I giornali borghesi sembrano ignorare nei loro resoconti – e comunque lo considerano solo marginalmente – uno dei più scottanti problemi che dilaniano la società americana: il problema negro.

E quando sono costretti dalla risonanza dei fatti a descrivere le rivolte di cui i negri sono protagonisti, puntualmente distorcono il significato reale degli avvenimenti, i motivi che li hanno ispirati, gli obiettivi verso cui tendono.

L’informazione imparziale non è certo una virtù del giornalismo borghese!

I negri afroamericani sono circa il 10% della popolazione degli U.S.A.; concentrati dapprima quasi esclusivamente nei paesi del Sud (Louisiana, Mississippi, Alabama, Georgia, Sud Carolina, Nord Carolina, Tennessee, Kentucky, Arkansas, Texas, Florida, Virginia) dove, come schiavi, lavoravano, nelle piantagioni di cotone, tabacco, canna da zucchero, essi, dopo la guerra di secessione (1861-65) emigrarono verso le grandi città del Nord America.

La seguente tabella (fonte: Department of Commerce, Bureau of the Census) illustra come le percentuali degli abitanti negri in tre stati del Sud (Arkansas, Louisiana, Mississippi) seguano una curva discendente, mentre le percentuali degli abitanti negri nelle restanti zone degli Stati Uniti vadano lentamente aumentando (e ancor più chiaramente lo illustrerebbe se considerasse non l’insieme degli U.S.A. ma alcuni stati del Nord).

 

 Year    USA   Arkansas
Louisiana
Missisipi
1900 11,6% 45,5%
1930 9,7% 38%
1940 9,8% 37%
1950 10% 33%
1960 10,6% 32,5%

 

Nelle grandi metropoli del Nord i negri trovarono un capitale affamato di forza-lavoro, ma poco disposto a pagare salari che consentissero una vita decente.

Di fatto le condizioni del negro-operaio non mutarono rispetto a quelle del negro-schiavo; essi erano soltanto passati dalla schiavitù delle piantagioni del Sud alla nuova forma di schiavitù delle fabbriche del Nord.

Inoltre la loro condizione di sotto-proletari era aggravata dai pesanti pregiudizi razziali dell’ideologia dominante, che li escludeva (e spesso li esclude tuttora) dalle scuole dei bianchi, dai ritrovi dei bianchi, dai bar dei bianchi ecc.

Da parte dei negri questo stato fu accettato a lungo come logica conseguenza di una “inferiorità biologica” della propria razza rispetto a quella bianca, oppure si cercò di superarlo per vie legislative, educative, giuridiche, insomma con l’agitazione pacifica a favore di pacifiche riforme.

Lo smascheramento di questa ideologia mistificante condusse alla formazione di una organizzazione politica che aveva lo scopo di affrancare la comunità negra dalla duplice schiavitù cui era soggetta:
     1) la schiavitù razziale (razzismo);
     2) la schiavitù economica (sfruttamento).

I primi nove anni del movimento furono contraddistinti dalla parola d’ordine della non-violenza.

Durante questo periodo il Black Power non si affermò come movimento rivoluzionario, perché la tendenza generale era di “far accettare i negri nella società dei bianchi”, e non di trasformare violentemente i rapporti di produzione esistenti.

L’intransigenza razziale dei bianchi e il peggioramento delle condizioni di vita dei negri attraverso l’aumento dei distacchi nel salario, nell’occupazione, nell’istruzione ecc., convinsero l’avanguardia “di colore” che la strada da percorrere era un’altra:

che l’emancipazione del popolo negro passa attraverso l’emancipazione dalla schiavitù economica, e perciò soltanto attraverso la trasformazione rivoluzionaria delle forme di produzione dominanti nella società americana.

Questo livello di comprensione indusse a mutare la parola d’ordine del movimento, che divenne:

«La violenza della reazione si combatte con la violenza della rivoluzione».

L’estrema forma di questa radicalizzazione è espressa dal ’’Partito delle Pantere Nere”

Oggi i negri rappresentano una parte significativa della classe operaia americana, della quale costituiscono anzi la punta eversiva; soltanto la divisione, all’interno della classe lavoratrice, tra bianchi e negri spiega perché le lotte non abbiano assunto dimensioni rivoluzionarie.

