L’articolo che segue fu scritto poco meno di un mese prima che il suo autore, da poco tornato dal IV Congresso dell’Internazionale comunista tenutosi a Mosca dal 5 novembre al 5 dicembre 1922, in cui aveva vigorosamente controbattuto le prime avvisaglie di cedimenti teorici e tattici dell’Internazionale, dovesse entrare per quasi tutto l’anno nelle galere fasciste. Riteniamo che possa essere di valido orientamento per compagni e lettori, nel quadro del lavoro che il Partito sta svolgendo su queste pagine sull’importante problema del disfattismo rivoluzionario. Può essere utile anche ricordare che i medesimi argomenti qui trattati furono ripresi in una serie di articoli pubblicati come “Fili del tempo”, in particolare nel corso del 1950, su quello che era allora il nostro organo di stampa, “Battaglia Comunista”, tra i quali “Guerra e rivoluzione” (n.10/1950), “Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria” (n.11/1950), “La guerra rivoluzionaria proletaria” (n.12/1950), “Stato proletario e guerra” (n.14/ 1950).

In quest’articolo, la dura polemica è indirizzata verso quegli ipocriti (non solo francesi) che osavano presentarsi come difensori dell’ortodossia marxista contro le peraltro ineccepibili Tesi sulla tattica presentate da Bucharin nel corso del Congresso e appoggiate dalla Delegazione di sinistra italiana (anche se poi si dovrà attendere almeno sei anni prima che l’Internazionale, ormai preda del delirio nazionalistico russo-staliniano, ne adottasse una lontana parvenza).

Che dire, oggi, dell’orientamento delle masse nei confronti di questo problema? quelle masse imbevute da decenni e decenni di martellamento ideologico sulla difesa della propria patria e, via via discendendo, della propria regione, della propria provincia, del proprio paesello, del proprio “territorio”, e infine, più importante di tutti, della propria azienda, del proprio luogo di sfruttamento e di tormento? L’abbandono di ogni prospettiva autonoma di lotta e di guerra di classe, la convinzione che l’alleanza col proprio nemico sia l’unico modo per salvare la pelle, questi sono gli elementi granitici su cui si basa l’ideologia borghese, di conservazione sociale, di perpetuazione dello sfruttamento bestiale del proletariato di ogni paese. La “difesa nazionale” – i cui vigliacchi sostenitori, magari con verniciature “di sinistra”, rispolverano a ogni piè sospinto l’armamentario di sempre – è l’esatta antitesi dell’internazionalismo proletario. E, se in passato i comunisti appoggiarono Kemal Pascià (Ataturk) nella sua lotta di “liberazione nazionale” in Turchia nel 1920, era pur chiaro a essi, come insegnò la storia delle catastrofi rivoluzionarie in Ungheria nel 1919 o, peggio, in Cina nel 1926-27, che un tale “appoggio” avrebbe significato per tutti loro la galera o la fucilazione quando quel “nodo nazionale” fosse stato risolto dalla borghesia più o meno rivoluzionaria, senza che il proletariato riuscisse a prendere la testa del movimento, scavalcandola e neutralizzandola. L’esperienza drammatica di quegli anni sta a dimostrare che, fintanto che la sifilide patriottica continuerà a creare nel proletariato mondiale la sottomissione alle bandiere nazionali di qualsiasi tinta e colore, sarà illusoria ogni lotta per l’abbattimento della dittatura borghese.

Comunismo e guerra

Le decisioni del IV Congresso dell’Internazionale Comunista sulla questione francese hanno sollevato la viva opposizione di quegli elementi di destra del partito comunista di Francia presi di mira dalle misure deliberate dal Congresso. Questi elementi, detti oggi in Francia i “résistants” per affinità coi “dissidants” del Congresso di Tours che formano il Partito Socialista, hanno aperto una campagna contro l’Internazionale sulla quale specula ampiamente tutta la stampa anticomunista francese.

