DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

41. Scadimento ulteriore del villaggio

«L'avanzata dissoluzione della proprietà comune russa, di cui qui si parla, ha fatto da allora notevoli progressi. Le sconfitte nella guerra di Crimea avevano mostrato chiaramente la necessità per la Russia di un rapido sviluppo industriale. Occorrevano soprattutto ferrovie, e queste non sono possibili senza una grande industria indigena. Condizione prima di questa era la cosiddetta emancipazione dei contadini, che in Russia segnò l'avvento dell'èra capitalistica, ma anche dell'èra del rapido sgretolamento della proprietà comune del suolo. Le somme imposte ai contadini per il loro riscatto, l'aumento dell'onere fiscale e, insieme, il rimpicciolimento e peggioramento delle terre loro assegnate, li gettarono inevitabilmente nelle mani degli usurai, per lo più membri arricchitisi delle stesse comuni agricole. Le ferrovie aprirono un mercato di sbocco a regioni cerealicole fin allora isolate dal resto del mondo, ma vi portarono anche i prodotti a basso costo della grande industria e con questi soppiantarono l'industria domestica dei contadini, che fin allora producevano articoli analoghi in parte per il fabbisogno proprio, in parte per la vendita.

«I tradizionali rapporti di guadagno ne risultarono sconvolti, si verificò quel processo di decomposizione interna che ovunque accompagna il trapasso dall'economia naturale all' economia monetaria, grandi differenze di reddito si produssero all'interno delle comuni - i più poveri divennero gli schiavi dei debitori. Insomma, un processo simile a quello che nei tempi prima di Solone aveva disgregato la gens ateniese mediante l'irruzione dell'economia monetaria cominciò qui a disgregare la comune russa. Solone, è vero, potè, con un intervento rivoluzionario nella proprietà privata ancora relativamente giovane, liberare i debitori ridotti in schiavitù annullando puramente e semplicemente i debiti; ma non potè richiamare in vita l'antichissima gens ateniese. Allo stesso modo, nessuna forza al mondo potrà resuscitare la comune russa non appena la sua dissoluzione avrà raggiunto un certo livello. E ciò senza contare che il governo russo ha proibito di ripetere più spesso che ogni dodici anni la ridistribuzione del suolo fra i membri della comune, affinché il contadino ne perda sempre più l'abitudine e cominci a considerarsi proprietario privato del suo lotto»[92].

Col passare dunque degli anni appare sempre più irresistibile lo sciogliersi delle terre comunali in piccoli lotti privati, e la questione del sussistere della comunità diviene sempre meno importante.

Nel pieno della discussione dei russi su tale argomento, giunse la lettera di Marx del 1877, che girò in Russia nell'originale francese e, finalmente stampata a Ginevra da un giornale di emigrati, solo più tardi fu pubblicata in Russia[93].

42. La lettera di Marx

Come già detto, questa confuta la insinuazione che il suo punto di vista coincida con quello dei liberali che vogliono liquidare la comunità, e mostra la massima considerazione per il Černyševski di cui così riproduce l'impostazione del problema: 

«Se la Russia debba cominciar col distruggere la comune contadina (come vorrebbero gli economisti liberali) per passare di qui al regime capitalista, o invece possa, senza incorrere nei lutti e nelle sofferenze di questo regime [che per il liberali sono delizie!], farne proprie tutte le conquiste sviluppando ulteriormente il retaggio del suo passato storico»[94].

Marx dà la propria risposta:

«In breve, poiché non amo lasciar nulla da legger fra le righe, parlerò senza mezzi termini. Per poter giudicare con conoscenza di causa lo sviluppo economico della Russia, ne ho imparato la lingua, e quindi studiato per anni ed anni le pubblicazioni ufficiali e non, riguardanti questo tema. E sono giunto alla conclusione che segue: se la Russia continua a battere il sentiero sul quale dal 1861 ha camminato, perderà la più bella occasione che la storia abbia mai offerta a un popolo, per soggiacere così a tutte le funeste vicissitudini del sistema capitalistico»[95].

