DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Il Sindacato Rosso, 29 luglio 1922

Tacere sarebbe tradire

Nella guerra guerreggiata qualche volta è necessario ai fini della lotta tacere. Tacere per non giovare al nemico in armi. Ma il silenzio che giova al nemico è delitto. E’ tradimento. L’omertà, la complicità del silenzio non è nelle nostre abitudini. Se si vuol vincere bisogna avere il coraggio di denunciare e staffilare tutti i felloni e tutti i colpevoli di tradimento. Sia esso tradimento doloso o colposo. Non importa. È sempre tradimento. E noi non vogliamo tenere il sacco ai felloni ed ai traditori. Saremo contro di essi implacabili. Implacabili perché troppo amiamo il proletariato italiano, perché non vogliamo che esso sia ancora una volta battuto per colpa di capi indegni. No. Non possiamo e non dobbiamo tacere. Le macerie fumanti dei sodalizi operai, il sangue dei nostri generosi compagni del Novarese ce l’impediscono. Dopo lo sciopero dei metallurgici chiusosi per colpa dei capi con la sconfitta operaia, ecco la magnifica battaglia dei lavoratori lombardi e piemontesi stroncata per volere degli stessi capi.

Dei capi che hanno voluto speculare sugli incendii e sugli assassini consumati dalle guardie bianche, ai fini della collaborazione con la borghesia.

In un primo tempo furono contro la proclamazione dello sciopero. E’ naturale. Essi non hanno più fiducia nell’azione diretta delle masse. Lo hanno dichiarato a sazietà. Per essi non c’è che il baraccone di Montecitorio. Per essi l’unica salvezza è il “governo migliore”. Sia esso capeggiato dal lagrimogeno Orlando o dal fascista Bonomi. Ma han dovuto fare buon viso a cattiva fortuna.

I lavoratori con il loro profondo senso di responsabilità e di difesa, hanno capito ch’era il momento dell’azione.

Hanno capito che i comunisti avevano ragione. Novara invasa e ridotta a regime coloniale era un pericolo grave per  Milano e Torino. Era il nemico che batteva alle porte. Ed i lavoratori hanno imposto ai capi riluttanti l’azione. Lo sciopero fu attuato. Sciopero mirabile per la compattezza e per lo spirito battagliero delle masse che muovevano alla tanto auspicata riscossa.

Si era appena all’inizio della battaglia ed i capi già pensavano a stroncarla ed ad “industrializzare” lo sciopero ai fini della crisi ministeriale.

Sabotarono la proposta comunista a che lo sciopero si estendesse ai servizi pubblici e si premurarono darne subito assicurazione alle autorità. Agli appelli disperati dei lavoratori novaresi che si difendevano con le armi in pugno i capi rispondevano opponendosi all’estensione dello sciopero.

Impedirono con tutti i mezzi che i forti lavoratori della Liguria scendessero in lotta. Quella lurida figura dell’ex ministro Canepa dichiarava che ormai il ministero Facta era caduto, quindi lo sciopero non aveva più ragione d’essere. La “Giustizia…” borghese, mentre i lavoratori combattevano con entusiasmo la loro battaglia, pubblicava un trafiletto che è stato la pugnalata nelle spalle ai combattenti del proletariato. “Lo sciopero quindi deve finire nelle ventiquattro ore”, cosi scriveva l’organo socialista. Facendo eco a quanto scriveva il “Corriere della Sera”, aggiungeva che lo sciopero doveva finire perché era in atto la crisi ministeriale. In pari tempo si sfruttava lo sciopero per quotare meglio le “azioni” collaborazioniste. Già. I lavoratori dovevano stroncare la loro battaglia perché c’era la crisi ministeriale. Ed intanto i fascisti continuavano ad incendiare, a devastare, ad assassinare. Le masse dovevano cedere perché gli unni più comodamente consumassero i loro delitti e le loro infamie. C’era la crisi ministeriale ed i maneggioni del socialismo confederale non volevano grattacapi. Ciò bastava. Ed il tradimento fu consumato.

