Un partecipante episodico agli incontri settimanali tenuti da una nostra sezione, nell’intento di stabilire le sue ”preferenze” fra noi e altri (che Lenin definirebbe “critici non molto intelligenti i quali vogliono assolutamente considerarsi comunisti”), intavolando un odioso “confronto” ha creduto mettere il dito sulla classica piaga quando ha chiesto: “Ritenete di essere il Partito della rivoluzione, o non pensate invece di rappresentare uno dei gruppi destinati a essere coinvolti nel movimento della ripresa rivoluzionaria, a cui fornirà il suo apporto, come altri raggruppamenti?”. E’ qui un vero e proprio spartiacque fra noi e tutti gli altri gruppi, anche quelli che, ritenendosi “molto intelligenti”, sono pronti ad aggiornare continuamente le loro posizioni e ad apparire, di volta in volta, come i “più” rivoluzionari. Certo, la nostra risposta deluse l’interlocutore, che quindi si sentì in grado di “operare la sua scelta” con la massima sicurezza e non si fece più vedere, trovando più logico andare da quelli che si sentono parte di un movimento “storico” e non “settario”, di “masse” e non di “partiti”. Ma l’episodio merita un commento non episodico. Anzitutto, si può osservare come questa è solo una comoda e facile scappatoia di fronte alle difficoltà della situazione controrivoluzionaria. Pensare di non dovere affrontare, nel limite delle possibilità storiche, il compito della formazione del partito che dovrà dirigere la rivoluzione, anche se appare una posizione più “modesta”, significa in realtà “stare a vedere” come si svolge il film e prendervi parte solo quando tutto ma proprio tutto si sia svolto secondo i nostri desideri, le nostre illusioni, automaticamente, perché così vorrebbe “la storia”; significa essere degli irresponsabili. Ma anche ammesso questo sviluppo, si rivelerebbe inutile il ruolo del partito, oppure esso si troverebbe sempre in ritardo sugli avvenimenti. La “modestia” qui sta solo nel ruolo modesto e subordinato assegnato al partito, non nella sciocca pretesa di essere in grado di capire di volta in volta il senso degli avvenimenti storici fuori da una dottrina completa ed esauriente, da un programma definito, da possibilità tattiche codificate, barcamenandosi invece, modestia a parte, con le proprie capacità e il proprio ingegno, nel mare degli avvenimenti, che alla fin fine (ma che comodità!) trovano il senso giusto e indicano ai nostri “geni” le posizioni che devono prendere (e quelle che devono buttare). Come si vede, dietro un’apparente sfumatura, che facilmente prende forma di atteggiamenti “morali” contrapposti, si cela una completa contrapposizione teorica e programmatica. Come sempre, da una parte la via facile, “creativa”, che è certamente anche attivistica, ma cerca sempre giustificazioni in fatti che avvengono al di fuori dell’organizzazione e della teoria; dall’altra la via difficile e “settaria”, colpevole di volersi ”sovrapporre” al movimento reale, che è l’unica via per costituire un’organizzazione rivoluzionaria, di militanti animati dalla chiara visione del partito sulla meta e sulla via da compiere, e pronti per questo a sottomettervisi, pronti al sacrificio continuo, alla massima abnegazione, al lavoro modesto perché non personale. Da una parte, è il ruolo del partito come “illuminatore”, e la sua attività che si esplica soltanto sul piano della “agitazione” a tutti i costi, indipendentemente dalla possibilità di incanalare il movimento reale in una ben precisa direzione politica, guidato da una specie di “marketing” (ovvero, studio di mercato per trovare uno sbocco ai propri prodotti; e non è forse una pretesa anche dei “filosofi” onesti della pubblicità o dell’informatica, quella di fornire solo degli “stimoli” ai consumatori, non privandoli della loro “creatività” e delle loro scelte?): le masse consumatrici a un certo punto sceglierebbero, come al supermarket, il “prodotto partito”, tagliato su misura. Nel frattempo, restano totalmente in sospeso alcune ”bazzecole”: questioni teoriche non