Come Engels riferisce, Marx prosegue confutando il suo critico e la falsa utilizzazione delle proprie teorie per suffragare tesi che in Russia premevano ai borghesi. E arriva a un passo ancor più decisivo: «Ora, quale applicazione alla Russia del mio schizzo storico [del processo di accumulazione primitiva del capitale così come si svolse nell'Occidente europeo] poteva fare il mio critico? Semplicemente solo questo: Se la Russia aspira a divenire una nazione capitalistica secondo il modello europeo-occidentale, e negli ultimi anni si è data un gran daffare in questa direzione, essa non vi riuscirà senza prima aver trasformato una buona parte dei suoi contadini in proletari; dopo di che, una volta presa nel turbine dell' economia capitalistica, dovrà subirne, esattamente come gli altri popoli profani, le inesorabili leggi. Ecco tutto». In conclusione, nell'ultima parola[96] che abbiamo di lui, Carlo Marx, dopo di non aver escluso in principio la formidabile eventualità storica che abbiamo ormai ripetutamente indicata come salto del capitalismo, e che oggi si vorrebbe da tanti lati far credere avvenuta nello scorcio di brevi mesi del 1917, si mostra solidamente sicuro che la Russia percorrerà il grande travaglio del capitalismo, e ne berrà anch'essa, come noi di occidente, il calice fino alla feccia.

Oggi noi riteniamo che non abbia ancor finito di trangugiarlo.

43. Capitalismo avanzante

Engels si ripropone la questione 17 anni dopo, egli dice, quella lettera, e passa in rassegna il sorgere del capitalismo in quel paese:

«Quando, malgrado le sconfitte nella guerra di Crimea e il suicidio dello zar Nicola, l'antico dispotismo russo riuscì a sopravvivere immutato, una sola via restava aperta: il passaggio più rapido possibile all'industria capitalistica. Occorreva una rete strategica di ferrovie. Ma ferrovie significano industria capitalistica e rivoluzionamento dell'agricoltura primitiva. Da un lato, i prodotti del suolo anche delle regioni più sperdute entrano in collegamento diretto col mercato mondiale; dall' altro non si può costruire un esteso sistema ferroviario, e mantenerlo in esercizio, senza un'industria nazionale che fornisca i binari, le locomotive, i vagoni, ecc. Ma non si può introdurre un ramo della grande industria senza importare nello stesso tempo l'intero sistema; l'industria tessile su base relativamente moderna, che già in precedenza aveva messo radici nella zona di Mosca e di Vladimir, come pure sulla costa baltica, ne ricevette un nuovo impulso. Alle ferrovie e alle fabbriche seguirono l'ulteriore espansione delle banche già esistenti e la fondazione di nuove; l'emancipazione dei servi della gleba produsse la libertà di movimento personale, in attesa della liberazione di una gran parte dei contadini anche dal possesso della terra, che presto doveva accompagnarla. Così, in breve tempo, furono gettate tutte le fondamenta del modo di produzione capitalistico. Ma fu pure applicata la scure alle radici della comune contadina russa»[97]".

Qui Engels descrive in pochi periodi un processo di "accumulazione capitalistica mediante investimenti di Stato" che tuttavia forma una giovane borghesia ed è l'incubatrice migliore per questa.

Che significano le parole:

«Venne poi l'èra delle rivoluzioni dall'alto inaugurata dalla Germania, e con ciò l'èra del rapido sviluppo del socialismo in tutti i paesi europei»[98]?

Si tratta ancora una volta della rivoluzione borghese e capitalistica, dell'uscita dall'economia feudale e di isole agrarie chiuse di produzione-consumo, con apertura dei mercati nazionali e internazionali. Ma non è la borghesia che fa questa rivoluzione dal basso, dall'esterno del potere, e non nella sola Russia essa è stata così vile da cercar di appioppare il suo carico a chicchessia: al governo feudale, al contadiname, al proletariato perfino, facendo come il cuculo covare le sue uova in nidi altrui.

Quanto hanno mostrato Inghilterra e Francia non si ripeterà: in Germania Bismarck e gli Hohenzollern non cadono, ma sono costretti essi a industrializzarla (cominciando dal ferroviarla) e a proletarizzarla.

Quella borghesia che altrove è nata nel rischio di intrapresa, spesso spinto fino all'eroismo – come nell'eroismo nacque il barone terriero dal cavaliere della Tavola Rotonda – per poi divenire conservatrice, parassitaria, monopolista e protezionista, in Russia invece nasce con questo clima: lo Stato si indebita all'estero e all'interno. «La prima vittoria della borghesia russa furono le concessioni ferroviarie, che assicurarono agli azionisti la totalità degli utili futuri scaricando sullo Stato la totalità delle perdite [in ogni paese di economia povera le ferrovie sono passive e sorgono solo sovvenzionate, non da investimento progressivo dell'impresa, che non esiste]. Vennero poi le sovvenzioni e i premi a favore dell'industria interna, che finirono per rendere impossibile l'importazione di numerosi articoli». Come altra volta avemmo a dire, non solo protezionismo, ma investimento di Stato, IRI avanti lettera.

