Per il capitalismo la guerra è un affare, sia quando dura e si trascina per lunghi anni, sia e soprattutto quando cessa. Finita l’orgia militare, l’orrore senza fine della distruzione, inizia la ricostruzione dei Paesi, che quelle stesse armi hanno messo in ginocchio: riorganizzazione degli arsenali militari svuotati o da riconvertire, ricostruzione di attrezzature industriali distrutte, ripresa delle attività agricole, paralizzate dalla mancanza di braccia e di capitali. E’ questa la paziente tessitura del ragno capitalista. Un esempio fra i tantissimi su scala mondiale: la macelleria mediorientale e africana sul proletariato e il businnes clientelare delle cosiddette ricostruzioni.

L’esposizione della potenza militare, il grande traffico di armi in circolazione e le esercitazioni militari sono all’ordine del giorno della militarizzazione crescente, che mette in mostra interi arsenali di carri armati, cannoni, missili e altri mezzi di guerra, gettati nel mercato nero quali mercanzie di morte-esportazione e importazioni di armi.

Le guerre servono anche ad espandere il terreno dei processi di concentrazione e accumulazione finanziaria del capitale su cui poggia la potenza dei centri mondiali dell’imperialismo. Il capitalismo non fa che applicare a mali incurabili rimedi temporanei, che riescono solo a dilazionare nel tempo gli inevitabili conflitti sul terreno politico e militare. Le stesse cause che provocano la supremazia degli Usa preparano anche la rivolta contro gli Usa, l’imperialismo dominante: è la nostra speranza e la nostra prospettiva rivoluzionaria! Al punto in cui è arrivata l’evoluzione storica, due vie sono possibili: o la dinamica distruttiva sarà capitanata da Stati concorrenti o coalizzati e allora si ripeterà ancora una volta una nuova guerra imperialista per una nuova spartizione del mondo, oppure la rivolta contro l’oppressione e lo sfruttamento sociale, esercitati e garantiti dai centri imperialisti mondiali, sarà guidata dal proletariato rivoluzionario. In questo caso, si tratterà di una lotta per l’effettiva distruzione del baluardo reazionario rappresentato dall’imperialismo di Wall Street.

Negare i tratti caratteristici dell’economia imperialista significa negare la realtà sociale, la sua divisione in classi sociali e la divisione del lavoro nella società borghese. Il capitalismo gioca alternativamente su due scacchieri, quello della guerra e quello della pace, realizzando in entrambi profitti che sanno di sudore e di sangue.

 

 

 

Leggiamo nel grafico il volume dei trasferimenti di materiale bellico (importazioni ed esportazioni in miliardi di valori indicatori di tendenza). [Dati SIPRI- Stockholm International Peace Research Institute Yearbook 2020- Armaments, Disarmament and International Security- sintesi in Italiano]

Dall’inizio degli anni ’50 del ‘900, spiega il grafico, sono presenti tre punti interessanti con caratteri particolari: un punto di massimo assoluto dei trasferimenti, ottenuto nel corso della ricostruzione del secondo dopoguerra, dalla fine del conflitto mondiale al 1979-’80 (prossimo quindi alla prima crisi storica del 1974-’75), un punto di minimo assoluto nel 2000-’04 (altro punto prossimo alla crisi di guerra del 2003 in Iraq e alla crisi economica del 2007-’08) e infine un punto di massimo relativo all’incirca nel 2016-‘20.

 

 

 Tabella: Spese militari per regione e subregione 2020 

Legenda (tabella)
. . = dato non disponibile o non applicabile; ( ) = stima incerta. a) Le cifre escludono Gibuti, Eritrea e Somalia. b) I dati escludono Cuba. c) Le cifre escludono la Corea del Nord, il Turkmenistan e l'Uzbekistan. d) I dati escludono il Turkmenistan e l'Uzbekistan. e) Le cifre escludono la Corea del Nord. f) Nessuna stima SIPRI per il Medio Oriente è disponibile per il 2015-20. Una stima approssimativa per il Medio Oriente (esclusa la Siria) è inclusa nel totale mondiale.

Fonte: banca dati SIPRI sulle spese militari, aprile 2021

 

Si stima che nel 2020 la spesa militare mondiale abbia raggiunto i 1.981 miliardi di dollari, pari al 2,6% rispetto al 2019 e del 9,3% rispetto al 2011. La spesa militare è aumentata (in miliardi di dollari) in quattro regioni globali: Americhe (853), Asia e Oceania (528), Europa (378), Africa (43,2). Scartando l’area africana, le tre aree con maggiori investimenti in armamenti sono: Nord America (801), Asia Orientale (359), Europa Occidentale (273). I maggiori investitori nel 2020 sono stati Usa (778), Cina (252), India (73), Russia (61,7), Regno Unito (59,2), Arabia Saudita (59,2), Germania (52,8), Francia (52,7), Giappone (49,1), Corea del Sud (45,7), Italia (28,9). La spesa militare dei primi cinque ammonta a scala mondiale a 61,8%, quella dei primi undici ammonta a 76,4%. E questo accadeva mentre migliaia di aziende e attività commerciali chiudevano, attraversando la fase più acuta della crisi economica, e soprattutto su milioni di proletari si abbatteva la miseria e la disperazione.

L’aumento della spesa militare dopo la crisi finanziaria ed economica mondiale del 2008-’09 è cresciuta in modo straordinario, non frenato dalla pandemia. L’anno scorso, mentre medici e infermieri negli ospedali lottavano ancora per salvare la vita degli ammalati di Covid-‘19 pur in assenza di respiratori nelle unità di terapia intensiva, il businnes degli armamenti cresceva in forma esponenziale. Lo riportano sempre i dati del rapporto Sipri, che segue vendite e acquisti nel mondo di cacciabombardieri, carri armati, droni, sistemi missilistici, armi leggeri e pesanti. Dunque, la pandemia non ha avuto un impatto importante sulla spesa militare globale. In percentuale, nel periodo 2019-’20, la variazione nel Nord America è stata del 4,3%, nell’Asia Orientale del 2,3%, nell’Europa Occidentale 3,9%. Considerando invece la variazione mondiale nel Nord America il dato vale il 40%, nell’Asia Orientale il 18%, nell’Europea Occidentale il 14%.

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