AL PROLETARIATO D’ITALIA

Da due anni la classe operaia italiana ha dovuto piegare a poco a poco sotto la pressione violenta dell’offensiva capitalistica, senza potere arrestarla neppure sulla linea dei suoi interessi più elementari.

Tutte le libertà civili, sindacali e politiche sono state calpestate; il tenore di vita degli operai e dei contadini è andato sempre più peggiorando; l’Italia fascista ha strappato ai lavoratori le conquiste economiche e sociali raggiunte in quasi un trentennio di lotta. L’andata al potere dei fascisti non ha fatto che porre il suggello di una tragica “legalità” ai risultati di tutto lo sviluppo dell’offensiva capitalistica. Nel loro programma di governo resterà in piedi la parte che traduce direttamente gli interessi ed i propositi della borghesia agraria ed industriale, delle Banche e della casta militare, ben decise a sfruttare fino all’ultimo il mal conquistato potere.

Venuta a mancare, con la fine della guerra, la facilità degli enormi guadagni, al capitalismo incapace di tentare qualsiasi altra via, da un lato prepara l’offa [il boccone – NdR] di nuove guerre, dall’altro tende a garantirsi i suoi profitti applicando agli operai e ai contadini d’Italia, come degli altri paesi, lo stesso feroce sfruttamento già in uso per i popoli coloniali. I lavoratori italiani sono ridotti nelle stesse condizioni dei “coolies” cinesi e dei “fellahs” egiziani.

Di fronte all’enorme passivo annuo di parecchi miliardi che colpisce di un marasma insanabile bilancio dello Stato italiano, il Governo fascista non ha saputo che prospettare il rimedio di “economie” che, nella loro parte più importante e reale, avranno per conseguenza di rendere più implacabile per i lavoratori, già ridotti all’orlo della disperazione, il flagello della fame e della disoccupazione.

RESISTERE E LOTTARE

Nessuna illusione quindi è lecito farsi sul mutamento della situazione della classe lavoratrice, che non sia basata sulla riorganizzazione delle sue capacità di resistere e di lottare. Perché ciò sia possibile, è necessario esaminare freddamente gli errori e le colpe del passato, i pericoli da evitare e da superare, e proporre nella lotta comune compiti e metodi adeguati: il distacco del P.S.I. dalla Terza Internazionale e della Confederazione generale del lavoro dalla Internazionale dei Sindacati rossi avvenne nei primi mesi del 1921, proprio quando l’offensiva legale ed illegale del capitalismo stava sviluppandosi, e con tale distacco il proletariato italiano fu piombato nel più grande disorientamento, [e] per esso fu lasciato il varco aperto alle manovre dell’opportunismo riformista che trascinava le Organizzazioni politiche e sindacali di maggioranza del proletariato italiano sulla via della collaborazione coi suoi peggiori nemici.

L’istinto classista delle masse portò il P.S.I. a riconoscere verso quale abisso andava precipitando e il Congresso di Roma liquidò l’ibrido suo connubio con i socialdemocratici. Gli elementi massimalisti hanno finalmente riconosciuto che la loro solidarietà con i riformisti impediva una efficace difesa degli interessi della classe lavoratrice e li hanno abbandonati ai loro miserimmi intrighi collaborazionisti che sono stati fonte di tanti errori e di tanti disinganni. Il ritorno del P.S.I. alla Terza Internazionale, la sua conseguente fusione col P.C., l’entrata delle masse che lo seguono nel campo d’azione dell’I.S.R. [Internazionale dei Sindacati Rossi – NdR], ridaranno ai lavoratori italiani la possibilità di riprendere sulla base di una unità salda e omogenea, la lotta da cui per errori troppo amaramente scontati erano stati distolti.

CONTRO IL COLLABORAZIONISMO PER LA LOTTA DI CLASSE 

La condizione essenziale per la ripresa del movimento operaio è che la classe lavoratrice ritrovi la bussola della propria azione, riprenda fiducia nelle proprie forze e soltanto in esse.

Se anche il compito può parere più arduo e ingrato, ora più che mai i lavoratori non devono contare per la propria emancipazione che in se stessi.

