In una rapida rassegna critica sul Piano Monnet (Prometeo n. 6) avevamo dimostrato come questo piano di riat­trezzatura e potenziamento dell'appara­to economico francese si sarebbe tradotto in un intensificato ritmo di sfruttamento dell'operaio e in una riduzione dei consumi a profitto di uno sviluppo intensivo della produzione di beni ca­pitali. In realtà, il piano non perseguiva l'obiettivo di un miglioramento della si­tuazione economica delle grandi masse, ma quello di uno sviluppo del poten­ziale economico nazionale a sostegno della “politica di grandezza francese” auspicata tanto dalla destra borghese di De Gaulle quanto dalla sinistra borghe­se di Thorez.

 

 

Gli obiettivi sono stati, per quanto riguarda lo sfruttamento della forza-lavoro, pienamente raggiunti. La settimana lavorativa ha potuto essere aumentata senza provocare sensibili turbamenti sociali; i salari, pur non potendo essere rigidamente bloccati, hanno seguito so­lo da lontano il moto ascendente dei prezzi (rallentato, ma non interrotto dal­la politica governativa di controllo); i provvedimenti finanziari del governo Schuman hanno largamente tosato i ri­sparmi e le disponibilità liquide delle masse operaie e soprattutto contadine, accrescendo nello stesso tempo il carico fiscale; la produzione di beni capitali è ulteriormente aumentata uscendo dall'angolo morto delle difficoltà di approv­vigionamento di energia e di mezzi di trasporto. Ad un peggioramento delle condizioni di vita delle masse ha fatto da contrappeso l'aumento complessivo del­la produzione.

 

 

Il Rapporto sul semestre 1947 docu­menta che quasi tutti i rami industriali hanno realizzato il programma fissato dal Piano: l'hanno superato la produzio­ne di energia elettrica, di autocarri, di perfosfati, di concimi chimici, di carta. In complesso, la produzione industriale ha toccato il 98,2% della produzione anteguerra contro il 42% del 1945 e il 74 del 1946, e la disponibilità di beni e servizi è salita a 416 miliardi di fran­chi contro i 433 del 1938.

 

 

Ma, mentre i beni capitali disponibili avevano raggiunto l'indice 120 superan­do dunque il livello prebellico, i beni di consumo erano appena a 90 e la produ­zione agricola a 82. Anche il consumo era aumentato, ma solo per i beni stru­mentali, il che significa che le disponibilità monetarie affluivano in misura cre­scente verso gli investimenti, non si o­rientavano verso il consumo diretto. Il Commissariato del Piano stimava i nuo­vi investimenti a 29 miliardi di franchi contro i 19 del 1946 e gli 8 del 1938: ed è d'altra parte caratteristico che, nel settore delle industrie-chiave, gli inve­stimenti siano risultati superiori al pre­visto, mentre negli altri rami, che toc­cano più direttamente l’approvvigiona­mento delle grandi masse (agricoltura, edilizia, trasporti, commercio, servizi pubblici), non avevano raggiunto nep­pure le cifre preventivate. (È ben vero che l'aumento dei prezzi nel corso del­l'anno fa sì che le cifre complessive de­gli investimenti risultino in realtà più basse delle previsioni, ma il rapporto non cambia nel senso che si è preferi­to orientare comunque i capitali verso gli investimenti nelle industrie-chiave che in altri rami dell'economia nazionale).

 

 