«Di qui l'ansia che la Russia si renda autosufficiente come nazione industriale; di qui gli sforzi rabbiosi per raggiungere in pochi anni il punto massimo di evoluzione capitalistica». E nessuno ignora la favorevole condizione delle materie prime disponibili illimitatamente.

«Perciò, la trasformazione della Russia in paese industrial-capitalistico, la proletarizzazione di una gran parte dei contadini e la decadenza delle antiche comunità di tipo comunista, procedono a ritmo sempre più veloce»[99].

44. Ultimo bilancio

La finale conclusione di Engels è dunque, più radicalmente che nel 1875, pessimistica riguardo all'avvenire del microcomunismo rurale. Ma con ciò non viene proclamata senza rimpianto e senza speranza la sua rovina. Si vuole ancora non soggiacere all'equivoco che la tesi storica sia scambiata per una lieta diana allo sbocciare nella Russia dormiente di un moderno "civile" capitalismo, in una apologia di questa forma occidentale che è invece compito fondamentale del marxismo rivoluzionario svergognare prima, abbattere poi.

Due sono però le condizioni necessarie di un sopravvivere di quelle tradizioni del microcosmo agrario slavo, che hanno la grave deficienza di stringere la società umana nei limiti angusti del villaggio, ma hanno tuttora il vantaggio di allargare il gretto avvilente individualismo borghese mercantile dalla persona singola ad una comunità fraterna, sia pure limitata nel numero.

La prima condizione è che una rivoluzione sociale e politica travolga la dispotica monarchia dello zar e la nobiltà terriera slava.

La seconda è che una rivoluzione anche sociale e politica di oltre frontiera travolga gli stati capitalistici di Europa, e il potere della grande borghesia.

Su questi cardini e in sede di appello dopo un ventennio, si ha la nuova sentenza, cui il Poscritto si chiude, e che è l'ultima parola dei maestri del marxismo sulla Russia e sulla sua prospettiva storica:

«Se di queste comunità si possa ancora salvare quanto occorre perché, come Marx ed io speravamo nel 1882, esse divengano – parallelamente ad una svolta rivoluzionaria nell'Europa occidentale – il punto di partenza di uno sviluppo in senso comunista, di rispondere a questa domanda io non mi assumo. Ma una cosa è certa: perché almeno un resto delle comuni agricole sopravviva, è necessario come prima condizione l'abbattimento del dispotismo zarista, la rivoluzione in Russia. Questa non solo strapperà la grande massa della nazione, i contadini, all'isolamento dei loro villaggi, che formano il loro mir, il loro universo, e li spingerà sul grande palcoscenico sul quale impareranno a conoscere il mondo esterno e quindi anche se stessi, il loro stato e i mezzi per liberarsi dalle miserie presenti, ma darà al movimento operaio occidentale un nuovo impulso e nuove e migliori condizioni di lotta e, per ciò stesso, affretterà quella vittoria del proletariato industriale moderno, senza la quale la Russia d'oggi non può uscire né dalla comune né dal capitalismo per dirigersi verso una trasformazione socialista»[100].

45. Il classico marxismo europeo e la Russia

Abbiamo per tal modo fin qui condotto, sulla base di documentazione diffusa dai testi, una sicura presentazione del problema della Russia nel marxismo classico, dal Manifesto fino alla morte di Engels.

In tutta questa questione viene in evidenza ad ogni passo lo stretto legame fra le lotte di classe nell'Occidente e Centro di Europa, e la funzione della potenza russa, in primo tempo, e anche le lotte interne russe, in secondo tempo.

Nel successivo corso abbiamo visto il marxismo seguire l'Europa, e tutte le sue nazioni, nel loro storico viaggio dal feudalesimo medievale al capitalismo moderno, e poi alla costituzione del proletariato in classe e alle sue lotte per il potere politico, fin qui non coronate da stabile successo, e la cui storia è segnata da gravi insuccessi, ripiegamenti, e delusioni.

