Scorrendo alcune delle riviste militari francesi che si occupano del ruolo assegnato alla nazione all’interno dell’UE, ci si rende perfettamente conto come oggi nelle alte gerarchie transalpine siano all’ordine del giorno due tendenze dialetticamente collegate.

Una è quella del ruolo internazionale dell’imperialismo francese e delle sue forze armate, che vanno potenziate in funzione di nuovi “pericoli” che si affacciano all’orizzonte: si tratta cioè di armare fino ai denti le proprie postazioni militari sparse per il mondo, e in particolare nel Pacifico. Perciò, privata da decenni da buona parte delle sue colonie, l’occhiuta borghesia parigina vuole tuttavia mantenere quote di mercato mondiale, e in questo senso prevale nettamente la visione imperialistica nazionale, che si propone di mantenere la Francia al tavolo dei banchettanti, con una posizione di forza che – lo si dice chiaramente – può non esitare a scelte di contrapposizione di fronte agli altri partecipanti al saccheggio planetario.

L’altra tendenza è quella che esita a dichiararsi così smaccatamente anti-europeista e proclama la necessità di integrare lo sforzo militare nel quadro di un coordinamento generale a scala multinazionale. In questo senso, nell’ultimo decennio si è assistito a molteplici tentativi di mettere insieme qualcosa che assomigliasse a un esercito europeo in grado di intervenire con prontezza nelle situazioni di conflitto. Così, nel corso di una conferenza tenuta a Bruxelles alla fine del 2000 tra ministri degli esteri e capi di stato maggiore di diversi paesi, si parlò della creazione di una forza di almeno centomila uomini, 350 aerei e 100 unità navali. Di tutto ciò, a distanza di sette anni, sembra non essere rimasta traccia. Tuttavia, queste manovre non possono far altro che richiamare l’attenzione sul fatto che una delle tendenze in atto è quella di creare un apparato militare autonomo europeo che, non potendosi sostituire alla NATO o all’esercito USA nell’assicurare il controllo planetario, possa tuttavia, in prospettiva, configurarsi come il tentativo di unificare e coordinare le forze di difesa del capitale nei confronti di disordini sociali su scala non più solo nazionale, ma europea - disordini che non potranno non tornare a verificarsi, sotto la pressione della crisi economica. È infatti proprio perciò che, l’anno dopo, riconosciuta la impraticabilità operativa del progetto militare, gli stessi alti papaveri dell’unione europea proclamavano la necessità di impegnarsi alla creazione, entro il 2003, “di una forza di polizia di 5.000 uomini in grado di operare autonomamente in situazioni di basso livello conflittuale, o di affiancarsi alla forza militare per i compiti classici di mantenimento dell’ordine pubblico”[1]. Già da questo enorme ridimensionamento delle prospettive si può osservare quanto le borghesie europee trovino difficoltà a giungere a un effettivo coordinamento di quelle forze di polizia che pure dovrebbero assicurare loro di dormire sonni tranquilli di fronte alle nubi che la crisi economica e sociale sta addensando.

Torniamo dunque alla prima tendenza, quella che si realizza attraverso studi strategici sugli interessi nazionali. Come si diceva, il caso della Francia è particolarmente interessante, data la posizione eternamente in bilico del paese, stretto tra la rinata potenza (anche militare) tedesca e il “dovere storico” che ne fa uno scomodo alleato dei paesi anglosassoni. Le analisi che vengono fatte sull’organo ufficiale delle forze armate francesi [2] tendono nella grande maggioranza dei casi a mettere in evidenza proprio questa tendenza: la Francia deve mantenere e accrescere la propria capacità operativa e soprattutto deve resistere alla prospettiva di fare ricorso a una futura difesa europea. Ciò premesso, alcuni articoli prendono in considerazione il ruolo della Francia nel quadro internazionale. Le alte gerarchie francesi, negando alla Russia per i prossimi anni un ruolo di antagonista possibile per gli USA, considerano con attenzione l’eventualità di un conflitto armato tra questi e la Cina, sullo sfondo della guerra commerciale e per il controllo delle risorse energetiche sparse in Africa, Medio Oriente e America latina. Senza aver bisogno di ricorrere al nucleare, questa guerra sarebbe intensa ma di breve durata e avrebbe come conseguenza il crollo del sistema di globalizzazione attuale, fratturando il mondo in due nuovi poli, asiatico e atlantico. In un tal quadro, la Francia “dovrà disporre di una marina e di un’aviazione sufficientemente credibili”, per porsi contro gli uni e gli altri contendenti come un interlocutore rispettato.

Queste tesi, a parte la grossolanità dell’analisi che generalmente si basa sulla teoria fasulla dello scontro ideologico tra culture, sono interessanti perché dimostrano quanto sia illusorio il mito della grande potenza europea [3], sul piano politico, economico e quindi, necessariamente, anche militare. Le forze autonome che hanno costretto le varie borghesie europee a cercare, nello scorso decennio, una qualche forma di integrazione politica allo scopo di resistere alle pressioni della concorrenza a livello mondiale, non sono tuttavia riuscite a impedire o a limitare la corsa cinese, o a indebolire (per ora) la macchina militare degli USA. Nella misura in cui procederà la frantumazione di precedenti assetti economici, legati al saccheggio mondiale delle risorse energetiche, o statali, condotto manu militari (Medio Oriente, Balcani) o per via “elettiva” (cortina democratica tra Russia ed Europa, Balcani), il periodo delle alleanze di facciata sarà presto sostituito dalla lotta di tutti contro tutti. Si apriranno allora nuovi scenari anche nell’azione di classe, e la politica rivoluzionaria tornerà a prendere il sopravvento, dopo decenni di silenzio, su quella, corruttrice, dell’“unione sacra” in difesa della nazione.

 
 
Note:

1. M. Cremasco, Il ruolo della forza europea di reazione rapida, Centro Militare di Studi Strategici, Roma 2001, p.77.
2. Défense nationale et sécurité collective, Parigi.

3. Cfr. il nostro articolo al riguardo, “Dietro il mito dell’Europa unita, l’illusione della grande potenza”, il programma comunista, maggio-giugno 2005.

 

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