Perciò dobbiamo denunziare come il peggiore disfattismo l’azione dei dirigenti confederali che, trascurando ogni loro lavoro di preparazione e di mobilitazione intelligente e metodica delle forze e delle risorse della classe lavoratrice, tende invece a valorizzare mezzi e scopi che sono illusori ed in contraddizione con gli interessi essenziali, con le più urgenti esigenze del movimento operaio. La politica confederale di questi due ultimi anni di ininterrotte sconfitte della classe operaia si è basata tutta sulla pertinace illusione del collaborazionismo e del sabotaggio della lotta di classe.

Il magnifico movimento delle invasioni delle terre e dell’occupazione delle fabbriche del 1920 fu soffocato per non compromettere la soluzione sperata della combinazione ministeriale, prezzo che si attendeva dalla borghesia in cambio dell’avere, secondo la cinica confessione di D’Aragona, “impedito la rivoluzione”. Lo sviluppo dei Consigli di fabbrica, degli organi naturali della lotta per il “controllo operaio” fu osteggiato dei dirigenti confederali, in tacito e pieno accordo con gli industriali, e fu decantata come una vittoria la leggina sul “controllo sindacale”, diventata una atroce burla per gli operai che, disarmati, rimasero esposti ai colpi delle feroci vendette personali. Tutta l’offensiva capitalistica, sferratasi contro i salari degli operai e contro le otto ore, accompagnata dall’inizio e dal rapido dilagare del terrorismo fascista nella Valle del Po, trovò i riformisti della Confederazione completamente impreparati, decisi solo a impedire ogni serio tentativo di resistenza, intenti nella illusione di disarmare la volontà della borghesia sempre più chiare e risoluta a riprendere interamente tutto il potere perduto e di valersene fino alle estreme conseguenze.

Così alla proposta del fronte unico, caldeggiata dai comunisti, i dirigenti confederali opposero al Consiglio nazionale di Verona il diversivo della “inchiesta sull’industria”; così alle insistenti pressioni per la ripresa della lotta di classe, a cui si associarono nel Consiglio nazionale di Genova (luglio 1922) anche i massimalisti, essi non seppero rispondere che con la “valorizzazione dell’azione parlamentare”; così nell’Alleanza del Lavoro, i riformisti con la complicità degli pseudo rivoluzionari infeudati alla massoneria, dopo aver lasciato trascorrere tutti i momenti in cui la lotta poteva essere ingaggiata nelle migliori condizioni, lanciarono con una incoscienza che equivale al più nero tradimento, la classe lavoratrice allo sbaraglio, in un movimento di cui avevano trascurato qualsiasi preparazione, al solo scopo di valersene per premere sulla crisi parlamentare dopo la caduta del primo Ministero Facta, e ottenerne una soluzione così detta di sinistra.

Questa rapida sintesi della tragica esperienza del proletariato italiano vale a constatare il fallimento radicale del collaborazionismo; e a dimostrare che esso è stato il peggior nemico della classe operaia, perché ha impedito ogni serio lavoro per riorganizzare la resistenza e perché partiva dalla premessa disfattista della sfiducia delle masse nella ripresa della lotta con le loro forze e per i propri fini.

PER L'INTERNAZIONALISMO DEI SINDACATI 

La ripresa del movimento operaio deve mirare non solo a ristabilire le condizioni materiali per il funzionamento dei Sindacati, ma anche e soprattutto a impedire la riuscita del tentativo fascista attorno al quale si va sempre più delineando la complicità dei dirigenti confederali, di spogliare i Sindacati di tutto il loro carattere classista ed internazionalista.

