Un ennesimo capitolo della lotta fra padroni e proletari si ta consumando nella tormentata “vicenda Alitalia”, in cui la borghesia sta schierando tutte le proprie pedine (prima fra tutte, il sindacato tricolore), mentre il proletariato, ormai sprovvisto anche di un barlume di tradizione di classe, rischia di dibattersi nell’angoscia del tracollo della “gloriosa” compagnia di bandiera e di sentirsi ancora una volta fatalmente legato ai destini della stessa.

Da anni, i sindacati fiancheggiano i padroni in tutti i settori, svilendo salari e contratti, facendo da quinta colonna per l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro dei proletari, introducendo un uso massiccio di appalti esterni che, per loro natura, espongono ancora di più alla ricattabilità e alla flessibilità, bloccando o indebolendo ogni iniziativa di sciopero e confermando così il loro insostituibile ruolo di strumento di controllo dei lavoratori, con l’unico scopo di fare gli interessi del padronato italiano. Alla borghesia, d’altronde, costa meno mantenere un apparato sindacale totalmente asservito, piuttosto che rinunciare alla parte dei profitti che sarebbe costretta a concedere se le lotte proletarie non fossero imbrigliate.

La “vicenda Alitalia” ha visto in un primo momento l’interessamento di Air France per la completa acquisizione della compagnia, con un piano che prevedeva almeno 2.120 esuberi e sacrifici salariali. I sindacati nazionali si sono opposti a tale piano, iniziando la messa in scena dell’“intransigenza” (così è stata definita dai giornali!), con l’unico scopo di assecondare le esigenze dei capitalisti italiani. Il loro “no” ad Air France non è stato quindi motivato dalla difesa dei lavoratori, bensì dal tentativo di far entrare Fintecna (quindi il capitalismo di Stato italiano) nella ricapitalizzazione della società, ovvero come partner economico e finanziario dei francesi. Questi ultimi hanno giudicato la proposta non conveniente e hanno abbandonato le trattative, mentre solo 24 ore dopo gli infaticabili “intransigenti” riprendevano la messa in scena fingendo di tornare alla rincorsa di una trattativa che sembrava irricucibile. Anche il premier Berlusconi si era vivamente opposto ad Air France con la scusa di salvare l’italianità della compagnia di bandiera e con essa l’“onore nazionale”, ma in realtà stava con l’orecchio ben attento alle esigenze di profitto dei padroni “nostrani”, contribuendo a spingere questa farsa verso la conclusione più dolorosa per i lavoratori. Al di là dei ridicoli e contraddittori balletti di cifre apparsi sui giornali, il conto è facile a farsi e porta alla previsione di un taglio di circa 7.000 posti di lavoro: la CAI - Compagnia Aerea Italiana (la “nuova” Alitalia) avrà bisogno di 14.250 addetti, di cui 2.750 esterni, ma poiché la “vecchia” Alitalia aveva circa 18.000 dipendenti e il gruppo AirOne, che entrerà nella compagnia, circa 3.000, i conti sono presto fatti. 7.000 licenziamenti: un lavoratore su tre andrà a casa (anche se per 3.250 lavoratori si tratterà della “naturale” scadenza di un contratto a termine: tanto i precari sono carne da macello!), a fronte di qualche vaghissima promessa di “ricollocazione”. Questo è, per ora, il triste bilancio per i lavoratori. Trincerandosi dietro la difesa della bandiera nazionale e facendo ricorso al ricatto del fallimento, si è operata una divisione in due compagnie: una “bad company” (ovvero la somma delle parti più indebitate, onerose e improduttive che è stata scaricata sullo Stato) e una seconda compagnia priva di debiti (con il personale ridotto all’osso e contratti di lavoro resi meno onerosi grazie a un cospicuo “alleggerimento” dei salari), trasformando di fatto l’acquisto di Alitalia (quella “buona”, ovviamente) in un affare d’oro per Colaninno e soci, ossia per i cosiddetti “coraggiosi imprenditori”. Per aver ragione dei lavoratori e delle loro proteste, spesso spontanee, abbiamo assistito alla pantomima del ritiro dell’offerta da parte della CAI, della conseguente costernazione della “classe politica” e della marcia indietro finale della CGIL, più riottosa solo per esigenze di copione.

Il sipario sembra ormai calare sulla vicenda, visto che l’Unione Europea non sembra voler porre veti su una procedura d’acquisto che avrebbe anche potuto giudicare “irregolare”, dato che non ha previsto un concorso per eventuali offerte da parte di altre compagnie straniere, e questo perché la UE e, in genere, i capitalisti di ogni latitudine sanno perfettamente che la CAI prima o poi finirà nelle fauci di compagnie più grandi, ma solo dopo che i padroni italiani avranno fatto razzia di plusvalenze, alla faccia dei lavoratori, dei loro magri salari e degli esuberi. Inoltre, qualsiasi obiezione riguardante il contestato prestito-ponte di 300 milioni da parte dello Stato italiano verrà aggirata scaricando ogni eventuale onere su quella sorta di secchio della spazzatura che è la “bad company”.

