Lunedì 10 dicembre 2007, si è svolta la manifestazione per l’ennesima strage nei lager del lavoro: quella avvenuta nell’acciaieria Thyssen-Krupp di Torino. La presenza militante dei nostri compagni non ha voluto portare ai fratelli di classe uccisi una “testimonianza”, la solidarietà lacrimosa, un segno di lutto, ma la voce dell’odio di classe, le nostre rivendicazioni di lotta contro il capitale, unica causa delle stragi. Nessuna illusione sull’organizzazione e sulle finalità miserabili che la manifestazione si proponeva: “martiri del lavoro” sono stati chiamati i lavoratori dalle massime autorità sindacali e politiche dello Stato...

Nella solitudine tragica in cui la classe operaia oggi vive e lotta per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro, i nostri compagni hanno potuto toccare con mano la profondità della controrivoluzione imperante; hanno potuto comprendere la profondità dell’abisso in cui ci si trova per la lunga assenza di un risveglio, se non rivoluzionario, se non altro di lotta dura e intransigente, che lasci il segno per le generazioni future. L’esclamazione pronunciata dal padre di uno dei lavoratori uccisi e ripetuta ossessivamente dal corteo per le vie della città (“Pagherete caro, pagherete tutto!”) risuonava purtroppo come un antico rituale, piuttosto che come un grido di battaglia. Giunti in piazza e raccolti attorno al palco, dopo aver ascoltato le parole commosse di uno dei compagni di lavoro rimasti feriti, all’apparire del rappresentante sindacale della Fiom e al suo tentativo di parlare in nome dei lavoratori, questi ultimi, che lungo il corteo avevano contenuto la loro rabbia, si sono abbandonati a urla di odio: “Bastardi! Venduti! Assassini! Andatevene! Basta con la concertazione!!”.

Era tutto uno stringersi addosso al piccolo palco per manifestare contro i responsabili sindacali, che concordano turni, ritmi, produttività, flessibilità, orari, salari con il padronato, che disgregano la classe in mille categorie, per ricattarla all’unisono con la borghesia e il suo Stato. Nessuna illusione che quel coro di invettive, solo in parte spontaneo, si potesse trasformare in un momento di sana reazione classista, capace di spazzare via dalla piazza non solo le autorità istituzionali, presenti con i loro labari, ma la stessa presenza dei garanti sindacali del “governo amico”, oltre che dei tanto ossequiati rappresentanti dell’economia nazionale. Finito il pietoso discorso dell’oratore, per una decina di minuti, i lavoratori e i vari gruppetti di sinistra più o meno alternativa, sindacali e non, incerti sul da farsi, rimasti senza obiettivo contro cui rivolgere gli attacchi, hanno cominciato a sciogliersi. E a quel punto le organizzazioni sindacali, trattate così rudemente, hanno ripreso il sopravvento: che cosa c’era di meglio che incanalare la rabbia verso la sede dell’Associazione industriali? In questo modo, lentamente, il corteo s’è avviato con un lungo percorso verso il bastione immenso, circondato e difeso dai blindati. Dopo qualche piccolo fastidio alle forze dell’ordine, il corteo si è sciolto definitivamente: ma numerosi partecipanti l’avevano già abbandonato lungo il tragitto.

Il seguito (i funerali, la morte degli altri lavoratori, l’assenza di una dura risposta a livello nazionale, la “denuncia” delle “responsabilità”, la richiesta di “risarcimenti” alle famiglie) rientra in quella macabra routine burocratica, che contribuisce a schiacciare e martoriare più di un migliaio di lavoratori all’anno, vittime non solo della macchina capitalistica, ma anche di quella della dimenticanza – vittime di quella macchina sindacale e politica “di sinistra”, al soldo della borghesia, che ha il fine di cancellare il passato, la vita, la lotta, l’orgoglio stesso del movimento di classe. Ma verranno altri tempi: ed è per questa prospettiva che lavoriamo noi comunisti.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2008)
 

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