L’Humanité ha riprodotto il manifesto dei résistants intercalando ad esso una esauriente risposta polemica che confuta le molte asserzioni tendenziose sulla portata e il significato delle decisioni del IV Congresso. Il dibattito specie nel momento politico tanto delicato che attraversiamo presenta un interesse grandissimo. Intendiamo di lumeggiare un punto di esso che ci pare particolarmente degno di rilievo. Col sistema comune a tutti i denigratori del comunismo e dell’Internazionale di Mosca, i résistants accennano, come se facessero rivelazioni su di un retroscena misterioso, al programma di Bucharin, la cui accettazione è stata rinviata al V Congresso, e al discorso di Bucharin stesso pronunciato nel presentarlo, per la parte che concerne l’attitudine dei Partiti comunisti in caso di guerra. Gli opportunisti francesi vogliono far credere che su questo delicato argomento in quel programma vi siano delle direttive nuove e imprevedibili, sulle quali si è sospesa la discussione, salvo, come essi affermano a vanvera, demandare all’Esecutivo allargato la loro adozione anche prima del IV Congresso. Queste direttive consisterebbero nella possibilità che i comunisti appoggino in caso di guerra uno Stato capitalistico…

Il discorso di Bucharin non è affatto un documento misterioso e la stampa comunista lo ha già pubblicato, come lo pubblicherà ulteriormente anche nel testo stenografico. Bucharin non era incaricato né pretendeva di esporre cose nuove e proposte di modifica di vedute e di indirizzi politici. Si trattava, nel programma, di codificare in modo esatto le basi ben note del pensiero comunista quali sono fornite dalla nostra dottrina e dalle risoluzioni del Congresso internazionale, si trattava cioè di ordinare e raccogliere in un documento politico un materiale già elaborato nella coscienza e nell’esperienza del movimento comunista mondiale. Le affermazioni di Bucharin hanno potuto stupire solo gente che, come i destro-centristi francesi, deve ancora capire che cosa è il comunismo e che lo andrà comprendendo nella misura in cui sarà convinta di anticomunismo inguaribile. Ma quello che è addirittura umoristico è che i signori “resistenti” mostrano di scandalizzarsi delle eresie di Bucharin affermando che esse significano, colla dichiarazione che la quistione della difesa nazionale è una quistione di opportunità, la “negazione di uno dei principi fondamentali dell’I. C.”.

Indipendentemente da quello che è il vero pensiero di Bucharin e dei comunisti, tutto ciò fa ridere, perché si sa benissimo come quegli elementi zoppicanti del partito francese, che le decisioni, tutt’altro che troppo severe per essi, del recente Congresso di Mosca hanno messo in subbuglio, sono quegli stessi che puzzano a mille miglia del socialsciovinismo del 1914. Ancora una volta gli opportunisti cercano di coprire il loro gioco atteggiandosi a difensori dei puri principi. In Italia ne sappiamo qualche cosa di questo metodo.

Vediamo un po’ di stabilire quello che Bucharin ha affermato o, molto più semplicemente, quello che un comunista deve pensare in materia di guerra e difesa nazionale, attenendoci al lato più ovvio di un simile problema.

Nel 1914 quei cari amici e parenti dei resistenti di oggi, che ovunque in nome del socialismo inneggiarono all’unione sacra e alla guerra, fabbricarono un principio, che pretendevano inserire nel pensiero socialista: quello della difesa nazionale. Quando la nazione a cui si appartiene è minacciata, aggredita, invasa dagli eserciti stranieri, i proletari socialisti, messa da parte la lotta di classe e i propostiti rivoluzionari di rovesciare il regime, devono dare allo Stato anche capitalistico il loro concorso per la difesa del territorio nazionale.

Fin da allora i socialisti sul serio, comunisti sulla linea che va da Marx a Lenin, dalla dottrina del Manifesto dei Comunisti a quella di Mosca, fecero la critica di questo preteso principio, che non era che la medesima maschera di un tradimento, e che fu propugnato da quanti, da allora in poi, sono senz’altro rimasti nel campo dei nemici del proletariato. Non ripeteremo tutta questa critica il cui fondamento elementare consisteva nell’osservare che ogni popolo e ogni Stato avevano la possibilità e il diritto di considerarsi anche se non invasi, aggrediti, e, anche se non aggrediti, esposti alla minaccia dell’invasione dal fatto stesso dello scoppiare della guerra. Il principio della difesa nazionale veniva ad uccidere senz’altro ogni possibilità di azione del proletariato internazionale contro la guerra capitalistica, ed infatti fu con gli stessi argomenti invocato da una parte e dall’altra del fronte: e chi può negare che, come una rivolta dei soldati francesi o anche una forma meno spinta di sabotaggio del sovversivismo francese poteva condurre il nemico a Parigi, così poteva, per una analoga azione tentata in Germania un’ora dopo che la fatale dichiarazione di guerra era partita, verificarsi un successo degli eserciti dell’Intesa? Il principio della difesa nazionale è il principio della guerra tra i proletariati, e la sua applicazione uccide ogni possibilità di arrestare con un’azione della classe lavoratrice la minaccia di guerra, di provocare la guerra rivoluzionaria contro il capitalismo.