L’internazionalismo dei Sindacati non è puramente un’esigenza “tecnica” (per la tutela dell’emigrazione, ecc.), come vilmente si riducono a sostenere i socialdemocratici, esso è connesso a tutto processo di sviluppo del movimento operaio, al senso intimo e storico della Rivoluzione proletaria, alla missione propria del proletariato che emerge in modo singolare nel presente periodo di crisi mondiale del capitalismo. Tutto il mondo si dibatte in una crisi insanabile che, con maggiore o minore gravità, ha caratteri comuni in tutti i paesi; il mondo soffre soprattutto dell’anarchia capitalistica che accumula sempre nuove rovine. Il sistema della “libera concorrenza” fra gli Stati è completamente impotente a dare al mondo un assetto qualunque, a liberarlo dall’eterna vicenda di brevi periodi di sosta che preparano nuovi sconvolgimenti. Il mondo ha un profondo bisogno di ordine, di unità. Lo stesso imperialismo, secondo l’acuta analisi del compagno Trotski, non è che “l’espressione rapace di questo bisogno di unità e di direzione per tutta la vita economica del globo”; è l’espressione, nel solo modo possibile per il capitalismo, del compito essenziale dell’epoca nostra: “il coordinamento della vita economica di tutte le parti del mondo e la creazione nell’interesse di tutta l’umanità, di una produzione mondiale armonizzata, penetrata del principio dell’economia delle forze e dei mezzi”. Ma il capitalismo non è più in grado, per le contraddizioni scatenate nel suo seno, di sviluppare le premesse da lui stesso poste: tale compito diventa proprio del socialismo, della classe operaia internazionale, la quale soltanto può proporselo ed attuarlo. Rinunciare all’internazionalismo dell’azione sindacale vuol dire diventare i sabotatori della sola “ricostruzione” possibile, quella attuata dalla collaborazione di tutti i proletariati, dai produttori di tutto il mondo, per l’amministrazione e la direzione internazionale delle varie economie nazionali e per la loro armonica coordinazione nel comune interessi. Rinunziare all’internazionalismo vuol dire diventare i complici del consolidamento del potere borghese nell’orbita nazionale, vuol dire radicare e favorire la continuazione dell’anarchia capitalistica e del suo processo interminabile di crisi, di distruzione e di guerra. Per queste ragioni noi dovremo difendere con tutte le nostre energie la libertà di sviluppo in senso internazionale dello spirito, del metodo, dell’inquadramento del movimento operaio. Il movimento operaio ha una sua politica di ricostruzione, una sua politica internazionale: l’una sta alla base dell’altra; se vi rinunciasse verrebbe a mancare all’umanità il solo contributo possibile, il solo fattore sicuro per la sua vittoria contro la tragica impotenza – attiva solo nel male – del sistema capitalistico.

SINDACATI E PARTITI POLITICI

Il proletariato deve quindi poter fare nelle sue Organizzazioni la “sua politica”. Ciò pone il problema dei rapporti fra Sindacati e Partiti politici proletari. Il sistema dei “patti di alleanza” basato sull’assurda separazione tra lotta economica e lotta politica e sull’erroneo concetto di eguaglianza tra Sindacato e Partito politico della classe lavoratrice, combattuto vigorosamente da Rosa Luxemburg fin dal 1907, è ormai tramontato e va abbandonato senza rimpianti. Con ciò non deve però essere aperto il varco alla concessione della “neutralità politica dei Sindacati” che si risolve praticamente in un tentativo dei riformisti e dei fascisti di impadronirsi dei Sindacati per farne uno strumento di politica borghese e controrivoluzionaria. Noi, che siamo per l’indipendenza organizzativa dei Sindacati da qualsiasi Partito (ed anche dallo Stato borghese e dai suoi organi di controllo e di pressione), mettiamo in guardia il proletariato contro i propositi dei dirigenti confederali alleati ai vecchi refusi [sic!] del sindacalismo, di trasformare l’Organizzazione sindacale in un “Partito del lavoro” collaborazionista e rinunciatario; contro inoltre la precisa volontà dei fascisti, i quali hanno dimostrato, in occasione del patto firmato da Giulietti per la Federazione dei lavoratori del mare, di intendere l’indipendenza dai partiti proletari e la loro diretta subordinazione al Partito politico fascista, che intende assumerne la effettiva gestione. L’organizzazione libera, come tale, da ogni rapporto con i Partiti politici deve accogliere nel suo seno tutti i proletari impegnati nella lotta contro lo sfruttamento capitalistico e disposti a svilupparla fino alla loro integrale emancipazione. Nel quadro unitario di tale organizzazione ciascun gruppo politico di lavoratori organizzati proporrà la propria ideologia, il proprio programma e i propri metodi.

