In una “Lettera” precedente, ricordavamo che la prospettiva economica è ben peggiore di quella presentata dalla stampa borghese. Nelle ultime settimane, nuovi dati oggettivi si sono aggiunti, a rendere ancor più cupo il presente, disegnando un futuro senza alternative. A poco a poco, la realtà della crisi capitalistica si mostra in tutta la sua crudezza: distruggendo vite proletarie, spazza via progetti, convinzioni e credenze, concezioni idealistiche. Insieme a tutto ciò, travolge anche (non tutto il male vien per nuocere!) le tattiche politiche di coloro che, per il solo fatto di tenere in tasca una “tessera di sinistra”, pensavano di potersi adeguare all’andamento del capitalismo – tattiche che traggono origine, sebbene lo nascondano dietro lo sventolio di bandiere rosse, dalle politiche di “conciliazione” proprie dello stalinismo e concretizzatesi nel “Patto della Moncloa” [1]; e che, sull’arco di decenni, sono state messe in pratica non dallo stalinismo vero e proprio, ma (crudele e ingrata è la vita!) da una socialdemocrazia disegnata nei laboratori nordamericani.

Ma lasciamo stare coloro che nel corso del tempo sostenevano che non esistevano le “condizioni oggettive” e, quando esse si sono poi presentate, scoprono che sono le loro strategie a non funzionare: ci sarà tempo di occuparci di costoro in futuro. Adesso, apparentemente all’improvviso, il paese si trova sull’orlo dell’abisso, paralizzato dalla paura. E non solo sull’orlo dell’abisso: nelle parole di un rappresentante del Partido Popular, “non siamo sull’orlo; ci siamo sospesi sopra, aggrappati a un ramo”. E questa paralisi deve aver colpito gravemente le organizzazioni sindacali che hanno convocato lo “sciopero generale” del 29 marzo scorso: le Comisiones Obreras (legate storicamente al PC stalinista) e la UGT (legato al PSOE, il partito socialista).

Prima di trattare la questione dello sciopero generale, è necessario ricordare un fatto molto più importante per noi proletari: la firma, alla fine di gennaio, degli “Accordi sulla Negoziazione Collettiva e Salariale”, firma che è passata sotto il silenzio dei media, grazie alla chiacchiera demagogica e ai ripetuti inni ai pregi e alle virtù del “dialogo sociale”. Felici di collaborare agli obiettivi di flessibilità, tagli salariali e aumento di produttività sull’arco di tre anni, questi autentici figuri di sindacalisti si son trovati d’accordo per mettere per iscritto degli accordi in cui si condensa in forma orientativa la politica grazie alla quale la borghesia ha disposto, per l’immediato futuro, la schiavizzazione della forza-lavoro in una situazione di crisi di sovrapproduzione. Tutti gli strumenti che permettono di spremere il proletariato al fine di ottenere un aumento di plusvalore in termini assoluti e relativi si riflettono in questi accordi; tutti i metodi orientati all’incremento dei ritmi, all’estensione della giornata lavorativa, al disprezzo delle normative a favore del profitto, sono delineati come una vera e propria guida allo sfruttamento. E si badi bene che la firma di questi “Accordi” viene considerata un “passo avanti” da chi in questi frangenti qualificava come “attacco senza eguali ai lavoratori” la Riforma del Lavoro! Come se il precedente governo del PSOE non avesse fatto delle misure anti-operaie il fulcro essenziale della propria politica! In ogni caso, invitiamo i nostri lettori di lingua castigliana a leggersi per bene questi “Accordi” e a dedurne con obiettività che cosa ci si può aspettare, nel decisivo futuro dei prossimi anni, da chi collabora con tanto entusiasmo con la borghesia.

