Prepararsi a una lotta di difesa economica dura e senza tentennamenti è indispensabile per tutti i proletari che non riescono più a sopportare il continuo peggioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro, che vedono quotidianamente abbattersi su di loro la scure dei licenziamenti, delle ristrutturazioni, delle delocalizzazioni, e ridursi il potere d’acquisto dei salari, che lavorano sempre più saltuariamente o che proprio non trovano più un lavoro. Prepararsi a questa lotta è diventato, nel mezzo dell’attuale profonda crisi, una necessità non più rinviabile, e non più delegabile a organizzazioni sindacali, ormai passate, e da tempo, dalla parte del nemico di classe.

Per affrontare i primi scontri e allenarsi alle battaglie che via via si faranno più frequenti e più aspre, i lavoratori troveranno nei nostri volantini, negli altri nostri materiali e nell’azione dei nostri compagni i contenuti e i metodi che indicano le posizioni da cui ripartire per sviluppare una lotta di difesa economica radicale. Le attitudini alla lotta cui bisognerà ricorrere non si possono inventare: sono attitudini tattiche che nascono dall’esperienza sedimentata nel corso storico delle lotte della nostra classe – a volte vittoriose, a volte sconfitte. L’esperienza e la memoria non sono un’eredità trasmissibile in maniera automatica: ogni generazione operaia conduce la sua lotta di resistenza come se fosse la prima volta, spontaneamente ripercorre le stesse contraddizioni e il suo cammino è sempre in salita. Solo il partito rivoluzionario di classe può tramandare quei metodi e quei contenuti, la memoria di classe, le esperienze fatte sul campo: vere e proprie armi.

Ecco perché in questo numero de Il programma comunista riproponiamo le “Direttive dell’azione Sindacale del Partito comunista”, emanate congiuntamente dai comitati esecutivo e sindacale del Partito Comunista d’Italia e pubblicate il 7 agosto 1921 su “Il Comunista” [1]. A esse seguiranno, sul numero prossimo, brani essenziali delle nostre Tesi del 1972 [2], alcune considerazioni di metodo e le rivendicazioni urgenti con cui proletari possono affrontare la crisi attuale.

Quello che presentiamo insieme alle “Direttive” del 1921 è lo scenario di uno scontro di classe acuto e finale: il fascismo è già all’attacco, l’organizzazione riformista del PSI si prepara ai “patti di pacificazione” con i fascisti e la principale organizzazione sindacale di allora, la Confederazione Generale del Lavoro, mentre infuria la lotta economica e politica, attacca le forze rivoluzionarie, gli operai combattivi e i proletari comunisti, comandando di espellerli dal sindacato. E’ una convergenza di più forze oggettivamente alleate contro la rivoluzione. Le “Direttive” emanate dal Partito ribadiscono dunque non soltanto la necessità della resistenza all’espulsione, ma soprattutto l’urgenza di un Sindacato di classe, unica forza che possa garantire l’esito della battaglia che stanno conducendo i comunisti nelle lotte rivendicative e nell’ambito delle organizzazioni di resistenza economica, contro le posizioni del nemico borghese nelle sue due varianti di destra e riformista.

Certo, quelli erano anni in cui la lotta proletaria era in pieno fermento e il raggruppamento internazionale dei sindacati – il dilemma “Mosca” (sede dell’organizzazione dei sindacati rossi) o “Amsterdam” (sede dell’organizzazione dei sindacati riformisti) – si poneva come una presa di posizione a favore della rivoluzione internazionale scoppiata in Russia o della riorganizzazione dell’economia capitalistica e degli stati nazionali imperialisti (il coordinamento di Amsterdam era infatti un’emanazione della neonata Lega delle Nazioni, patrocinata dal presidente U.S.A. Wilson). A quasi un secolo da quegli anni, potrebbe sembrare anacronistico o storicamente utopistico rivendicare un sindacato internazionale di classe, soprattutto oggi, quando in tutti i paesi capitalistici di vecchia e nuova industrializzazione le organizzazioni sindacali si sono sempre più trasformate in organismi al servizio dello Stato. Questa nostra indicazione suonerebbe (specie alle orecchie assordate dall’ideologia riformista dominante) addirittura fuori dal tempo. Eppure, è lo stesso sviluppo del moderno imperialismo, con la concertazione multinazionale delle aziende e la cosiddetta delocalizzazione (cioè l’impianto di strutture produttive in giro per il mondo, soprattutto là dove il “costo del lavoro” è più vantaggioso), a porre all’ordine del giorno delle prossime lotte di rivendicazione economica strutture permanenti di difesa che allarghino il fronte di lotta dei lavoratori, abbattendo con obbiettivi comuni non solo le gabbie locali territoriali e aziendali ma soprattutto le gabbie nazionali, in cui siamo costretti, separati dai nostri fratelli di classe, a vivere (senza dimenticare che la nostra condizione di emigrati/immigrati permanenti dimostra che la nazione, ogni nazione, è davvero solo un’“espressione geografica”).