I lavoratori che attendevano con ansia febbrile la buona novella dell’estensione dello sciopero a tutta Italia appresero con la morte nel cuore l’ordine di cessare la lotta. Di cessare la lotta quando il nemico era ancora accampato in armi a Novara, quando ancora il nemico bruciava, saccheggiava ed assassinava. I comunisti tentarono tutti i mezzi per far sì che il tradimento non si consumasse. Ma essi si trovarono in condizioni d’inferiorità. Gli organi centrali sono ancora in mano ai traditori che vi spadroneggiano.

Sia questo l’ultimo atto di fellonia e di tradimento che i capi possono consumare.

E’ supremamente urgente per la salute del proletariato che sia fatta piazza pulita di questi capi inetti e felloni. Gli operai ed i contadini nell’ambito delle loro organizzazioni debbono strenuamente lottare a questo scopo. Giacché non è possibile vincere finché le battaglie sono dirette dai vari Cadorna della Confederazione. Aprire il fuoco su due fronti: contro le guardie bianche assoldate dalla borghesia e contro i capi che hanno tradito. Questo il dovere dei lavoratori che vogliono seriamente difendere la loro classe e la loro vita.

Umberto Fiore

Come si è giunti e come è stato stroncato lo sciopero generale a Milano

Perché i compagni e gli avversari possano giudicare fin dove arrivi la malafede e la incoscienza degli attuali dirigenti del movimento operaio a Milano, è necessario esporre cronologicamente lo svolgimento dei fatti che hanno preceduto la proclamazione dello sciopero generale in provincia di Milano, per comprendere quanto vilmente esso sia stato stroncato.

Gli avvenimenti di Novara e la eroica resistenza di quei proletari alle bande armate dello schiavismo agrario calate nella loro provincia e l’efferato eccidio fascista consumato la sera di domenica in un circolo operaio di Milano avevano vivamente commosso la massa operaia del milanese. Era fervido il proposito di entrare in campo in difesa dei compagni novaresi ed a fianco dei lavoratori liguri e piemontesi che si sapevano pronti a iniziare la lotta. Naturalmente gli organi responsabili nicchiavano, come al solito. Il nostro Comitato Sindacale, preoccupato dalla grave situazione che si andava determinando, superando preconcetti ma giustificati formalismi, incaricava un proprio autorevole membro di avvicinare uno degli elementi maggiormente responsabili del massimalismo socialista milanese.

L’incoscienza di un “capo” massimalista

Costui (ed i lettori intelligenti sanno già di chi intendiamo parlare) fissava al nostro compagno un colloquio per le ore 17 dello stesso lunedì benché l’invito gli fosse pervenuto nelle prime ore della mattinata. Il colloquio fu breve e preciso. Non sono state fatte da parte nostra chiacchiere inutili. Soltanto delle proposte e proposte inequivocabili le quali vennero “personalmente” accolte dal nostro interlocutore. Egli però si riservò di interpellare d’urgenza il Comitato nazionale massimalista sindacale, cosa che venne da noi accettata. Venne fissato anche un secondo convegno per le nove della sera stessa allo scopo di conoscere le deliberazioni del Comitato Sindacale massimalista e di agire di conseguenza.

Puntualmente il nostro compagno si trovò all’ora indicata nel posto stabilito in precedenza. Non vi trovò nessuno. Attese inutilmente per circa due ore. Nessuno si fece vivo. Il “leader” del massimalismo, per non smentire una vecchia consuetudine, aveva perso il treno…

Il contrattempo, pertanto, impedì ai nostri compagni di richiedere nella stessa giornata di lunedì la convocazione del Consiglio Generale delle Leghe alla Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro la quale, vivendo nelle nuvole, non aveva né occhi né orecchi per dare ascolto alle squallide tenzoni terrene.

La C.E. Camerale decide di “sedere in permanenza”

Nella notte di lunedì i delegati comunisti al Consiglio delle Leghe riuniti in unione al Comitato Sindacale Comunista mandarono a ricercare qualcuno della Segreteria o della Commissione Esecutiva Comunale – che si era resa latitante dalla Camera del Lavoro – per chiedere la convocazione immediata del Consiglio Generale. Fu possibile pescare un segretario camerale nella riunione del Consiglio Comunale. Evidentemente i dirigenti del movimento, in sì tragica circostanza, non avevano di meglio da fare che discutere… del bilancio comunale.