Nella fase delle grandi rivoluzioni borghesi, nazionali e liberali, il marxismo proletario segue e attende con impazienza il loro affermarsi stabile in tutto il campo europeo: un massimo e principale ostacolo si erge su questo cammino; esso è la Russia degli zar, che invia e minaccia di inviare forze armate in enormi masse dovunque il fuoco della rivoluzione si appicca, e, come piega in Napoleone la gigantesca ondata rivoluzionaria a cavallo dell'Ottocento e del Settecento, così riesce a spegnere a mezzo secolo l'incendio che nel ‘48 balza dall'una all'altra delle capitali d'Europa.

Tuttavia, economicamente, socialmente, politicamente, per la via delle guerre civili, sociali o nazionali, la complessa sistemazione dell'Europa borghese è verso il 1870 un fatto compiuto, e in questo campo il grandeggiante movimento della classe operaia si accinge a condurre la sua autonoma lotta. Deve tuttavia volgersi attentamente verso l'Oriente. Lo Stato massiccio degli zar non è stato attaccato dal fuoco della grande rivoluzione che ha mutato volto all'Europa; bisognerà in caso di lotta fare i conti con esso e, intanto, rendersi conto delle profonde cause storiche del suo immobilismo.

Due tesi abbiamo visto stabilirsi. La forza russa è la principale riserva per la difesa in Europa dei regimi feudali superstiti, e l'asse delle Sante Alleanze. Al tempo stesso, la forza russa è la prima pronta all'intervento quando, nei paesi ormai governati dai capitalisti, si muove la classe lavoratrice per le sue conquiste. Come questo ostacolo sarà rimosso dal cammino della nuova rivoluzione europea, ormai slacciata dai suoi agganci con le lotte democratiche e nazionali?

Una lunga lotta teorica sorge innanzi alla proposizione che quivi le leggi del materialismo storico e delle lotte di classe, che ben si sono potute attagliare alla storia di Occidente, siano in difetto, e che si debba teorizzare un altro meccanismo dello sviluppo di successive forme sociali.

Abbiamo ricapitolato gli argomenti del marxismo contro questa strana assunzione, sviluppando il confronto tra i vari campi storici dell'evoluzione sociale quali li abbiamo stabiliti rispetto alla storia degli ultimi secoli e, anzi, li abbiamo riportati attraverso tutta la loro storia alle originarie condizioni geografiche e alloro effetto sull'insediamento dei popoli stabili e sulle loro istituzioni e forme di vita. E abbiamo quindi procurato di provare che il determinismo di Marx è strumento bene adatto a dare ragione della storia russa e del suo grave "ritardo di fase" rispetto all'Europa.

Stabilito dunque che le cose sociali russe si trattano con lo stesso metodo di quelle di Occidente, abbiamo posto in relazione, sempre sulla scorta dei testi della nostra scuola, le sue particolarità storiche con quelle del paese e della sua natura fisica, svolgendo un sommario confronto fra tre tipi di organizzazione in Europa: romano classico, germanico, e grande slavo, trattando anche del quarto tipo asiatico.

Non sono così state negate, ma sono state esaminate largamente, le peculiarità del succedersi russo dei modi di produzione.

46. Il dramma grande-slavo

Queste caratteristiche principali sono la poca fertilità della terra, la difficoltà delle comunicazioni, la poca densità di popolazione, il più difficile fissarsi di essa in sede stabile; viceversa, la formazione, più precoce che per i popoli germanici, di un grande potere centrale, con analogie ai dispotismi storici asiatici, che tutela e mette a tributo le comunità di lavoratori della terra. Fino all'Ottocento questo centralismo statale terriero sta a fianco della nobiltà feudale, meno autonoma e centrifuga che nella forma germanica, e delle comunità di villaggio, parte serve dello Stato, parte dei nobili. Diverso
quindi, rispetto ai paesi europei, il processo di fusione, in un complesso di scambi, delle isole locali, il formarsi dei mercati, delle manifatture artigiane e industriali, e ritardato l'avvento della produzione capitalista.

La tesi che in questo paese non si ponga il problema di due rivoluzioni – che possono sovrapporsi[101] – della borghesia contro il feudalesimo e del proletariato contro il capitalismo, ma di una originale rivoluzione unica con- dotta dai contadini delle comunità contro lo Stato dispotico e la aristocrazia boiarda, con una diversissima via per condurre al socialismo della terra e dei mezzi di produzione, viene dal marxismo classico respinta.