Come nel 1921, ci troviamo oggi contro non solo tutto il fronte dei partiti borghesi, ma anche e in primo luogo l’opportunismo (in tutte le sue vesti), che cerca e cercherà sempre di mantenerci legati allo Stato capitalista con le ben concrete catene dei cosiddetti “vantaggi immediati”, gli ammortizzatori sociali, i sussidi di disoccupazione e, quando diventi necessario, la dura repressione di ogni antagonismo, nel nome della “legge e l’ordine” e dell’interesse supremo della nazione. Allora, la crisi economica imperversava e spazzava via ogni speranza, gli equilibri di classe dopo la guerra non si erano ancora ricomposti, quelli fra gli Stati erano ancora in pieno caos, la rivoluzione proletaria era il nemico da abbattere e il fallimento delle imprese militari contro la Russia rivoluzionaria esasperava le classi dominanti nei diversi paesi. Allora come oggi, la chiusura delle aziende, i sussidi e le concessioni per i lavori pubblici, l’illusione di poter ottenere più efficaci interventi dallo Stato e il collaborazionismo delle organizzazioni sindacali dinanzi all’offensiva padronale, avevano da noi una risposta netta: non esiste soluzione ai problemi che la crisi impone, se non la conquista del potere da parte del proletariato e l’instaurazione della sua dittatura. La evidente insolubilità doveva essere utilizzata per condurre appunto le masse a questa convinzione e intensificare tra esse la preparazione rivoluzionaria. Questa era la risposta di allora e questa è ancora la nostra risposta, oggi.

Ma nel testo risalta anche un altro aspetto della lotta di classe allora dispiegata. La direttiva espressa dai dirigenti confederali di allora di cacciarci dall’organizzazione economica era il più chiaro segno del tentativo, non solo in Italia, ma in molti paesi (le organizzazioni sindacali tedesche in mano alla socialdemocrazia assassina ne erano state un esempio eclatante), della volontà dell’opportunismo sindacale e politico di liberarsi rapidamente dei lavoratori comunisti, per dare il via libera, di lì a qualche anno, alla transizione corporativa, da cui il riformismo e il collaborazionismo erano attratti (e di cui, fra l’altro, gli anarco-sindacalisti furono tra i primi promotori). Così, come si legge nel testo, la battaglia del Partito comunista appena fondato contro le espulsioni, con direttive precise, caso per caso, a livello centrale e locale, è la prova dello scontro che si stava svolgendo a tutto campo. La nostra tattica indiretta, quella dello sviluppo ad ampio raggio della lotta di difesa ad oltranza, era la preparazione preventiva della tattica diretta: lo scontro con lo Stato borghese. Il fronte unico di tutti i lavoratori, che tentavamo di comporre partendo dall’interno delle organizzazioni sindacali esistenti, era l’unico mezzo con cui attaccare il fronte nemico, era il mezzo per mettere al centro dello scontro un’avanguardia della classe, che muovesse le sue file dalla lotta economica e che s’incardinasse quale cinghia di trasmissione del Partito.