Per tutta risposta, ed in seguito a ripetute richieste, il mandarino pescato in Consiglio Comunale assicurava straccamente il nostro compagno che probabilmente la Commissione Esecutiva si sarebbe riunita dopo la seduta consiliare. La riunione infatti pare sia avvenuta e come conclusione venne emanato il seguente strabiliante comunicato comparso la mattina successiva sull’Avanti!:

Camera del Lavoro di Milano - La Commissione Esecutiva si è riunita ieri sera d’urgenza per esaminare la situazione creata in seguito all’efferato assassinio compiuto su inermi lavoratori nel Circolo proletario di via Artieri, e mentre ha deciso, a nome del proletariato tutto, di rivolgere il suo saluto alle vittime ha pure deciso di sedere in permanenza IN ATTESA DI PORRE IN ESECUZIONE QUELLA LINEA DI AZIONE CHE VERRA’ DATA DAGLI ORGANI NAZIONALI. PERCIO’ NESSUNO DEVE SEGUIRE ALTRI ORDINI CHE NON SIANO EMANATI DALLA CAMERA DEL LAVORO ATTRAVERSO LE SUE SEZIONI.

LA COMMISSIONE ESECUTIVA”.

Con questo comunicato veniva esclusa “a priori” qualunque azione se non ordinata dagli organi nazionali.

Ma la situazione, malgrado il pio desiderio della Commissione Esecutiva camerale, andava aggravandosi. A Novara  – malgrado l’ordine di cessazione dello sciopero – ed in seguito all’incendio della Camera del Lavoro gli operai e i contadini continuavano – inasprendolo – il movimento antifascista.

Lo sciopero poi veniva esteso all’intera regione piemontese dove il mercoledì  mattina veniva attuato con una compattezza veramente insperata.

L’orgasmo a Milano andava aumentando. Veniva intanto da parte nostra inoltrata regolare richiesta di convocazione del Consiglio Generale il quale infatti veniva convocato per la sera del mercoledì.

Si racconta a questo proposito che l’iniziativa della convocazione non sia partita direttamente dalla Segreteria o dalla Commissione Esecutiva (le quali ne sarebbero venute a conoscenza soltanto dal comunicato dell’Avanti!...), ma da un certo funzionario sindacale recentemente espulso dal nostro Partito ed ora rientrato trionfalmente a rafforzare le azioni del massimalismo barnumista milanese...

L’inizio spontaneo dello sciopero

Nel pomeriggio del mercoledì alcune maestranze di importanti stabilimenti di Milano abbandonarono spontaneamente il lavoro riversandosi alla Casa del Popolo dove venne improvvisato un imponente comizio nel quale parlarono alcuni operai e qualche nostro compagno.

Alle 14 dello stesso giorno si riuniva pure il Comitato Sindacale massimalista il quale deliberava di proporre la proclamazione dello sciopero generale ad oltranza nella seduta del Consiglio delle Leghe che doveva aver luogo la sera stessa. La deliberazione dei massimalisti veniva ufficialmente comunicata al nostro Comitato Sindacale. Dicemmo subito all’emissario dei massimalisti che noi, favorevoli allo sciopero, avremmo poste alcune condizioni indispensabili per la riuscita del movimento. Prima fra tutte quella della esclusione assoluta dei riformisti dalla dirigenza di esso. L’emissario massimalista prese atto delle nostre dichiarazioni, riservandosi di riferirle al proprio Comitato Sindacale.

Il Consiglio delle Leghe – L’omertà dei massimalisti

La riunione del Consiglio delle Leghe riusciva affollatissima. Immediatamente il segretario camerale Bensi comunicava l’ordine del giorno approvato all’unanimità dalla Commissione Esecutiva, che è il seguente:

Il Consiglio Generale della Camera del Lavoro di Milano;

riunito la sera del 19 luglio 1922

esaminata la situazione gravissima creatasi nel paese con la ripresa violenta della reazione agraria fascista

delibera: di proclamare e attuare, a datare da domani mattina, lo sciopero generale in tutta la provincia di Milano, ponendosi come obbiettivo il ripristino della libertà politica e sindacale;

e affida la direzione del movimento a un Comitato d’agitazione composto di cinque membri”.