La posizione teoretica del socialismo marxista dinanzi a questo problema è dunque la negazione del principio della difesa nazionale, ossia la negazione del dovere e della necessità pregiudiziale in cui i lavoratori e i partiti della loro classe si troverebbero di aiutare la causa militare del loro paese.

La Internazionale Comunista è stata ed è sul terreno della negazione teorica e pratica di un tale principio e di tutto il ciarpame di retorica patriottica col quale lo si circonda dai rinnegati della lotta di classe. Questa posizione non è stata e non potrà mai essere abbandonata da Bucharin o da alcuno di noi, e non potrà che essere riconfermata in tutti i testi dell’Internazionale.

Adunque fin qui l’esame del problema ci fornisce una prima conclusione negativa della demolizione del sofisma della difesa nazionale. Ma per giungere alle indicazioni positive circa il compito dei partiti comunisti in caso di guerra non basta capovolgere formalmente i termini della negazione stabilita, per dire senz’altro: il compito dei lavoratori comunisti è la lotta contro il proprio Stato, quando questo è impegnato in una guerra. I resistenti francesi e i loro compari di altri paesi, probabilmente, hanno attribuito all’Internazionale quello che chiamano “uno dei suoi principi fondamentali” con questo metodo che può constatare errato chiunque abbia un minimo di buonsenso logico, anche se non sa le regole con le quali in matematica elementare si cavano dai teoremi i loro inversi e i loro contrari.

Scartiamo la “regola” tratta dal principio della difesa nazionale, ma con questo non siamo ancora arrivati alla regola dell’“antidifesa”. La soluzione positiva pratica del problema esige che si ricorra ad elementi più completi, e che si tenga conto dei rapporti delle forze storiche rappresentati nella situazione data dagli Stati in conflitto e dai partiti rivoluzionari proletari. Dinanzi alla grande guerra del ’14, i comunisti russi di oggi, e modestamente anche noi comunisti italiani di oggi, presero subito la posizione positiva completa: è una guerra imperialista, è il conflitto tra due gruppi di Stati capitalisti, e nessuno di essi merita la solidarietà del proletariato. Quindi la lotta contro i fautori rinnegati della difesa nazionale francese o tedesca, italiana o austriaca, è una lotta, condotta da Zimmerwald a Brest-Litowsk, per volgere la guerra degli Stati capitalisti nella guerra rivoluzionaria del proletariato. Quindi il disfattismo dei bolscevichi russi, impeccabile dal punto di vista teoretico, una volta spazzato via dal pensiero socialista il principio della difesa della patria ed anche quello (sua parodia) del “dovere di non sabotare la guerra”, è giustificato nella pratica dagli sviluppi reali che, dalla disfatta dell’esercito zarista, fecero uscire il trionfo della rivoluzione in Russia.

Negato il principio della “difesa nazionale”, il pensiero e il metodo rivoluzionario comunista vi contrappongono non il principio del disfattismo, ma quello dell’impiego delle forze reali politiche a determinare la guerra di classe e la rivoluzione proletaria. Il disfattismo dunque non è un principio ma un mezzo, uno dei mezzi, coi quali si può far svolgere rivoluzionariamente la situazione creata dalla guerra. Mezzo che può non essere sempre utilmente applicabile, poniamo per la poca forza del partito proletario del dato paese, o perché ve ne sia uno migliore.

Quando noi ci poniamo il problema dinanzi ad una possibile guerra nel 1923, cominciamo, come nel 1914, a spazzare via dalle nostre file chi voglia apportarvi il criterio della concordia nazionale e della difesa della patria (ed è per questo, signori resistenti francesi, che siamo felicissimi di esserci liberati di voi, oggi che… comincia a far caldo, e vanno anche in caldo le demi-vierges della politica, malgrado la verginità dei principi). Quindi guardiamo lo scenario del conflitto, e constatiamo che vi è qualche cosa di mutato. Tra i mezzi che non respingiamo per principio, come vi è il disfattismo e il sabotaggio della guerra, vi sono anche dei mezzi politici e storici atti sommamente al nostro fine e che si chiamano armi, eserciti e Stati. Nella situazione storica di oggi vi è uno Stato proletario, un esercito proletario. Ecco l’elemento fondamentale della nostra valutazione. Se noi ci troveremo in presenza del conflitto militare tra gli Stati, non potremo trascurare questa considerazione veramente “fondamentale”: come si schiera nel conflitto lo Stato russo?