Non ci stancheremo mai di ripetere anche oggi, alle sparute avanguardie esistenti, che il “sindacato di classe” può solo essere il risultato di una lotta condotta attorno a una piattaforma di classe e che l’esito di questa lotta non può mai essere automaticamente considerato definitivo: non è una rivendicazione buona per tutte le stagioni, non è una evento miracolistico che basta sapere invocare. Anche in questo caso, il successo della lotta sarà determinato dai rapporti di forza che i comunisti sapranno sviluppare e controllare. L’esperienza che si condensa nelle “Direttive” che seguono ci ricorda (riportandoci alla realtà della vita quotidiana tra i ranghi della nostra classe) che molto spesso le battaglie sono il frutto di un’accurata e perfino pedante tattica, che sappia prevedere una casistica minuziosa di soluzioni destinate a cumularsi, intrecciando e alternando “diplomazia” e assemblearismo, ma che rimangono in ogni caso strettamente aderenti ai bisogni immediati dei lavoratori – lavoratori che saranno, in questa lotta per la conquista dell’egemonia all’interno delle organizzazioni immediate di lotta (oggi purtroppo ancora assenti), il nostro unico referente. Illudersi di conquistare l’egemonia nelle strutture sindacali nazionalistiche passate al nemico sarebbe tradire la consegna storica del movimento operaio passato sotto il maglio della repressione fascista, della guerra, della repressione stalinista operata da tutte le bande sindacali e politiche internazionali nel dopoguerra. L’invarianza dell’opportunismo non lascia spazio di alcun genere alla lotta indipendente di classe, e quella che un giorno fu una direttiva, contrastata dai comunisti, della Confederazione del Lavoro, oggi è un imperativo assoluto degli apparati sindacali, che si è espresso per anni come un diktat militare in ogni esperienza di lotta: “ impedire ai comunisti e ai lavoratori combattivi di penetrare in ogni struttura di base, denunciare apertamente i lavoratori ‘sovversivi’”!

Un’altra direttiva del Partito che in apparenza sembra essere un problema storicamente circostanziato, legato al 1921, è la risposta all’atteggiamento della CGL nei confronti dell’attacco militare dei fascisti contro le sue strutture (le Camere del Lavoro) e la tattica politica che i suoi dirigenti riformisti, all’unisono con i dirigenti del PSI, articolarono per mantenere il “confronto sociale” nell’ambito delle regole della democrazia (che equivale alla consegna del proletariato nelle mani della repressione). A ben leggere, invece, abbiamo una conferma dell’importanza che avrà la battaglia dei comunisti nelle organizzazioni di base, negli organismi sindacali come in ogni altro organismo di massa che si troverà al centro dello scontro politico – organismi che nel corso dello sviluppo della lotta di classe, e sulla base dei rapporti di forza che evolveranno a loro volta, diventino uno strumento con il quale il Partito Comunista incrementa la preparazione rivoluzionaria dell’intera nostra classe. Attorno a essi, si giocò una partita di straordinaria portata: solo la sottomissione degli organismi di lotta, la messa a ferro e fuoco delle organizzazioni territoriali, permisero il dilagare della valanga controrivoluzionaria: appunto su questo terreno, della difesa delle roccaforti, fu proprio il riformismo ad aprire le porte al nemico di classe. 

Le ultime direttive del testo sono un’ulteriore dimostrazione della continuità che contraddistingue l’azione dei comunisti, degli internazionalisti rivoluzionari – una continuità che travalica la continuità formale che caratterizza la nostra azione. Il nome della nostra organizzazione formale può anche cambiare, e il suo atteggiamento esprime la forza complessiva della classe di cui siamo espressione e il grado di energia della sua preparazione rivoluzionaria: siamo insomma – come i nostri più antichi lettori sanno – al tempo stesso prodotto e fattore della storia della lotta di classe. Ma la nostra continuità storica esprime in ogni momento quanto stabilito una volta e per sempre dal Manifesto del Partito Comunista nel (e dal) 1848: “I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte internazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere questi interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; dall’altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l’interesse del movimento complessivo. In pratica, dunque i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato pel fatto che conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario”.

 

Dalle “Direttive dell’azione sindacale del Partito Comunista” (1921)

I - Situazione internazionale sindacale

 

La sistemazione del movimento operaio italiano nei quadri internazionali – problema a cui il partito comunista fin dal suo sorgere ha dedicato la massima attenzione – non è certo ancora raggiunta, né si può dire che abbia fatto grandi passi coi congressi nazionali della Confederazione del lavoro e del Sindacato ferroviario. Non tutti i grandi organismi proletari italiani hanno ancora preso posizione chiara dinanzi al fondamentale dilemma: Mosca o Amsterdam? In seguito ai risultati del Congresso internazionale dei sindacati rossi, si dovranno definire la loro posizione in base alle chiare basi organizzative poste a Mosca.