Quella che sarà riconosciuta dalle masse sindacali, attraverso l’esperienza della lotta comune, come la più rispondente ai loro interessi e ai loro bisogni, finirà per prevalere, col diventare la “politica” sindacale.

PER LE MASSE CONTRO LA DITTATURA DEI FUNZIONARI

Ma perché questo processo di selezione di metodi e di originale e libera formazione di una coscienza politica che discuta il contenuto dell’azione sindacale sia possibile, è necessario che le masse organizzate possano partecipare in modo più diretto e più continuo alla vita sindacale.

Il sistema instaurato, specie in questi ultimi tempi, da parte dei dirigenti confederali, di prendere iniziative della massima gravità senza consultare le masse e violando apertamente gli statuti ed i deliberati dei Congressi nazionali, porta a una grande confusione negli spiriti e demoralizzazione negli animi.

Bisogna che cessino questi “pieni poteri” della burocrazia confederale, specie nel periodo in cui sono in gioco i più gelosi interessi del movimento operaio. L’organizzazione di classe abbia i caratteri di una vera democrazia proletaria. Comandi la massa, i funzionari obbediscano.

SINDACATI E FASCISMO

Una delle manifestazioni più scandalose dell’usurpazione da parte di organizzatori e di dirigenti confederali di poteri che non erano loro stati conferiti è nella tattica di fronte ai cosiddetti “Sindacati” fascisti. La Confederazione generale del Lavoro, sempre pronta a minacciare di scomunica le minoranze comuniste, ree di voler difendere a tutti i costi il carattere e il metodo classista dell’azione sindacale, ha fatto finta di non accorgersi del patto segnato da Giulietti, non ha provveduto contro l’“indisciplina” di uno dei suoi maggiori esponenti. L’iniziativa della “Costituente del Lavoro”, si compie con la partecipazione di noti organizzatori confederali, senza che costoro siano stati sconfessati pubblicamente, e denunciati come traditore della classe lavoratrice. Gran parte poi dell’azione di propaganda per lo snaturamento dei Sindacati si svolge con la compiacente complicità dei dirigenti riformisti su quella stampa borghese che è più intimamente legata agli interessi del capitale finanziario e che è uno strumento della dittatura fascista.

Nei problemi dei rapporti con i Sindacati fascisti non è possibile ignorare la loro natura puramente coatta, il loro carattere extrasindacale.

Pur sapendo che le masse che vi sono inquadrate, non sono già passate dall’altra parte della barricata, ma sono soltanto demoralizzate e terrorizzate, non riteniamo possibile una pura e semplice immediata “fusione” di tali organismi con la Confederazione generale del Lavoro perché manca ad essi la facoltà di esercitare una qualsiasi libera attività di natura sindacale. Il problema va invece affrontato per altra strada.

Occorre riprendere con alacrità il terreno di riorganizzazione sindacale, di rafforzamento delle Organizzazioni classiste nei centri industriali, dove appunto i Sindacati fascisti sono rimasti sparuti tentativi, perché non è stato possibile ai Fasci di mantenere una permanente occupazione terroristica. Soltanto in questo modo noi potremo creare dei punti di appoggio solidi per iniziare la liberazione anche delle classi contadine. Parallelamente a tale azione, le contraddizioni implicite nel programma economico e nell’azione sindacale fascista avranno il loro inevitabile sviluppo. Il ritorno delle masse sindacali fasciste in seno all’organismo unitario confederale sarà allora la vittoria dell’organizzazione di classe, della coscienza di classe, colle sue esigenze, con le sue possibilità su tutte le deformazioni e le adulterazioni subite sotto la pressione della fame e del randello. Noi siamo quindi contro a una fusione che sia unicamente il prodotto di un patto di infamia tra capi riformisti e capi fascisti, allo scopo di meglio impedire la rinascita classista dei Sindacati per completare l’opera di distruzione già apportata dall’offensiva capitalistica.