Invero, il proletariato negro costituisce oggi il principale elemento da cui può scaturire una trasformazione dei rapporti di produzione dominanti ma perché ciò accada si devono superare e risolvere i seguenti problemi:
     1) Saldatura tra il movimento proletario negro e quello bianco.
     2) Rivoluzionamento da parte del proletariato bianco dei sindacati tradizionali.
     3) Superamento delle barriere ideologiche (razzismo) all’interno del movimento operaio stesso.

A proposito del primo punto sono accaduti numerosi fatti nei quali due movimenti, nel corso della lotta hanno agito con unità di azione.

Durante lo sciopero dei cantieri navali di Newport News, in Virginia (1967) gli scioperanti picchiarono i crumiri, respinsero i poliziotti e scesero in città a rompere vetrine e ripulire negozi.

Ed erano scioperanti bianchi e negri quelli che picchiavano: crumiri bianchi e negri, e poliziotti bianchi e negri.

Nonostante ciò occorre dire che la saldatura fra i due movimenti avviene soltanto nelle fasi di lotta aperta, e assai lentamente, né ovunque.

La classe dirigente americana è consapevole del pericolo che potrebbe provenire da un’alleanza tra proletari negri e bianchi, a tal fine ha messo in opera, sul piano economico e sociale, numerosi meccanismi discriminanti, tendenti ad assicurare al proletariato bianco una posizione di privilegio rispetto a quello negro.

Durante il quinquennio 1962-1967 il tasso di disoccupazione dei bianchi è stato generalmente del 5% secondo i dati ufficiali; in termini reali, del 10%.

Per i non bianchi primi fra tutti i negri (indiani americani, portoricani e messicani costituiscono una minoranza), il tasso di disoccupazione è stato tre volte maggiore: la sottoccupazione nei ghetti di colore variava, in tredici grandi città industriali, dal 28% al 48%.

La maggior parte dei benefici previdenziali va a favore degli operai specializzati; quindi dei non-negri; i salari più bassi e le mansioni più umili sono riservate quasi esclusivamente ai non-bianchi. E a tutto ciò si aggiungono le profonde sperequazioni nel campo dell’istruzione.

Per ciò che concerne il secondo punto occorre dire che i sindacati americani sono sempre più divenuti strumenti di mediazione fra capitale e lavoro, e che la loro politica si fonda esclusivamente sulla dinamica salariale, ed è per giunta prettamente corporativa.

Si sono, però, verificati innumerevoli casi in cui gli operai bianchi hanno rifiutato la politica dei sindacati ponendosi su un terreno di lotta politica generale e diretta… Un altro sintomo del decadere dell’influenza dei sindacati così come sono oggi sulla classe operaia bianca sono gli scioperi a gatto selvaggio.

Sperimentati per la prima volta nel 1955, nei grandi scioperi non autorizzati nel settore automobilistico, essi sono da allora costantemente aumentati.

Il terzo si riferisce al superamento barriera ideologica che divide il proletariato negro da quello bianco: il razzismo, retaggio di una società caratterizzata dalla storia della schiavitù, ha permeato la società americana divenendo l’elemento chiave dell’ideologia dominante e il maggiore ostacolo alla fusione tra i due movimenti operai, creando azioni e reazioni che li spingono a divergere anziché a confluire.

La divisione tra bianchi e negri è quindi il problema centrale della vita americana; né possiamo aspettarci che la si possa cancellare a breve scadenza. Ma il fatto obbiettivo è e rimane che operai bianchi e negri sono vittime della stessa potenza sociale ed economica: quella del capitale.

Ed è sulla base del riconoscimento che il nemico da combattere è lo stesso che sarà possibile ritrovare l’unità nell’organizzazione e nella lotta, giacché, se è vero che il proletariato negro, in quanto è il più sfruttato, rappresenta l’elemento più rivoluzionario della società americana, è anche vero che una trasformazione rivoluzionaria della società stessa sarà possibile nella sola misura in cui proletari negri e bianchi sapranno superare le divisioni artificiose create dal nemico per riconoscere che l’avversario da battere è comune: il capitalismo.

Poco più di un secolo fa, Marx scriveva che il proletariato in pelle bianca non può emanciparsi se non si emancipa in pelle nera; il che, è ovvio, vale altrettanto per inverso!

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