DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Per quanto affetti di richiamarsi ai canoni critici ed interpretativi del mar­xismo, questo volumetto di Cesare Dami (Esperienze di economia pianificata, ed. Einaudi, 1950) si muove in realtà nell'ambito della polemica borghese sulla maggiore o minore economicità dell'economia controllata o diretta in rappor­to all'economia della cosiddetta libera concorrenza, e il suo assunto è dimo­strare, cifre alla mano, come gli incrementi produttivi di questo dopoguerra siano stati possibili solo in virtù della pianificazione economica. In altre pa­role, l'intervento dello Stato nell'economia, la direzione o il controllo centrali della vita economica, sono concepiti non come il portato di un'evoluzione sto­rica che ha le sue radici nello stesso meccanismo del regime capitalista e per­ciò come il termine di approdo obiettivo e necessario dell'evolversi del capi­talismo, ma come un'alternativa, un metodo di conduzione che si tratterebbe di scegliere a preferenza dell'altro, ed applicare, in funzione della dimostrata sua capacità di potenziare la macchina produttiva. Si legga il capitolo sulle « ragioni del generalizzarsi delle forme di pianificazione economica », e si con­staterà come queste ragioni siano cercate ora nell'esigenza del pieno im­piego dei fattori produttivi, ora in quella dell'ammodernamento e della razio­nalizzazione, ora in quella di un maggior grado di coordinazione fra le atti­vità produttive, o di una migliore distribuzione dei fattori della produzione, o del risollevamento di aree depresse, o del maggior collegamento fra le eco­nomie nazionali, cioè negli aspetti esteriori e nelle forme, per così dire, ana­litiche del fenomeno della pianificazione, invece che nelle tendenze e nelle necessità profonde di conservazione dell'economia del profitto.

 

Questo metodo di impostare il problema, che è appunto l'inverso del meto­do marxista, permette d'altra parte a noi di trovare un'altra e indiretta confer­ma alle nostre tesi. Il Dami finisce infatti per mettere sullo stesso piano quelle stesse forme economiche che, secondo il suo assunto dichiarato, dovrebbero contrapporsi come antitetiche: fra economia sovietica ed economia, poniamo, americana, v'è soltanto differenza di gradi, non di qualità, il divario che corre fra una struttura economica pianificata « pura » ed una struttura pianificato mista. Come potrebb'essere diverso, d'altronde, quando si istituisce un'identità meccanica fra collettivismo e pianificazione statale? Su questo piano, le anti­tesi classiche del marxismo si stemperano in altrettante identità dinamiche, e la « pacifica coesistenza fra capitalismo e socialismo » tanto cara agli staliniani è dimostrata anche sul terreno economico.

 

Potrà essere interessante leggere, raccolti in sintesi, i dati statistici sui ri­sultati della pianificazione economica in tutti i Paesi di questo dopoguerra; ma che dire della serietà scientifica di un autore e di un editore che si piccano di simpatie marxiste e che annunciano urbi et orbi: «Si ha sistema collettivista od economia pianificata quando: 1) la distribuzione dei fattori di produzione fra i vari impieghi è effettuata direttamente mediante un piano centrale senza che con essa possa interferire alcun diritto privato di disporre dei beni di pro­duzione; 2) l'equilibrio fra quantità offerte e domandate è assicurato diretta­mente dall'autorità centrale, la quale può anche tener conto delle preferenze dei consumatori così come si manifesterebbero su di un mercato, e lasciare libertà di scelta dell'occupazione, ma comunque non si affida alle sole forze che nel mercato tendono ad assicurare l'equilibrio stesso, ma cerca di raggiun­gerlo attraverso alla diretta fissazione dei prezzi» (pag.19). A questa stregua « collettivismo » era l'economia nazista, è almeno tendenzialmente l'economia pianificata laburista, è l'economia moderna di guerra, è insomma la forma e­strema del capitalismo, e Marx diventa un aspirante al « brain trust » di un Roosevelt o di un Truman. Ma tant'è: siamo nell'èra del bestione trionfante; il bestione, ahimè, ca­muffato da marxista!

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