PER IL FRONTE UNICO

Di fronte alle gravi difficoltà della situazione, alla complessità dei problemi che ne derivano; di fronte ai molteplici tentativi, che nelle forme più diverse concludono a negare praticamente ai lavoratori il diritto di perseguire direttamente, con l’uso delle loro forze, il raggiungimento delle loro conquiste, occorre tesorizzare tutte le risorse residue della classe operaia e mobilitarle con un lavoro instancabile di riorganizzazione. Nessun mezzo a ciò è superfluo, nessuna possibilità deve andare perduta, per ottenere ciò; la tattica del fronte unico si impone con una evidenza palmare. Al collaborazionismo dei riformisti, respinto momentaneamente solo per volontà dei fascisti, ma che persiste a tessere la sua tela mortale, si deve contrapporre la necessità del fronte unico di tutti i lavoratori, oppressi dall’inasprita schiavitù, impegnati in uno sforzo tenace, intenti alla ripresa della loro resistenza e alla ricostituzione dei loro effettivi di combattimento. Il primo obiettivo di questo fronte unico è quello della ripresa sindacale; ogni passo fatto in questa direzione, se anche può apparire assai meno suggestivo dei passi cari alla nuova diplomazia dei dirigenti confederali, rimane acquisito al proletariato. Rifare i Sindacati, ecco la prima parola d’ordine del fronte unico. Noi non ci dobbiamo stancare di proporla quotidianamente in tutte le occasioni a tutti i lavoratori, anche ai socialdemocratici, per obbligarli a scegliere fra la lotta di classe e la collaborazione, fra gli operai e la borghesia, per lavorare con essi o per smascherarli nel caso di un ostinato rifiuto. Nella composizione sociale del fascismo vi sono certamente strati [e] categorie che non tarder[anno] a non riconoscere che fascismo è stato movimento fatto dalla media borghesia ad esclusivo vantaggio delle caste agrarie, industriali e militari di cui quella è stata l’incosciente strumento: ma la condizione perché si possono utilizzare le contraddizioni insite nel regime fascista [sta] precisamente nel risorgere del movimento sindacale in cui la classe lavoratrice ritrovi la sua unità, e come unità di insieme possa muoversi nel gioco delle forze sociali e diventare il centro attorno a cui si accoglieranno tutte le forze interessate nella lotta contro la dittatura del capitale instaurata sotto gli auspici del fascismo.

IL PROGRAMMA SINDACALE DEL FRONTE UNICO

Il fronte unico non può essere soltanto il risultato di un’azione di propaganda e di persuasione; esso deve cementarsi nell’azione quotidiana, deve risultare come l’esigenza palese di tutta la vita sindacale. Esso deve proporsi le rivendicazioni in cui sono interessati tutti indistintamente i lavoratori, che sono poste dalla realtà della vita operaia come necessità insopprimibili; le rivendicazioni cioè:

1) Per i concordati collettivi per l’industria e per l’agricoltura, difesa del tenore di vita dei lavoratori e delle clausole contrattuali per il caro-viveri.

2) Per le otto ore di lavoro, anche in relazione al problema della disoccupazione.

3) Contro ogni imposizione tributaria sui salari.

4) Contro la politica dei tributi indiretti, volta a colpire i consumatori e ad aggravare il disagio della classe lavoratrice.

5) Per la conservazione delle assicurazioni sociali, la loro estensione al proletariato agricolo e la loro integrazione con nuove provvidenze per l’assistenza ai disoccupati e alle loro famiglie.

6) Per una politica di difesa degli inquilini poveri.

7) Contro il passaggio delle Aziende statali alla gestione privata.

8) Per il funzionamento delle Commissioni interne, per la tutela efficace degli interessi degli operai sul luogo di lavoro.

Condizione pregiudiziale perché tutte queste rivendicazioni possano essere perseguite, è la libertà integrale di funzionamento dei Sindacati e la lotta che tutte le riassume per la libertà di associazione, di riunione, di sciopero e di stampa.