La sceneggiata padronale volge quindi al termine e gli aerei della “nuova” compagnia aerea sembrano pronti a decollare il primo dicembre. Rimane un’unica incognita, un unico ostacolo che si frappone tra la CAI e gli ingenti guadagni che tutto l’apparato borghese si sta sforzando di garantirle: è l’ostacolo rappresentato dalla protesta dei lavoratori, soprattutto da quella degli assistenti di volo e dei piloti, che non hanno intenzione di firmare il nuovo contratto e che si stanno dimostrando i più combattivi, pur se nei limiti angusti di strumenti di scarsa efficacia come i sindacati di categoria. I piloti avrebbero addirittura approntato un “fondo di solidarietà”, in vista di eventuali scioperi. Il perdurare di questa lotta sta innervosendo molto i padroni, che già pregustavano l’ennesima sconfitta dei lavoratori, necessario preludio al solito lauto pasto a base di profitti. Le reazioni da parte della borghesia sono state perciò arroganti e scomposte: Colaninno ha minacciato di assumere i piloti di Ryanair al posto di quelli Alitalia, mentre il ministro Matteoli ha affermato che chi non firma il contratto non potrà avvalersi della cassa integrazione. È una borghesia ansiosa di affossare sul nascere le lotte proletarie, perché è cosciente del fatto che, di fronte alla montante crisi economica, potrebbe incontrare enormi difficoltà nel controllarle ed arginarle tutte. La vicenda Alitalia dimostra, per l’ennesima volta, l’inconfutabile realtà che i proletari non hanno patria, che il loro schierarsi con la borghesia del proprio paese dietro la bandiera nazionale non può che portarli al disastro economico e alla miseria oggi e dritti al macello di una nuova guerra mondiale domani. Soltanto allargando il fronte di lotta almeno a tutte le categorie coinvolte e portando la loro protesta nelle strade, rivolgendola rabbiosamente contro tutta la borghesia italiana (tra l’altro impelagata da anni nella lotta stracciona tra fazioni milanesi e romane per il primato di Fiumicino o Malpensa: l’una spinge per avere come socio di minoranza Air France, l’altra Lufthansa), i lavoratori di Alitalia potrebbero strappare almeno il mantenimento dei livelli occupazionali e salariali. Il passaggio dalle sconfitte alle vittorie in queste lotte di difesa sarà il preludio alla comprensione, da parte del proletariato, che tali lotte di difesa non sono sufficienti a garantire condizioni di vita e di lavoro tollerabili e che sarà quindi necessario passare dalla difesa all’attacco, alla lotta per la conquista del potere, una lotta nella quale il proletariato non avrà altro da perdere che le proprie catene.

Post Scriptum.

Nella mattina di lunedì 10 novembre, i lavoratori dell’Alitalia, riuniti in un’assemblea del Comitato di lotta, si sono espressi all’unanimità per il blocco totale ed immediato del trasporto aereo, ma sono stati immediatamente fermati dai rappresentanti dei sindacati del cosiddetto “fronte del no” (Anpac, Up, Avia, Anpav e Sdl), che dal precipitare degli eventi sono sta- ti costretti a mostrare da subito la propria natura riformistica e conciliatoria, cioè filo-padronale.

Nonostante la sconfessione da parte dei sindacati di categoria, il Comitato ha approvato, in una seduta successiva, uno sciopero immediato di 24 ore, a partire dalle 18 dello stesso giorno 10. Lo sciopero è stato condotto fino alla scadenza e con effetti molto pesanti per tutto il trasporto aereo, nonostante il fuoco incrociato di insulti e minacce che si è scatenato sui lavoratori, con il preciso scopo di intimidirli e di farli desistere. Si è trattato di un durissimo attacco a base di precettazioni, denunce penali, vergognose campagne stampa infarcite di calunnie e promesse di manganello – il tutto con l’avallo, più o meno esplicito, di tutte le parti politiche e sindacali. A queste tipiche vigliaccherie borghesi, gli scioperanti hanno risposto con il coraggio proprio del proletariato quando è impegnato in uno scontro di classe. Questi lavoratori non portano soltanto il peso della propria lotta, che è dura e difficile, ma anche quello di aver rotto, per primi in modo fragoroso, una “pace sociale” costruita sulla pelle dei proletari. L’auspicio è che resistano a lungo e che, nel frattempo, si accendano ovunque altri focolai di lotta, ad allentare la pressione su di loro e ad aumentare quella sui padroni. Intanto, viva la lotta dei lavoratori dell’Alitalia!

PS. L’eventuale evoluzione della vicenda verrà trattata nei prossimi

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2008)

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