DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

(Il Comunista, 6 maggio 1922)

Quantunque scritto prima della giornata del 1° Maggio, questo articolo di Zinoviev è necessario sia conosciuto dai compagni onde essi possano seguire lo sviluppo, e nella teoria e nella pratica, della tattica del fronte unico. Inutile ricordare, a coloro i quali co- noscono il pensiero di Bordiga, che il punto di vista che egli sostiene non è già che oggi si tratti soltanto di azioni economiche, ma che sul terreno sindacale l’unità di fronte trova la sua naturale esplicazione e la base organica che le è propria [Nota della redazione de Il Comunista].

 

Non conosciamo ancora, nel momento in cui scriviamo, tutti i particolari della Con- ferenza di Berlino. A quanto ci risulta, ci sembra che Lenin abbia ragione quando critica alcune concessioni fatte. Ma l’Esecutivo non potrà farsi un’opinione definitiva se non dopo avere preso conoscenza del rapporto della sua delegazione e di tutti i documenti più importanti relativi alla Conferenza di Berlino. In ogni caso non vi può essere dubbio che l’Esecutivo ratificherà l’impegno concluso.

Così ad ogni modo un piccolo passo è fatto. I particolari non debbono impedire la vi- sione delle prospettive essenziali. Le situazioni concrete di una prima Conferenza non hanno, in fondo, che un valore episodico.

Guardate al di sopra e al di sotto di voi, diremo ai lavoratori di tutti i paesi. Pensate a ciò che sta accadendo tra milioni di operai e di operaie perché in ultima analisi è questo l’elemento determinante della vera lotta politica e non già i sotterfugi dei capi della seconda Internazionale e della Internazionale 2 e mezzo.

Certo non è privo di interesse il vedere l’opportunista più abile, Serrati, cogliere a volo l’occasione di rafforzare la sua situazione scossa agli occhi dei rivoluzionari d’Italia, e presentarsi a Berlino quasi come un convinto difensore della Terza Internazionale. Ed è pure divertente osservare Bauer e Federico Adler sostenere con la più grande serietà la parte di spettatori imparziali della grande controversia tra le Internazionali rossa e gialla. Ma il pathos scenico del borghese travestito Vandervelde, il quale continua ad attribuirsi il compito di difensore della classe operaia, fa sorgere in ogni cosciente lavoratore un sentimento ben definito. Non si può a meno di sorridere quando si viene a sapere che Vandervelde, Paul Faure, Shaw, Wells e altri “socialisti della corte di S.M. il Capitale” hanno, alla fine della Conferenza, cantato l’Internazionale. Non l’hanno dunque ancora dimenticata del tutto? Ma questi non sono altro che par- ticolari e accessori.

Guardate in basso, compagni operai, e capirete perché i Vandervelde, e gli Schei- demann stessi, malgrado il loro odio mortale contro l’Internazionale comunista deb- bono entrare (o almeno fingere di entrare) nella via del fronte unico.

Gettiamo lo sguardo sugli avvenimenti che si svolgono attualmente nei più grandi paesi.

Che avviene in Inghilterra? A cominciare dallo sciopero dei minatori del 1921 fino alla serrata dei metallurgici che ha colpito il 25 marzo scorso 700 mila operai e fino allo sciopero e alla serrata dei cantieri di costruzioni marittime che il 29 marzo scorso si estendeva a 350 mila operai, noi vediamo sempre la stessa cosa: su tutta la linea il capitale prende l’offensiva premendo gli operai e, diminuendo i loro salari, strap- pando loro i diritti elementari conquistati nel corso degli anni precedenti a prezzo di immensi sforzi.

Passiamo alla Germania. Il secondo semestre del 1921 è pieno di grandi scioperi difensivi e di serrate. Dal 2 al 9 febbraio 1922 lo sciopero dei ferrovieri si estende a 800 mila lavoratori. Dal 5 al 10 febbraio 70 mila dipendenti del Comune di Berlino in- terrompono il lavoro. Durante le ultime settimane, a decine di migliaia i metallurgici e gli operai di altre industrie lottano con lo sciopero e sono colpiti dalle serrate. Le cause sono le stesse dell’Inghilterra: limitazione delle maestranze, prolungamento della gior- nata di lavoro, diminuzione dei salari.

In Cecoslovacchia tutti i minatori del paese (200 mila circa) prendono parte allo sciopero generale dal 23 gennaio al 10 febbraio di quest’anno. È un’azione difensiva contro la riduzione dei salari. Un gruppo dopo l’altro, i lavoratori cecoslovacchi, persino gli im- piegati di banca, debbono ricorrere allo sciopero per resistere all’offensiva capitali- stica.

E in Francia? Dal 16 agosto fino al settembre 1921 dura uno sciopero di 100 mila tessili. Causa: riduzione dei salari. Lo sciopero dei minatori di Lilla (20 mila scioperanti) ha la stessa causa. E non è finito.

Lo stesso in Italia. Nel settembre scorso, lo sciopero dei tessili apre la serie dei grandi movimenti economici.

La classe operaia riceve un colpo dopo l’altro. In Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Olanda, in tutti questi pacifici Eldorado della borghesia la situazione dei lavoratori non è migliore. Gli avvenimenti di cui ieri era teatro l’Africa del Sud e che sono costati fiotti di sangue agli scioperanti, completano il quadro.

