Già nel numero di maggio-giugno di questo giornale ci siamo interessati della lotta degli operai tessili della Legler, che riguarda tre stabilimenti in Sardegna e uno in Lombardia. Un aspetto particolare di questa vertenza è che, davanti alla situazione di crisi aziendale, il governo regionale sardo ha proposto di convertire in azioni i propri crediti verso la proprietà, per divenire così l’azionista di maggioranza. Non ci interessa ora svolgere la critica del liberalismo e mostrare la conferma della teoria marxista dello Stato – comitato d’affari della borghesia e suo strumento di classe. Ci vogliamo qui concentrare sulla condizione degli operai e sulla loro esperienza di lotta. Il coinvolgimento del governo regionale, infatti, è servito solo a creare illusioni per frenare la rabbia operaia; da parte loro, i sindacati hanno alimentato quelle illusioni creando contemporaneamente una frattura fra gli operai degli stabilimenti sardi e di quelli lombardi. Si è cercato di scaricare le responsabilità sulla “vecchia proprietà”, in modo da non dover fare la critica del sistema capitalistico e con ciò ammettere implicitamente lo sfruttamento di ogni salariato. E si sono imputati i problemi degli operai alla “cattiva gestione”, dando così fiducia al governo regionale. Serve sempre un salvatore della patria, pur di non doversi scontrare con la combattività operaia.

In quell’articolo svolgevamo la critica di una vertenza che si trascina ormai dal 2003, con conseguenze tragiche sugli operai. E raccomandavamo agli operai di non riporre alcuna fiducia nelle istituzioni regionali e nei dirigenti sindacali: “L’unica ‘speranza’ rimasta è che gli stabilimenti trovino un acquirente. Ma è una ‘speranza’ che significa ristrutturazione aziendale, ossia licenziamenti e maggiore sfruttamento, in un nuovo ciclo infernale”. Proprio mentre usciva l’articolo, a fine maggio, la Regione realizzava l’acquisizione della maggioranza delle azioni dell’azienda in crisi e a giugno veniva anche riattivata la produzione nei tre stabilimenti sardi. Ci sarebbe piaciuto molto essere smentiti e dover raccontare di un sistema dispensatore di benessere, per cui, trovata la soluzione alla miseria crescente, noi rivoluzionari non avremmo più ragione di esistere. Ma ci tocca, ancora una volta, avere lo spiacevole compito di vedere confermata la drammatica situazione della classe operaia, le cui condizioni di vita e di lavoro continuano a peggiorare.

La produzione alla Legler si è infatti arrestata nuovamente, già a fine luglio, e non è più ripresa: giusto il tempo di interrompere l’erogazione della cassa integrazione. Per gli operai sembra non esserci limite al peggio: senza salario e senza cassa integrazione. Gli era stata concessa una linea di credito dalla filiale nuorese della BNL, come anticipo della cassa integrazione, per spegnere una lotta che si stava facendo radicale e creava problemi di ordine pubblico, garanti la Regione e l’Inps. Ma poi, una volta calmati gli animi, la linea di credito è stata chiusa e molti dei 750 operai rimasti in organico non hanno ricevuto nemmeno i 750 euro al mese della cassa integrazione straordinaria.

La Regione, divenuta proprietaria, ha nascosto per lungo tempo il piano industriale, fino a quando ha dovuto ammettere che esso prevede forti licenziamenti. Per gli operai che non saranno licenziati subito, la cassa integrazione scadrà tra il prossimo 31 dicembre e il 31 gennaio. Si prospetta la vendita dell’azienda ma solo su tempi lunghi. Nell’immediato, come migliore soluzione possibile per la sussistenza degli operai e delle loro famiglie, si propone la lotta per il rinnovo della cassa integrazione in deroga (cioè con una decurtazione del 30%). In definitiva, gli operai riceveranno, dal 2008, meno di 600 euro al mese, e poi andranno in mobilità. E questo in un territorio, il nuorese, con 1590 cassaintegrati sul totale di 1900 per tutta l’isola (1.600.000 abitanti).

In Sardegna, secondo dati Istat, negli ultimi quattro anni nell’industria si sono persi 12000 posti di lavoro. Sono in corso anche altre vertenze: basti ricordare l’annunciata chiusura della Unilever a dicembre 2007, con 180 operai coinvolti. La Regione stessa non riesce più a sostenere gli ammortizzatori sociali, e mentre si fa paladina degli operai Legler ha in corso altre vertenze, con i lavoratori precari che aveva assorbito negli anni scorsi, in conseguenza della chiusura delle miniere e del settore chimico, e a cui non riesce più a garantire un salario, per quanto da fame. La stessa Regione Sardegna non finanzia più la formazione professionale e mette sulla strada i docenti. Il 16% delle famiglie sarde vive sotto la cosiddetta “soglia di povertà”.

Come campano i proletari sardi? Indebitandosi e con lavori precari. Tutto ciò conferma la necessità di una forte unità di classe e del rigetto dei metodi pacifici e democratici, il rifiuto del dialogo con le istituzioni. Bisogna riappropriarsi dell’arma dello sciopero e delle rivendicazioni di classe, come unica soluzione per contrastare il peggioramento continuo delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Per questo, oggi, non possiamo che ripetere quanto abbiamo scritto in un volantino diffuso tra gli operai della Legler lo scorso maggio: “Se anche questo progetto di acquisizione dell’azienda da parte della Regione fosse andato in porto, credete davvero che avrebbe migliorato le vostre condizioni di vita e di lavoro? Cosa cambierebbe se a sfruttarvi fossero capitalisti sardi e non lombardi? Quest’inganno è servito solo a cercare di far sbollire la vostra rabbia, a impedire che ritrovaste la via dei metodi e degli obiettivi classisti; a farvi credere che esista un capitale sardo che si preoccupa dei proletari sardi. Non è per lo sviluppo capitalistico della Sardegna che i proletari sardi debbono scendere in lotta, ma per difendersi dall’attacco condotto dal capitale (nazionale e internazionale) contro tutti i proletari, nella prospettiva – che oggi sembra lontana e utopistica, ma che al contrario è l’unica realistica e inevitabile – di abbattere, insieme ai proletari di tutto il mondo, il sistema che li sfrutta e li mette in concorrenza”.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2007)

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