Esso veniva approvato alla unanimità dai convenuti dopo di averne scartato un altro presentato dal compagno Nera del gruppo socialista “Terza Internazionale” e ciò per dare la dimostrazione che tutti erano concordi nel proclamare lo sciopero generale.

Sulla nomina del Comitato di agitazione (che avrebbe dovuto essere segreto) il compagno Repossi dichiarò che i comunisti non avrebbero accettato di partecipare ad esso qualora fossero stati inclusi i riformisti. La coraggiosa dichiarazione di Repossi venne accolta freddamente dalla maggioranza del Consiglio delle Leghe, la quale, pur essendo convinta che i riformisti non avrebbero potuto onestamente guidare un movimento che non sentivano e di cui si erano sempre manifestati contrari, non ebbe il coraggio di rompere i ponti con essi offrendo a loro ben due posti nel Comitato di agitazione.

Infatti l’ex comunista Schiavello, dichiarò – a nome dei massimalisti – che nel Comitato di agitazione dovevano far parte anche i riformisti. Il compagno Repossi riprese nuovamente la parola per dichiarare che i comunisti – perché non si potesse far loro l’accusa di aver ricusata la corresponsabilità della direzione del movimento – avrebbero accolto l’invito di entrare nel Comitato di agitazione se fossero state accettate alcune condizioni pregiudiziali che i comunisti – a salvaguardia delle loro responsabilità – non potevano far a meno di avanzare.

Le condizioni furono accettate quasi integralmente dalla Commissione Esecutiva della C.d.L. e dal Comitato della Sezione Socialista, ragione per cui noi accettammo di nominare il nostro rappresentante nel Comitato “segreto” di agitazione. Le condizioni erano le seguenti:

1) Nessun incontro a trattare coi fascisti;

2) Evacuazione delle zone attualmente occupate dai fascisti;

3) Lo sciopero deve chiudersi con un pubblico comizio;

4) I servizi pubblici devono scioperare;

5) Nessuna rappresaglia a nessun scioperante;

6) Intesa immediata colle altre frazioni sindacali estranee alla Camera del Lavoro cioè sindacalisti, ferrovieri ecc.

L’atteggiamento dei socialisti durante lo sciopero

La mattina del giovedì l’astensione dal lavoro era completa. Soltanto gli addetti ai servizi pubblici – contrariamente agli impegni presi – continuarono il lavoro. Nella mattinata dello stesso giovedì il Sindaco – recatosi alla Camera del Lavoro – riceveva assicurazione da Brigatti (segretario camerale) e la Fiorio (segretario della sezione socialista) che i servizi pubblici avrebbero continuato a funzionare. Si noti che il Comitato “segreto” di agitazione non aveva ancora nulla deciso sulla questione, ma che era formalmente impegnato ad estendere lo sciopero ai servizi pubblici.

Il Comitato si riuniva nel pomeriggio senza però prendere nessuna deliberazione concreta in quanto uno dei membri di parte riformista abbandonava la riunione per... recarsi a conferire col Prefetto! I due massimalisti si allontanarono pure perché chiamati dai loro compagni di partito per prendere ordini.

Si tenga presente che il Comitato di agitazione avrebbe dovuto essere l’unico organismo responsabile della dirigenza, degli sviluppi e della chiusura dello sciopero! Esso invece (almeno da parte dei socialisti) venne subito scavalcato ed in effetti il movimento veniva diretto dalla Commissione Esecutiva e dal Comitato della Sezione Socialista.

Il primo tentativo per la stroncatura dello sciopero

Per riprendere la nostra cronistoria obiettiva diremo che soltanto verso la mezzanotte il rappresentante comunista (che solo era rimasto fino allora alla sede del Comitato di agitazione in attesa che gli altri membri si rifacessero vivi) venne invitato a recarsi alla sede della Confederazione Generale del Lavoro dove si sarebbe tenuta una riunione. Vi si recò infatti e con sua grande sorpresa il compagno nostro dovette constatare che la riunione si teneva fra numerose persone estranee al Comitato. Era riunito infatti contemporaneamente tanto il Comitato della Sezione Socialista quanto la Commissione Esecutiva Camerale. Oltre ai membri di questi due organismi, altre persone estranee si trovavano nei locali confederali, ciò che autorizzò alcuni nostri compagni a trattenersi essi pure.