Il Partito comunista constata che le risultanze conosciute dal congresso sindacale internazionale confermano la tattica da esso adottata in materia sindacale, e compendiata nell’appello lanciato tempo addietro per l’unificazione delle organizzazioni operaie italiane. Appena sarà ritornata la sua delegazione sindacale, il Partito comunista convocherà un convegno sindacale per definire il suo lavoro circa la questione internazionale e rivolgerà alle masse organizzate la sua parola circa l’atteggiamento da prendere nei congressi degli organismi “nazionali operai”.

  

II – L’offensiva dei dirigenti confederati contro i comunisti

 

Il Partito comunista deve però dire la sua parola ai lavoratori e ai suoi membri, che militano nelle organizzazioni economiche, su vari problemi importantissimi del momento attuale, riflettenti soprattutto le direttive della massima organizzazione operaia italiana: la Confederazione generale del lavoro, nella quale i comunisti formano la forte e combattiva opposizione all’indirizzo dei dirigenti.

Nella recente riunione del Consiglio direttivo della Confederazione è stato adottato un deliberato che prelude all’apertura anche in Italia di una campagna, che i dirigenti dei sindacati ancora dominati dal riformismo hanno adottata in molti altri paesi, sentendosi feriti direttamente dalla tattica sindacale dei comunisti. Mentre questi sono per l’unità sindacale e il lavoro all’interno dei sindacati contro i capi di destra, costoro minacciano di attuare la scissione operaia escludendo i comunisti dalle organizzazioni. Il Comitato esecutivo confederale ha avuto i poteri d’attuare queste espulsioni di organizzazioni o gruppi dall’organismo confederale.

Il chiaro obbiettivo dei mandarini della Confederazione, i quali si accorgono come la nostra offensiva faccia loro perdere terreno ogni giorno e prepari la liberazione del proletariato italiano dalla loro influenza addormentatrice, è di sabotare la formazione d’una maggioranza comunista nelle organizzazioni da loro dirette.

Il Partito comunista raccoglie in pieno la sfida lanciatagli in tal modo da coloro ch’esso ritiene i peggiori nemici della causa proletaria. Esso conferma anzitutto pienamente e incondizionatamente, anche dinanzi alla situazione creata dal deliberato confederale, la sua tattica di rimanere nella Confederazione, e di lavorare per attrarvi tutte le organizzazioni di sinistra; e tale dichiarazione deve servire di norma a tutti i compagni, che dall’atteggiamento dei bonzi traessero l’avventata conclusione che convenga predisporsi alla scissione sindacale. I comunisti non se ne vogliono andare e non se ne andranno dalle file delle organizzazioni confederali. Essi dichiarano arbitrario ogni atto tendente ad escludere dalle file del sindacato, non chi ne violi la disciplina specifica nella lotta contro i capitalisti, ma chi nel seno di esso agiti date direttive e metodi di lotta politica proletaria. Se alcuno deve essere eliminato dalle file dell’organizzazione, è chi ne rinnega nel fatto il principio fondamentale della lotta di classe, e costui va cercato appunto tra coloro che hanno votato a Roma quel deliberato, di cui la stampa capitalista ampiamente e logicamente si è rallegrata.

Il Partito comunista dichiara che i suoi aderenti lotteranno contro tutti i mezzi, nessuno escluso, contro quello che deve essere ritenuto un atto arbitrario ed un tentativo di sopraffazione, cioè contro lo sfratto anche di un solo comunista dalle file dell’organizzazione dei suoi compagni di lavoro. Ogni tentativo in questo senso venga dai nostri compagni – evitando ogni possibile fatto compiuto che possa stabilirsi nel senso delle impostazioni dei dirigenti confederali, come conseguenza di qualsiasi genere, rinunzia ai diritti sociali, ecc. – comunicato di urgenza al Comitato sindacale comunista locale e centrale, che darà le particolari disposizioni del caso. Restino intanto stabilite queste poche fondamentali direttive pratiche.

Se l’espulso è un organizzato, tutti gli organizzati comunisti lo sosterranno, esigendo che l’espulsione si discuta nell’assemblea della Lega, e boicottando ogni adunanza da cui lo si voglia escludere, con tutti i mezzi possibili.

Se l’espulso è un organizzatore, sia esso funzionario locale o delle Federazioni nazionali, i compagni organizzati chiederanno il pronunziato dell’organizzazione locale, proporranno che l’organizzatore venga riconfermato ed in caso estremo adotteranno il boicottaggio, in tutte le forme, del suo sostituito.