Ma, rilevati questi aspetti dell'orien­tamento della economia francese e trat­tane nuova conferma a quanto prece­dentemente avevamo sostenuto, mette conto di sottolineare un nuovo e non meno suggestivo aspetto di questo che partiti della “democrazia progressiva” salutarono ai tempi come un piano de­stinato a rinnovare la struttura fondamentale della società francese e a porre su nuove basi l'edificio della sicurezza e del prestigio politico della Francia. È successo questo: che il finanziamento del piano di ricostruzione è avvenuto, fino a tutto il 1947, non già, come prevedeva­no i suoi ideatori, attraverso il ricorso al mercato dei capitali (dimostratosi e­stremamente prudente e sospettoso, con­tribuendo per una percentuale esigua agli investimenti) ma attraverso l'emis­sione di carta moneta o, in altre parole, con metodi inflazionistici. Secondo i calcoli ­ufficiali del Commissariato per il Piano l'istituto di emissione ha contribuito nel 1947 per non meno di 180 miliardi alla copertura delle spese pubbliche e degli investimenti (in complesso 460 miliardi), provvedendosi per il resto a crediti bancari e ai normali metodi di autofinanziamento. Il finanzia­mento del piano si è risolto così in un ulteriore incremento della spirale inflazionistica con gravissimo danno dell’economia francese in generale e riflessi ne­gativi sulle possibilità di regolare attua­zione del piano in particolare. Alla fi­ne del 1947, il destino del piano sem­brava segnato, e ci si poteva chiedere se, anche mettendo in conto i provve­dimenti governativi per il risanamento delle finanze dello Stato e della mone­ta, si sarebbe potuto continuare a parlare del “Piano Monnet” come di un piano a lungo respiro per la conquista di un reale equilibrio dell'economia francese. La “salvezza” è venuta dal piano Marshall, dalla prospettiva cioè di un ingente afflusso di capitali esteri rappresentati sia da prestiti, sia e soprattutto dal controvalore in franchi delle forni­ture americane (controvalore previsto in circa 200 miliardi annui, pari ai due terzi degli investimenti annui). D'altro canto, il governo americano riconosceva nel Piano Monnet un elemento essenzia­le della ricostruzione francese ai fini della ricostruzione europea e lo inseri­va come un particolare ingranaggio nel meccanismo generale dell'E.R.P. Così, nato come piano di ricostruzione nazio­nale con ambiziose finalità politiche nel quadro della “politica di grandezza”, il Piano Monnet, sia per le difficoltà inter­ne del suo finanziamento, sia per l'evol­versi della situazione internazionale, finiva per divenire il più efficace stru­mento per l'inserimento dell'economia, e quindi della politica francese, nell'orga­nizzazione politica ed economica del do­minio nord-americano sul mondo. È il destino di tutti i paesi usciti dalla guer­ra in condizioni di inferiorità assoluta di fronte ai grandi centri produttivi dell'America e della Russia: e l'ironia della situazione francese sta solo nel fatto che l'integrazione nel dispositivo mondiale americano sia avvenuta proprio attra­verso il canale di un piano elaborato e posto in esecuzione in vista di una politica nazionale di grandezza. 

 

Il Piano Monnet ha cessato di essere un piano francese per divenire uno dei piani secondari e gerarchicamente coor­dinati di un sistema che ha il suo perno e i suoi obiettivi fuori di Francia. Sennonché, è evidente che, “salvato” nelle sue stesse possibilità di realizzazione - giacché proprio di questo si tratta: o inserirsi nel meccanismo della po­litica americana degli “aiuti” o arenar­si, e arenare il faticoso processo della ricostruzione nazionale -  il Piano Mon­net non potrà più conservare la sua fi­sionomia originaria, ma sarà costretto a rivedere tutti gli elementi sul cui intreccio si era in origine basato, obbedire a esigenze nuove, integrarsi in un piano più vasto, sviluppare alcuni dei suoi settori e smantellarne altri, perdere insom­ma il suo equilibrio iniziale.

 

 

Il riflesso più immediato si avrà, na­turalmente, nella politica finanziaria, es­sendo, com'è noto, uno dei presupposti fondamentali dell'applicazione dell'E.R.P. l'avviamento alla stabilizzazione monetaria dei diversi paesi aderenti, in or­dine agli obiettivi generali di attuazione del piano Marshall. Ciò significherà non soltanto un'ulteriore limitazione dell'au­tonomia economica e politica della Francia, ma una revisione generale di tutti gli elementi di calcolo sui quali era costruito il Piano Monnet. E si dovrà ricominciare da capo.

 

 

In Francia, come in tutti i paesi occi­dentali, il capitalismo si salva alla sola condizione di vendere la propria gelo­sa indipendenza a Zio Sam: le lacri­me di coccodrillo di De Gaulle e di Tho­rez non cambiano nulla a questa realtà di fatto. Il Piano Monnet starà in piedi solo perché avrà cessato di essere sé stesso.

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