Quindi, seguitando a negare il principio della difesa della patria, e chiamando alcuni partiti comunisti ad impiegare il mezzo del disfattismo senza esclusione di colpi, noi potremo benissimo indicare un’altra via ad altri partiti se lo Stato del loro paese si trovasse, poniamo, a fianco dello Stato proletario.

Si può escludere una tale possibilità storica? No, certamente. E si convinca, chi ha qualche dimestichezza col socialismo, che non esiste nemmeno alcun principio che escluda la eventualità di un simile cammino dei fatti storici, e la legittimità per i partiti proletari di accogliere quella azione che meglio può accelerarlo. La politica dello Stato proletario e della Internazionale rivoluzionaria si fonda sul principio di svolgere dalla situazione di crisi del mondo capitalistico la guerra e la vittoria rivoluzionaria di classe.

Il fatto stesso che oggi sono in presenza Stati borghesi e Stati proletari dà la possibilità che date fasi della lotta si presentino come una guerra degli Stati. In questo caso tutte le forze rivoluzionarie saranno dalla parte dello Stato proletario. E potrà darsi che un partito comunista, e il suo Stato borghese, che esso tende programmaticamente a rovesciare, si trovino sulla stessa linea di azione in una guerra a fianco dello Stato proletario: oggi, la Russia.

Non vogliamo qui svolgere il lato concreto del problema, ma solo sgombrare il campo da equivoci di ordine dottrinale su di esso, e chiarire che non si è dinanzi a rinunzie o a mutamenti di indirizzo, ma a conclusioni logiche che ognuno può trarre dai principi genuini del socialismo rivoluzionario. Nulla di misterioso e tenebroso si avvolge dunque nel discorso del compagno Bucharin, e non è certo dai resistenti francesi che egli può ricevere lezioni di fedeltà ai principi comunisti. La obiezione che i comunisti verrebbero a trovarsi in un piano di azione comune con lo Stato borghese non significa nulla. Il fatto, non impossibile, ma che sarebbe accompagnato da molte complicazioni e darebbe luogo in ogni caso al più instabile equilibrio nella politica interna, che uno Stato borghese sostenga la Russia in una guerra, e che il Partito comunista sostenga la stessa causa bellica e militare, non cancellerebbe l'antitesi tra quello Stato e il Partito rivoluzionario.

Il borghese, e peggio, Kemal Pascià ha potuto, con l'appoggio della Russia proletaria, e il plauso di noi comunisti italiani, fregare l'imperialismo inglese in Oriente. Ciò non toglie che i comunisti turchi siano tanto in rapporto di... collaborazione di classe con Kemal, che questi li fa imprigionare e giustiziare. E verrà un giorno in cui la nostra soddisfazione si completerà con l'apprendere che comunisti turchi avranno fregato Kemal.

L'Esercito rosso, pensiamo, non sarà una dimostrazione militare per salvarlo... positivamente il risultato non sarebbe certo accelerato se la nostra simpatia o la politica del partito turco tendessero a far vincere i greci e gli inglesi.

Non crediamo dunque che molti Stati borghesi siano pronti ad accettare come alleati i nostri valorosi compagni dell'Armata Rossa. Ma ci preme per ora stabilire il buon diritto teoretico di Bucharin di dire: siamo contro il balordo principio della difesa nazionale, ma affermiamo che lo stabilire la tattica dei partiti comunisti in caso di guerra è una questione di "opportunità". Il che, per chi non sia meno sciocco di un "resistente", significa che questo problema si risolve con gli elementi della situazione, fuori del principio della difesa come fuori di un principio inesistente e inimmaginabile di antidifesa.

In realtà i fautori della menzogna della difesa nazionale diventano in tempo di pace i fautori della non meno idiota menzogna del pacifismo di principio, della negazione quacchera e sterile della guerra e della violenza. Ma i principi comunisti sono ben altra cosa da questa robaccia.

Noi siamo per la guerra rivoluzionaria. Si emozionino pure i fessi, ma si può scrivere senza fare nessuno strappo alla nostra ortodossia marxista che noi, meritevoli già dell'epiteto di "caporettisti", se il governo italiano partisse in guerra contro gli Stati che avessero assalito la Russia... non faremmo nulla per impedirgli il successo. E guarderemo con fiducia allo svolgersi di una tale situazione, spinosa finché si vuole per i mille tentennanti dell'opportunismo (quelli stessi che temeranno di aiutare la Rivoluzione nella situazione inversa) del permesso dei quali la storia ha sempre fatto a meno, ma chiara per un partito pronto ad assolvere tutti i suoi doveri verso la causa rivoluzionaria.

Amadeo Bordiga

(da Il Lavoratore, 13 gennaio 1923)

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2014)

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