In quella riunione fu comunicato ai membri del Comitato di agitazione l’ordine di cessazione dello sciopero pervenuto dal Comitato Nazionale dell’Alleanza del Lavoro.

En passant diremo che qualcuno di coloro che si trovavano negli uffici confederali ebbero a lasciarsi sfuggire una dichiarazione di una gravità eccezionale. Essi dissero cioè che, anche prima che lo sciopero fosse dichiarato, i dirigenti sapevano che il C.C. dell’Alleanza aveva già deciso di impedire la effettuazione dello sciopero nelle regioni lombarda, piemontese e ligure.

Comunque, dopo oltre due ore di viva discussione e non conoscendosi ancora con certezza l’ordine dell’Alleanza veniva deciso a maggioranza dal Comitato di agitazione (dopo che la deliberazione era già stata presa dalla Commissione Esecutiva Camerale e dal Comitato sezionale socialista) che lo sciopero dovesse proseguire. Anche la convocazione dei comizi veniva mantenuta dopo un vivace contrasto con i membri riformisti che volevano la sospensione di essi.

Il Prefetto è ben informato!

La riunione ebbe termine poco prima delle tre del mattino. Le prime edizioni dei giornali borghesi di venerdì potevano già annunciare che entro lo stesso venerdì sarebbe terminato lo sciopero per ordine dell’Alleanza del Lavoro!

La notizia era stata diffusa dalla Prefettura. Noi lasciamo i lettori a congetturare per scoprire i propalatori della notizia. Siamo certi che il lavoro non sarà molto arduo!

Il venerdì mattina, uno dei membri massimalisti del Comitato di Agitazione che fino allora aveva agito – siamo ben lieti di riconoscerlo francamente – con la maggiore onestà, rassegnava le dimissioni stomacato dall’atteggiamento tenuto dai riformisti.

La stroncatura

Nella riunione del venerdì la maggioranza del Comitato di agitazione deliberava di accogliere l’ordine del C.C  dell’Alleanza del Lavoro e di chiudere lo sciopero. Il nostro rappresentante faceva inutilmente osservare che a Milano lo sciopero non era stato proclamato dall’Alleanza ma dalla Camera del Lavoro e che il Comitato di agitazione aveva un preciso mandato dal Consiglio Generale delle Leghe il quale solo avrebbe potuto, eventualmente, ritornare sulle proprie deliberazioni ed autorizzare il Comitato di agitazione a sottostare all’ordine dell’Alleanza del Lavoro, l’atteggiamento disfattista della quale non è qui il caso di discutere.

Nel pomeriggio usciva la minaccia fascista con la quale si imponeva la fine dello sciopero entro la giornata pena l’occupazione di Milano da parte di 30.000 camicie nere.

Tale minaccia pur non essendo che una stolta smargiassata rappresentava tuttavia una evidente provocazione alla quale bisognava assolutamente rispondere non fosse altro per non creare nelle bande fasciste quel pericoloso stato d’animo di potenza contro il quale nulla e nessuno debba e si possa opporre, e dare la sensazione di cedere – chiudendo lo sciopero – alla minaccia del “duce” poteva essere interpretato come atto di debolezza e si sa che i nemici infieriscono maggiormente contro i deboli.

Anche per questo fatto – oltre che per le altre considerazioni che abbiamo più sopra enumerate – il nostro rappresentante propose nuovamente, nella riunione generale, avvenuta nel pomeriggio, delle Camere del Lavoro lombarde scioperanti di procrastinare la chiusura dello sciopero.

L’ordine del giorno della stroncatura del movimento venne però approvato a maggioranza con qualche astenuto e con il solo voto contrario del nostro rappresentante.

Così il meraviglioso e spontaneo inizio della riscossa proletaria contro lo schiavismo del padronato e dello Stato venne stroncato vilmente da un branco di politicanti che giocano la loro fortuna personale sui dolori e sui sacrifici della massa operaia.

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