Era dunque evidente che lo sciopero del 29 marzo (meglio sarebbe chiamarlo un’“interruzione di 24 ore”: non mortifichiamo il significato di “sciopero generale”!) veniva convocato in risposta agli obiettivi della destra borghese di ridurre per quanto possibile la partecipazione alla gestione del capitale da parte dell’aristocrazia operaia e delle cupole sindacali, gamba riformista del sistema che si fonda su questa stessa aristocrazia sindacale e sulla sua espressione politica, la Izquierda Unida, e in particolare sulla socialdemocrazia del PSOE. Il che, è ovvio, non vuol dire assolutamente che queste cupole difendano e rappresentino gli interessi dei lavoratori: tutt’altro! D’altra parte, non lo nascondono nemmeno: obiettivi reali dello sciopero erano l’appello a “negoziare” gli aspetti “più scandalosi” della Riforma del Lavoro, e nulla più. Obiettivi modesti (anche dal punto di vista del… ripulirsi la faccia), quelli della burocrazia sindacale – obiettivi per altro nemmeno condivisi, mete irrilevanti, a fronte di un malcontento sotterraneo che va ben oltre le negoziazioni e i cinici e insultanti richiami a un “senso di responsabilità”, e che più che nello sciopero (con partecipazione irregolare, in nessun caso maggiore di quanto sperato da chi lo aveva convocato) si è espresso nelle strade in forma di massicce dimostrazioni, e non certo a favore della negoziazione su qualche paragrafo dimenticato di una legislazione anti-operaia.

Ma le manifestazioni passano senza conseguenze: sono controllate, sono prove di forza messe in campo dalle principali sigle che le hanno convocate. Allo stesso modo, è passato il giorno di “interruzione”, propagandato come “l’inizio di una serie di azioni”. Un manto di silenzio è sceso subito su questa “serie di azioni”, al posto della demagogica chiacchiera sindacale sugli “attacchi ai lavoratori”. Non solo s’allontana così nel tempo il 29 marzo: si allontana anche il 29 aprile, giorno in cui, curiosamente e due giorni prima del Primo Maggio, si convocano manifestazioni in 60 città, senza motivo né causa né… strategia. Il disorientamento, specie fra i sindacati più piccoli, legati mani e piedi al seguito dei due sindacati maggioritari, e anche fra ampi settori di lavoratori, è più che naturale. “Ti ricordi quello sciopero generale di un mese fa? Non ricordo contro che cosa era…”

Quella che non manca al suo appuntamento quotidiano è la crisi, che avanza spietata sopra masse disorganizzate e spaventate di proletari. Proletari presi di sorpresa: quello che sembrava difficile credere, addirittura impossibile, assume profili ogni volta più chiari, quello che si considerava profezia apocalittica è ora parte del paesaggio quotidiano. Nemmeno la borghesia nasconde, come faceva sotto i governi socialdemocratici di Zapatero, la profondità del disastro. La ripresa ha come condizione la distruzione di capitali, la svalorizzazione, l’impoverimento, e non solo degli strati salariati. L’unico punto su cui c’è disaccordo è quale sarà la misura della perdita del potere d’acquisto destinata a verificarsi nei prossimi anni – se del 40% come sostengono i più ottimisti, o di un possibile 60%. E ciò scompagina tutto: dalle politiche di resistenza basate sullo spontaneismo sostenute da gruppi e gruppetti, fino al ruolo che, in un paese impoverito e socialmente disgregato, dominato da una borghesia arretrata e ignorante che si fonda sulla speculazione e sull’intrallazzo, svolge questo strato di lavoratori privilegiati – strato sociale finora del tutto garantito grazie alle briciole del sistema e che risponde al concetto di aristocrazia operaia.

Di questo impoverimento e delle sue prospettive parleremo in una futura “Lettera dalla Spagna”. Intanto, ribadiamo la necessità dell’attività militante, qui e in ogni luogo – la necessità dell’organizzazione centralizzata che abbia nella teoria del proletariato la guida della sua azione politica, la necessità dell’analisi scientifica di un mondo complesso, da cui ci giunge il frastuono prodotto dal crollo di alcuni suoi pilastri: ma che non è destinato a cader da solo, né in tempi brevi. Un mondo che ancora per molto tempo sarà causa di sofferenze, sfruttamento e disastri.



[1] Si tratta di una serie di accordi sottoscritti il 25 ottobre 1977 (due anni dopo la morte di Franco) da tutti i partiti parlamentari e dalle principali organizzazioni sindacali spagnole, con l’obiettivo di contenere le rivendicazioni salariali.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°04 - 2012) 

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