Si attendono quindi in Russia le due rivoluzioni: imminente è quella antifeudale e antizarista. Succederà ad essa stabilmente una fase capitalista borghese, o si porrà subito il passaggio ad una lotta proletaria? Fino al 1894 la risposta è: Non si può attendere questa sovrapposizione delle due rivoluzioni facendo assegnamento su forze interne; il proletariato è ancora embrionale, per quanto l'industria progredisca a grandi passi, soprattutto ad opera dello stesso Stato dispotico-feudale; e questo compito non può essere assunto né dai contadini delle comunità, né tanto meno dai contadini parcellari che vanno sostituendo la prima forma tradizionale.

In tal caso la prospettiva è una rivoluzione russa soltanto borghese, che dovrà uscire da una guerra: e si prevede la guerra con la Turchia, non si prevede quella col Giappone, ma soprattutto si fa leva sulla futura grande guerra degli slavi e latini contro i tedeschi, che nel 1914 scoppiò, e determinò il crollo dello zarismo. Anche fermandosi qui, un grande ostacolo controrivoluzionario sarà stato tolto dal cammino del proletariato dei paesi avanzati.

Un'altra prospettiva è per Marx ed Engels fin da allora ammessa, in alternativa all'assidersi di una Russia borghese fra gli Stati borghesi europei superstiti delle guerre: quella che la rivoluzione in Russia contro lo zar, pura o spuria che sia, scateni la rivoluzione socialista in Occidente.

In questo caso - in questo solo caso -la rivoluzione russa potrà divenire socialista, e potrà riassumere le ultime forme di un comunismo agrario, innestandole coi potentissimi mezzi di produzione moderni passati nelle mani del vittorioso proletariato internazionale[102].

Ma – allo stato dei testi nel 1894 almeno – è sicuramente escluso lo sviluppo col quale la Russia, partita da una rivoluzione antizarista, possa pervenire ad una società socialista. Alla fine di questo studio verremo a stabilire che la storia non ha smentito tale prospettiva. In Russia si sviluppano le stesse forme produttive di Occidente. L'industria prende la prevalenza sull'economia agraria, ed anche la grandissima industria. L'originale rivoluzione capitanata da comunità contadine emancipate non si è avuta. Le guerre europee sono venute e hanno portato il crollo dello zarismo. Non essendo giunta alla vittoria la rivoluzione operaia occidentale, non si è potuta avere in Russia una forma sociale comu-
nista.

Ivi si è partiti da un feudalismo di Stato e si è giunti ad un capitalismo di Stato industriale, ad una forma in parte capitalista in parte precapitalista di economia della terra, il tutto in ambiente di scambio mercantile nazionale, e sempre più tendente ad intemazìonalizzarsi[103].

47. Le prospettive del partito marxista in Russia

Il problema che è stato visto dall'esterno della Russia dobbiamo ora vederlo dall'interno, e saldarlo dal 1894 alla rivoluzione russa. Questo l'ulteriore compito della presente trattazione, che non conterrà ancora tutto l'argomento dell'economia sociale in Russia fino ad oggi.

Al 1894 è in atto lo sviluppo in modo deciso del capitalismo, e si è già preso a formare un potente proletariato. Engels non ce ne ha dato il peso storico: né l'Occidente anche proletario se ne renderà conto prima del grandioso moto del 1905.

Ben vero, per l'innata internazionalità del procedere storico della lotta nostra, e a smentita della tesi della missione speciale del popolo slavo, od altro, anche prima del 1894 (e anche dieci anni prima), si sono definiti in Russia i contorni di un partito proletario (che allora si chiamava socialdemocratico). Era esso ben noto ad Engels, soprattutto nel grande teorico Plechanov, presente inoltre nel 1889 alla fondazione della II Internazionale.

Ma non aveva ancora dato prova di esprimere la comparsa storica di un valoroso proletariato urbano capace di indimenticabili battaglie, ed Engels, mentre (come riferimmo) si tiene riservato sulle differenze fra questi dichiarati marxisti e gli altri movimenti rivoluzionari nell'impero dello zar – egli era infatti non solo uno storico o un teorico, ma soprattutto il capo internazionale del partito – nell'ultima analisi che di lui possediamo non porta ancora in conto il compito, la parte, di questa, essa sì giovanissima, classe della società russa; non tratta delle sue organizzazioni economiche; non si impegna ad escludere in modo reciso dal movimento della Internazionale i partiti a sfondo contadino, debolissimi in dottrina, ma eroici sul fronte della rivoluzione e del terrore rivoluzionario.