d’attualità e scelte tattiche che si vedranno al momento, mentre la forma di organizzazione è in balia degli interventi del partito nelle masse e soprattutto delle masse del partito. Dall’altra parte, è il ruolo del partito come dirigente della rivoluzione, che può essere tale alla sola condizione di porsi il problema di quel ruolo – su tutti i piani, teorico, programmatico, tattico, organizzativo – ben prima di rappresentare effettivamente sul piano formale quella organizzazione determinata. Ciò significa comprendere che la storia ha già fornito tutto questo materiale e che le masse se ne potranno appropriare solo se è presente e agente l’organizzazione che lo ripresenta loro incessantemente in tutti i fatti e si mostra in grado di organizzarle efficacemente per il raggiungimento del fine supremo, la società comunista. Ed è comico sentire certa gente che ci crede troppo esigenti, per non dire “depositari” unici del marxismo, nell’intento di costituire il nucleo del futuro partito di classe, sentirla chiedere con sospetto ed intenzione: qual’è la forma di organizzazione che “proponete” ? Già, perché si può stare ad aspettare i lumi del “movimento” per costituire il partito, ma l’organizzazione, perbacco!, nell’attività misera oggi possibile, deve essere democratica, quindi già ben definita! Questa gente non potrà mai capire, non avendo la minima idea delle sue premesse, che solo un partito programmaticamente uniforme, coeso (o, se volete, il suo primo nucleo), composto da militanti uniti dallo stesso preciso programma, può costituire un’organizzazione ferrea e centralizzata e nello stesso tempo volontaria, perché voluta. L’organizzazione è una conseguenza di tutti gli aspetti del partito: aderirvi significa aderire al programma comunista (l’unico) e per conseguenza lavorare alla costituzione dell’unico partito comunista. Quando l’adesione è avvenuta, avviene obbligatoriamente la subordinazione pratica (organizzativa) al programma e la trasposizione della propria “volontà” in quella del partito, se proprio non volete usare il termine “subordinazione”. Vano è parlare di “organizzazione” se prima non si è parlato a fondo di partito, definito dal suo programma e dalla sua tattica. E irresponsabile è parlarne pensando a un gruppo di individui che siano legati solo da una finalità ideale distante nel tempo, ma non abbiano in comune le stesse opinioni sui mezzi da applicare e sulla via da percorrere per raggiungere tale obbiettivo. E l’irresponsabilità diviene massima quando certa gente, non paga della confusione regnante nelle proprie file, cerca di trasmetterla ad altri, proponendo accordi per azioni comuni, da mettere alla prova dei fatti.

Sì, intendiamo costituire il nucleo del partito che possa dirigere il movimento di classe rivoluzionario. E’ un compito arduo e superiore a noi stessi. Non basta affermarlo; ma bisogna applicarlo in tutte le manifestazioni della nostra attività. Ora lo facciamo in modo insufficiente e frammentario, in condizioni generali sfavorevoli, ma saremmo dei ridicoli dilettanti se non ci ponessimo proprio questo preciso compito. La storia delle lotte di classe ha dietro di sé un’esperienza che deve rappresentare il nostro tesoro. Bisogna appropriarsene, e subito. Aderire al nostro movimento deve significare aver la volontà di compiere questa appropriazione, e capire, così, le parole di Lenin nel Che fare?: “Un rivoluzionario fiacco, esitante nelle questioni teoriche, con un orizzonte limitato, che giustifichi la propria inerzia con la spontaneità del movimento di massa […], incapace di presentare un piano ardito e vasto che costringa al rispetto anche gli avversari […] può forse chiamarsi un rivoluzionario ? NO. E’ solo un povero artigiano”. Artigiani che volete un partito libero da limiti programmatici e tattici ben definiti, in cui il vostro apporto abbia “spazio” adeguato, accomodatevi altrove!

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03  2005)

 

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