Porto di Genova, mattina del 13 aprile: una balla di carta, pesante varie centinaia di chili, rovina a terra da una pila di altre balle, e in pegno si prende la vita di un proletario del porto – l’ennesima tragedia, altro sangue succhiato dalle vene del proletariato da un vampiro mai sazio che ha nome “modo di produzione capitalistico”. Nel porto di Genova, in nove anni, si sono verificati venticinque incidenti mortali, solo fra i portuali: ma il numero cresce in maniera impressionante (ventiquattro in cinque anni: quasi cinque all’anno) se si aggiungono i decessi in altre categorie, sempre del porto: operai, marittimi di bordo, camionisti... [1]

Generalizziamo ora il dato per meglio esemplificare in quale stupendo “mondo di pace” viviamo. Riportiamo due righe tratte da un articolo del Manifesto: “L'Anmil ha poi diffuso dati allarmanti: dagli anni '50 ad oggi sono morte sul lavoro 200 mila persone” [2]. 200.000 morti in 57 anni: vale a dire 3.500 morti all’anno. Insomma, i quattro anni di guerra in Iraq hanno fatto meno morti fra i soldati USA (sottolineiamo: fra i soldati USA) che non un solo anno di lavoro in Italia negli ultimi 57 anni.

A questi dati, che con tanta demagogia hanno riempito le pagine dei giornali e le trasmissioni televisive intorno alla “ricorrenza del Primo Maggio”, noi però vogliamo aggiungere due aspetti sostanziali, almeno per ciò che riguarda i fatti di Genova: 1) la reazione dei proletari del porto, 2) le reazioni della brodaglia democratica “di sinistra”.

Subito, infatti, i portuali di Genova, i compagni di lavoro, istintivamente come è nella tradizione del movimento operaio, sono scesi nelle strade della città, per manifestare la propria rabbia per l’ennesima morte sul lavoro. E, istintivamente, sono ricorsi ai metodi classici della lotta di classe, come è nella tradizione del movimento operaio: sciopero selvaggio, caccia ai crumiri e ai bonzi sindacali votati al compromesso e al tradimento, blocco del porto e degli accessi ad esso, assemblea permanente...

Da parte loro, giornali, sindacati, partiti e movimenti, tutti all’unisono e solo con sfumature diverse, hanno iniziato una campagna propagandistica atta a nascondere e minimizzare la reazione dei proletari genovesi, spostando l’attenzione dal piano della lotta reale a quello (ben più “compatibile”) delle tutele legali a “salvaguardia” delle condizioni di lavoro dei portuali di Genova o di qualunque altro lavoratore. “Liberazione”, il giornale dei pronipotini di Stalin, è arrivata a... dichiarare guerra alle morti sui luoghi di lavoro [3]: che è un po’ come dichiarare guerra alla nebbia sulle strade o ai marosi negli oceani – concetti vuoti buttati lì nel momento di massima rabbia, proprio per ricondurre docilmente il proletariato al quotidiano sfruttamento democratico.

Nessuno ha invece sottolineato la reazione dei proletari genovesi: tutti ci hanno steso sopra un velo di silenziosa omertà, se si escludono le “cronache giornalistiche” all’indomani degli avvenimenti. Noi invece salutiamo questi proletari scesi a manifestare la propria rabbia per la morte di un compagno di lavoro. Sappiamo bene che è solo un episodio, e che ci vuole ben altro per strappare i proletari allo sfruttamento e all’abbrutimento capitalistici: ma l’episodio va ricordato e sottolineato, come esempio di una tradizione da riconquistare, di un’azione di lotta capace di indirizzare il proletariato verso la difesa delle proprie condizioni di vita, prima, e come palestra per il futuro assalto al cielo, poi.

Noi indichiamo al proletariato quella via (il ritorno ai metodi e agli obiettivi classisti, la rottura della pace sociale, l’indipendenza organizzata dall’opportunismo sindacale e politico) come l’unica via per ricominciare a porre, nei fatti, la questione dell’incompatibilità fra condizioni di vita e di lavoro dei proletari e persistenza del modo di produzione capitalistico. E dunque per ricominciare a porre la questione della necessità del suo abbattimento.



[1] Cfr. senzamedia.blogspot.com

[2] “Ok al Testo Unico sulla sicurezza”, Manifesto, 14/4/2007

[3] “Abrogate il comma 1198 della Finanziaria”, Liberazione, 17/4/2007

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2007)

 

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