Tuttavia nell'originale lavoro del nostro mondiale movimento non sono l'ultima parola e il possesso dell'ultimo dato a poter essere importanti. È invece ogni sistemazione che stabilisce le direttive della dottrina in modo che nell'azione faccia da solido scudo contro i colpi dell'opportunismo e le pugnalate dei disertori.

Quando la grande rivoluzione bolscevica vinse, i più dei vecchi compagni e dei neofiti, perplessi i primi, corrivi gioiosamente i secondi, non esitarono ad inneggiare ad essa, convinti però che i cànoni del vecchio Marx e del vecchio Engels avessero ricevuto un tremendo sbrego.

Noi, che parliamo da qui, siamo i pochissimi che, nella gloria del vittorioso evento che fece tremare dalle fondamenta il mondo capitalista, non vedemmo che la luminosa conferma di una armonica e completa dottrina, il realizzarsi di una lunga, dura, ma certissima attesa.

Corsi altri trent'anni ed oltre di eventi difficili e meno favorevoli all’entusiasmo rivoluzionario; avendo il colosso del capitalismo mondiale resistito alla scossa del sottosuolo, e dominando esso ancora di fronte a noi dopo la seconda e più bestiale guerra di tutto il mondo; nel rivedere il corso aspro e di difficile lettura, e collegandolo, come il marxismo tiene a saper fare – e rinunziarvi è ammettere di aver perduto su tutto il fronte – con la catena delle costruzioni di due secoli o quasi, ci sentiamo ora cento volte più certi di una conferma del fatto alla dottrina, più sicuri di non aver mai masticato fatue, frettolose, presuntuose, e soprattutto vigliacche smentite a quella inflessibile linea, che, una volta trovata e scelta, non si può distorcere senza tradire.

 

[92] Ibidem, pp. 279-280 (corsivi di A.B.).

[93] Lettera alla redazione dell'"Otečestvennje Zapiski"; in India, Cina, Russia, ed. cit., pp. 234-236.

[94] Cfr. India, Cina, Russia, ed. cit., pp. 234-235, per Il testo di Marx, e p. 281 per la sua citazione ad opera di Engels nel Poscritto del 1894.

[95] Ibidem, p. 235, come pure la citazione che segue.

[96] In realtà penultimaNel 1954, infatti, non si conosceva ancora la lettera dell'8/III/1883 a Vera Zasulič, la quale aveva posto a Marx il quesito se era «legge storica inevitabile» che tutti i popoli dovessero attraversare le fasi di trapasso dal precapitalismo al capitalismo pieno descritte nel capitolo del I Libro del Capitale dedicato all'accumulazione primitiva, lettera che si può ora leggere tradotta, insieme ad una parte dei tormentatissimi ma molto importanti "Abbozzi preliminari" ad essa, nel già citato Marx-Engels, India, Cina, Russiap. 236-244. Qui Marx precisa che il suo schema del processo di accumulazione primitiva del capitale si riferisce esplicitamente all'Occidente europeo, quindi non considera i Paesi in cui si tratterebbe non già di trasformare una forma di proprietà privata in un'altra forma di proprietà privata, ma di trasformare in proprietà privata capitalistica un'esistente proprietà comune. A quell' epoca, l'esistenza della comune contadina forniva ancora un «punto di appoggio alla rigenerazione sociale in Russia», a condizione però che fossero rimosse «le influenze deleterie che l'assalgono da tutte le parti» – condizione politica circa la quale l'A. nutriva seri dubbi (come si vede particolarmente negli "Abbozzi") dato il grado ormai raggiunto dall'erosione interna della comune sotto il peso di fattori incontrastati, e forse, allo stato dei fatti, incontrastabili, che rendevano problematico lo sforzo di «assicurarle» – una volta abbattuti lo zarismo e le «colonne della società» prosperanti sul suo terreno – «condizioni normali di organico sviluppo».

[97] Ibidem, p. 282.

[98] Ibidem, p. 283.

[99]Ibidem. p. 284 per tutt'e tre le citazioni.

[100] Ibidem, p. 285 (corsivi nostri).

[101] Come avverrà nel 1917.

[102] Si veda, a ulteriore chiarimento, il brano del Poscritto engelsiano a p. 278 del cito India, Cina, Russia.

[103] Sarà questo il tema soprattutto della seconda parte di Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, ed. cit.

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