LA PAROLA D'ORDINE DEL GOVERNO OPERAIO

L’azione quotidiana sistematica, fatta col mezzo del fronte unico per agitare queste rivendicazioni immediate nella situazione presente, deve sboccare in un’azione politica generale della massa lavoratrice. Ogni particolare successo sul terreno sindacale e politico – come si è potuto constatare per l’amara esperienza di questi ultimi anni – diventa in breve tempo illusorio e vano dove esso non sia consolidate e reso stabile dalla conquista del potere da parte di quella classe che vuole servirsene per garantire nell’interesse di tutti i produttori le conquiste immediate e svilupparle verso nuove forme di organizzazione sociale. Le stesse libertà politiche sindacali, anche se riconquistate con l’opera attiva sopra accennata, saranno sempre in pericolo ove il potere non sia nelle mani della classe lavoratrice di modo che il programma del “Governo operaio” sia lo stesso programma del fronte unico proletario. La parola d’ordine del Governo operaio è destinata a chiamare a raccolta tutte le forze del proletariato, a coalizzare i Partiti proletari e a lanciare contro la dittatura del capitale e della speculazione tutte le forze sane della produzione e del lavoro. I consensi che il disgusto e l’aborrimento e le sofferenze e le distruzioni seminate dalla marcia fascista provocheranno, devono essere utilizzati perché lo sforzo eroico e tenace della classe lavoratrice per debellare la reazione, si risolva nella creazione di un Governo capace di dare in Italia una politica interna e una politica estera conformi agli interessi della grande maggioranza della sua popolazione, che sono in antitesi radicale con le tendenze e con l’azione della dittatura fascista.

IL PROGRAMMA DELLE SINISTRE SINDACALI

Nel quadro unitario del fronte unico, l’intesa delle Sinistre sindacali deve continuare la sua azione, già promettente per la difesa del carattere classista ed internazionalista dei Sindacati. Anche se ciò comporterà la rinuncia alla partecipazione agli organi consultivi dello Stato, osserviamo che tale partecipazione è un piatto di lenticchie e per il quale proletariato non è disposto a spogliarsi dei suoi diritti più essenziali.

Occorre battere in breccia la concezione e la tattica pacifista e collaborazionista dei “ricostruttori” di Amsterdam, che determinano l’impotenza del movimento sindacale, impediscono ogni azione di masse e le disarmano proprio allora che l’offensiva del capitale si estende e si approfondisce. La parola d’ordine: Per Mosca, contro Amsterdam, è la consacrazione della tattica classista che deve vivificare i Sindacati e metterli in condizione di affrontare la nuova situazione. Noi – come del resto i comunisti di tutti paesi – non vogliamo andare all’I.S.R. [Internazionale dei Sindcati Rossi] come una frazione piccola o anche considerevole del movimento operaio, ma soltanto dopo averne conquistata la maggioranza per poterci in tal modo assumere davanti a tutta la classe operaia la diretta responsabilità della nuova tattica e del nuovo orientamento. Non siamo portati a ciò soltanto da ragioni legate alla tattica generale della di I.S.R., ma anche dalle necessità della situazione italiana che esige che nulla sia lasciato intentato per conservare l’unità del movimento sindacale e per far fallire i propositi di scissione che i dirigenti confederali da tempo covano nell’animo. Nel periodo più tragico della storia del movimento operaio italiano, dopo la salita potere di Mussolini, quei dirigenti si sono riuniti soltanto per lanciare il grido di guerra contro i comunisti, essi che di fronte al fascismo sono stati in passato tanto remissivi ed incapaci, che al fascismo stanno avvicinandosi a grandi passi, appuntando tutte le loro residue energie per la lotta contro le avanguardie rivoluzionarie dei Sindacati. Noi dobbiamo assolutamente sventare questo gioco. Faremo all’unità tutti i sacrifici necessari che non comportino la rinuncia a difendere e a propagare nel quadro della disciplina comune, le nostre convinzioni. Ma su questa linea tattica resisteremo contro l’azione delittuosa che tende all’ulteriore sgretolamento dei sindacati con tutte le nostre forze; anche se l’espulsione dei comunisti sarà la condizione per suggellare il patto d’infamia tra fascisti e i dirigenti confederati, anche cioè se dovremo lottare contro gli uni e gli altri, la nostra ferma volontà si esprime oggi in questa parola d’ordine, la cui praticava difesa con la massina energia: “Per l’unità proletaria contro ogni scissione”.

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