I più importanti gruppi della classe operaia di Europa e di America attraversano in questo momento prove decisive. Sembra che la borghesia li attacchi di proposito. Essa assale oggi un milione di minatori, domani 500 mila ferrovieri, posdomani cin- quecentomila metallurgici. Uno scaglione dopo l’altro, le masse entrano nella lotta e ne escono convinte della impossibilità di difendere i diritti elementari della classe operaia contro una borghesia odiosa, vendicativa e cattiva che non lascia passare al- cuna occasione di prendere la sua rivincita, senza unire e raccogliere in una massa formidabile tutte le forze operaie.

Va da sé che le disfatte della classe lavoratrice alle quali assistiamo demoralizzano una parte del proletariato. A ciò tendono tutti gli sforzi della borghesia e dei suoi “so- cialisti”. Ma, al contrario, altri elementi proletari, i più numerosi, si temprano e si ag- guerriscono in questa lotta, cominciano a giudicare gli avvenimenti sotto un aspetto nuovo.

E le gole di questi milioni di operai che hanno sopportato e sopportano terribili prove, non pronunziano che un grido: Lavoratori, unitevi contro il capitalismo! Questi operai non veggono ancora le conseguenze politiche del loro nuovo stato d’animo. Ma essi domani faranno un altro passo in avanti, e dopo domani essi saranno dei nostri. Per affrettare questa evoluzione noi dobbiamo adottare la tattica del fronte unico.

Guardate in giù, studiate il processo che va svolgendosi nelle masse operaie di Europa e d’America e voi comprenderete perché Vandervelde e Scheidemann medesimi non hanno potuto pronunziarsi contro il fronte unico del proletariato. La situazione è troppo grave. Le aspirazioni delle grandi masse operaie senza partito all’unità della lotta contro il capitale sono così potenti che la classe operaia risponderà immediatamente a chiunque oserà dire: “Io sono contro il fronte unico”: sgombra il mio cammino!

Per questo la tattica del fronte unico ha un grande avvenire, qualunque siano gli episodi attuali ed indipendentemente dal grado di impudenza e di ipocrisia di questo o di quell’altro capo delle Internazionali di Vienna e di Londra.

Ma, si dirà, se noi ci uniamo esclusivamente sul terreno della lotta economica, qual è la ragione d’essere di questi rapporti con i dirigenti dei partiti politici nemici. Non si tratta che di azione economica, obietta ad esempio il compagno Bordiga. No, compagni italiani. Non avete voi seguito lo sciopero dei ferrovieri in Germania? Essi non volevano alcuna azione politica, erano sfavorevolmente disposti all’azione politica. Ciò non per- tanto essi hanno fatto, in realtà, uno sciopero politico di grande importanza. La politica e l’economia si dividono oggi meno che mai. Precisamente allo scopo di smascherare i signori delle Internazionali seconda e seconda e mezzo, noi dobbiamo sottoporre ad essi il problema dei grandi conflitti economici: ad essi, che sono dei capi politici. Non sarebbe forse utile porre, ad esempio, i capi del Labour Party inglese nella con- dizione di doversi pronunziare sulla serrata dei metallurgici? Non si getterebbe giù, così, la maschera dei signori della seconda Internazionale?

Il primo passo è fatto. Prove assai gravi hanno inizio oggi per ogni partito comunista. Ogni sezione dell’I.C. sta per essere messa alla prova circa la sua capacità di attirare

a sé le masse e smascherare i dirigenti socialdemocratici. Da ciò che si è svolto a Berlino non risulta né unione organica, e nemmeno blocco politico. Sarebbe puerile credere ciò. La Conferenza di Berlino obbliga in nessun modo i partiti comunisti a di- minuire in vigore nella loro polemica contro i traditori della classe operaia. Assolutamente no. Nella prossima manifestazione del 20 aprile e del 1° maggio i comunisti devono avere piena libertà di agitazione, mostrare dunque, compagni, che voi sapete avvicinare le masse con metodi nuovi, che voi sapete concretamente, nelle complessità delle si- tuazione attuali, colpire i traditori nei loro punti deboli in modo tale che ogni operaio ed ogni operaia si renda conto immediatamente che voi avete ragione e che i capi delle Internazionali due e due e mezzo hanno torto. Ecco ciò che noi chiediamo adesso alle sezioni dell’IC.

Il fronte unico non è il mezzo di riconciliarsi con i capi socialisti di Londra e di Vienna. Esso non conduce all’attenuazione delle divergenze e degli antagonismi. L’esempio del Partito comunista tedesco è d’altronde assai chiaro. Più i nostri compagni di Ger- mania si rafforzano, e più la loro lotta contro i partiti delle due Internazionale socialista diventa vivace. Lo stesso accadrà dovunque.

La tattica del fronte unico mobilita le masse operaie contro i capitalisti, vale a dire anche contro i capi del socialismo collaborazionista. Coloro che si rendono conto di ciò sono ancora una piccola minoranza; essi domani saranno tutta quanta la classe operaia. L’unità operaia, contro il capitale e contro i capi traditori del socialismo: questa è la prospettiva del fronte unico. Non appena essa si svilupperà praticamente dinanzi a noi, noi potremo dire che la vittoria definitiva è prossima.

Gregorio Zinoviev

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