Se si volesse escludere un’intera organizzazione locale, essa si rifiuterà con tutti i mezzi di evacuare i locali sociali, e con l’appoggio delle altre organizzazioni comuniste interverrà a tutte le riunioni e congressi a cui ha diritto di rappresentanza, sotto pena di boicottaggio in tutte le forme dello svolgimento di dette adunanze.

Ulteriori misure potranno essere caso per caso indicate dai Comitati sindacali comunisti. La massima pubblicità sarà data dalla stampa del partito agli episodi di questa lotta, additando al disprezzo dei lavoratori coscienti le gesta reazionarie dei capi sindacali su questo terreno.

 

III – La politica di “pacificazione” dei dirigenti confederali

 

I comunisti restano nella Confederazione, e vi restano per esercitare a fondo la loro funzione di spietata critica alla politica dei dirigenti. Nessuna occasione deve essere trascurata per invitare le masse a disapprovare le trattative gli accordi coi fascisti, che per i comunisti hanno valore di tradimento della causa proletaria. Dovunque gli organizzati e gli organizzatori comunisti dichiareranno e spiegheranno chiaramente che la Confederazione del lavoro non può e non deve disciplinatamente impegnare i suoi iscritti a direttive d’ordine politico, che potrebbero risultare dalle sue intese con coloro che finora hanno impunemente posto a sacco le sedi proletarie. Se la Confederazione è “alleata” al partito socialista, lasci a quest’ultima la cura di dirigere in questo campo l’attività di quegli organizzati che sono iscritti o simpatizzanti socialisti. In realtà i dirigenti confederali, che nell’ultima loro riunione si sono espressamente occupati perfino della politica parlamentare, sono divenuti i dittatori dello stesso partito socialista, che stanno trasformando in un partito laburista legato alla loro politica di collaborazione e di corporativismo. I comunisti, che restano nella Confederazione, vi stanno per spezzare questa politica rovinosa per liberare le masse da questa dittatura controrivoluzionaria, lavorando alla penetrazione dello spirito comunista nei sindacati. Malgrado gli atteggiamenti dei dirigenti confederali, i comunisti contano sull’ausilio dei lavoratori organizzati nella lotta aperta contro le bande della reazione. Questa parola dev’essere portata in tutte le adunanze proletarie.

 

IV – Crisi economica e disoccupazione

 

Una direttiva unica deve essere data alla propaganda ed all’azione dei comunisti in questo campo. La critica più aspra dev’essere opposta all’indirizzo sancito in materia dagli organi confederali, e deve essere denunziata la loro acquiescenza alle impostazioni dei capitalisti. La chiusura delle aziende, l’insufficienza delle provvidenze governative in materia di sussidi e di concessioni di lavori pubblici, l’illusione di poter ottenere più efficaci interventi dello Stato per via parlamentare e collaborazionista, come si propongono i dirigenti confederali, l’arrendevolezza di questi dinanzi all’offensiva dei padroni contro i concordati conquistati dai lavoratori, sono tutti elementi che devono essere messi da noi nella loro vera luce, spiegando che, secondo la nostra tattica rivoluzionaria, una soluzione radicale di questi problemi non esiste che nella conquista del potere da parte del proletariato, che la evidente insolubilità di essi deve essere utilizzata per condurre appunto le masse a questa convinzione ed intensificare tra esse la preparazione rivoluzionaria, mentre i riformisti per evitare questo, illudono i lavoratori affermando che esista la possibilità di migliorare le difficoltà della crisi presente nell’ambito del regime attuale.

E’ importante mostrare che i dirigenti confederali, con tale politica, mentre nulla realizzano di concretamente utile alle masse, pongono la loro tesi collaborazionista e pacifista non solo al di sopra dell’interesse della rivoluzione, ma anche contro gli interessi immediati dei lavoratori, rinunziando, per non turbare le loro manovre e intese politiche con gruppi borghesi, all’impiego della forza sindacale del proletariato, per la battaglia contro l’offensiva padronale, che potrebbe venire ingaggiata quando si fosse veramente decisi a spingerla a fondo, sul terreno politico. Ciò sarà possibile solo sloggiando i disfattisti dalla dirigenza delle masse proletarie organizzate; e questi argomenti devono venire impiegati per attrarre i più larghi strati dei lavoratori nella lotta contro i dirigenti confederali.

