alla sua nuda e cruda espressione monetaria; il nostro materialismo la riporta al suo contenuto sociale, anzi umano: la giudica impoverita nella stessa misura di cui s'impoverisce questo contenuto.

Per finire, diamo ancora la parola a Marx: “Quanto più rapidamente la classe operaia accresce e ingrossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estranea e che la domina, tanto più favorevoli sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare ad un nuovo accrescimento della ricchezza borghese, ad un aumento del potere del capitale, e di forgiare essa stessa le catene dorate con cui la borghesia se la trascina dietro”.

Su questa critica si fonda, per noi comunisti e per tutta la durata del capitalismo, la realtà dei rapporti fra lavoro e capitale, e quindi delle condizioni di esistenza degli operai. E su questo tema torneremo ancora.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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