Per la questione dei disoccupati, il Partito comunista lancerà tra breve un apposito appello. Dal nostro punto di vista questa diviene una questione squisitamente politica. Si deve svolgere la critica dei palliativi che propongono i riformisti. Lo Stato borghese, cui essi si rivolgono, non può provvedere alla tragica situazione delle folle dei senza lavoro che con misure inefficaci e aventi carattere di una grama beneficenza. Dal punto di vista di classe, una sola soluzione può essere agitata, il principio della sostituzione del sussidio con la corresponsione dell’intiero salario al disoccupato legittima in ragione del numero dei membri della sua famiglia. Questo principio, stadio elementare verso l’economia socialista, mentre è incompatibile con l’esistenza del potere borghese, sarebbe una realizzazione immediata del potere proletario, che intaccando a fondo i privilegi del capitale, stabilirebbe l’eliminazione di qualunque disparità di trattamento tra i lavoratori, sulla base dell’obbligo sociale del lavoro.

 

V – Tattica nelle agitazioni economiche

 

I riformisti sono soliti ad avvalersi di un argomento specioso contro i nostri compagni che lavorano nei sindacati, quello cioè che noi non avremmo la possibilità di fare, e non faremmo in realtà, nei conflitti sindacali, nulla di praticamente diverso da essi. Bisogna rispondere che i comunisti non si sognano di negare le conquiste contingenti della lotta sindacale nel campo della contrattazione delle condizioni di lavoro, che non escludono che sia problema tattico da risolversi volta per volta quello della convenienza di accettare o meno le proposte dei padroni, di spingere ad oltranza o di arrestare ad un certo limite gli scioperi. Né i comunisti pretendono di possedere una ricetta per vincere infallibilmente le agitazioni di carattere economico. Ciò che li distingue dai riformisti e dai socialdemocratici, è la propaganda rivoluzionaria che essi traggono occasione di esplicare da ogni episodio della lotta economica, il loro costante sforzo di creare nei lavoratori una coscienza politica e di classe. Inoltre i comunisti devono provare che il fatto che i grandi centri della rete dell’organizzazione proletaria siano in mano ad amici larvati della borghesia o ad avversari della preparazione rivoluzionaria, che considerano come il massimo pericolo l’allargarsi delle agitazioni ed il loro investire tutta la vita sociale e politica del paese, lega le mani ai lavoratori organizzati e ai loro organizzatori anche dove questi seguono le direttive comuniste. Siccome i comunisti sanno di non poter realizzare i loro scopi se le grandi masse sono ancora dominate dall’influsso dei capi sindacali, essi considerano al primo piano della lotta rivoluzionaria la necessità di sloggiare costoro, posizione per posizione, dalla organizzazione proletaria.

Tutta l’attività sindacale dei comunisti si basa su questa constatazione: che nell’epoca attuale di convulsionaria crisi del regime borghese, non è più sufficiente la semplice attività tradizionale dei sindacati, che vedono la loro azione divenire sempre più difficile man mano che la crisi si inasprisce. Per affrontare i problemi della vita quotidiana operaia, occorre poter controllare nel suo insieme il funzionamento della macchina economica per concretare le misure che possono combattere le conseguenze del suo dissesto. E’ illusorio che l’attuale sistema politico porga al proletariato il mezzo di esercitare una qualsiasi influenza sull’andamento di questi fenomeni, da cui pur dipendono le sue sorti e le sue condizioni di esistenza; e tutti i problemi si riducano a quello unico di sostituirsi, con un grande sforzo rivoluzionario di tutto il proletariato, alla classe dei suoi sfruttatori, che, detenendo il potere, impediscono qualunque mitigazione delle dolorose conseguenze del capitalismo, in quanto impediscono ogni limitazione dei privilegi dei capitalisti.

I sindacati devono quindi divenire le falangi dell’esercito rivoluzionario, imbevendosi dello spirito politico comunista, e lottare, inquadrati dal partito di classe per la conquista del potere, per la realizzazione della dittatura proletaria.

 
 
 
Note

 
 

1. Oggi si possono rileggere in Storia della sinistra comunista (luglio 1921-maggio 1922), Vol. IV, Edizioni Il programma comunista, 1997, pp.85-89. [back]

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2009)
 

 

 

2. Da Partito di classe e questione sindacale, Ed Il programma comunista, 1994. [back]
 
 
 
 
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