Dopo la lettura, nella sessione precedente, del nuovo progetto di organizzazione dell’Internazionale comunista, prende la parola Bordiga.

 

Ho chiesto la parola per parlare sul rapporto del compagno Eberlein in merito alla riorganizzazione del Comitato Esecutivo dell’Internazionale comunista. Chiamato a far parte della commissione, già osservato che si tratta non soltanto di organizzare il C.E. e il suo lavoro, ma di riorganizzare tutta l’Internazionale comunista. Sono in gioco questioni importanti che implicano un’effettiva revisione degli statuti dell’Internazionale in riferimento all’insieme dei rapporti fra le sezioni e la centrale, e all’intero lavoro organizzativo dell’Internazionale in generale.

 

Ho sollevato la questione della necessità di una revisione degli statuti dell’Internazionale. Il compagno Eberlein ha però detto poc’anzi che questo problema è rinviato al prossimo congresso.

 

Trovo del tutto accettabile in ogni sua parte il progetto di organizzazione. Esso contiene disposizioni che sono oggettivamente importantissime, in quanto tendono ad eliminare gli ultimi residui dei metodi organizzativi federalistici della vecchia Internazionale. Certo, se in questo stadio del Congresso si potesse allargare un po’ la discussione, ci si potrebbe chiedere se a tutto ciò che sarebbe necessario per la realizzazione di un’effettiva centralizzazione rivoluzionaria si possa provvedere con l’aiuto di una riforma dell’apparato organizzativo. Ho già detto qualcosa, in merito, nel mio discorso sul rapporto del C.E. e non voglio ripetermi. Non ne ho il tempo, del resto; voglio però dichiarare ancora una volta che, se vogliamo attuare un’effettiva centralizzazione, cioè una sintesi delle forze spontanee dell’avanguardia del movimento rivoluzionario nei diversi paesi, per eliminare dalla faccia della terra le crisi disciplinari di cui constatiamo oggi l’esistenza, dobbiamo sì centralizzare l’apparato organizzativo, ma, nello stesso tempo, unificare i metodi di lotta e chiarire con la massima precisione tutto ciò che si riferisce al programma e alla tattica. Dobbiamo spiegare esattamente a tutti i gruppi e a tutti i compagni che aderiscono all’Internazionale che cosa significa l’obbligo, da essi contratto nell’entrare nelle nostre file, di una ubbidienza incondizionata.

Quanto ai congressi internazionali, sono perfettamente d’accordo con l’eliminazione dei mandati imperativi e con la convocazione dei congressi internazionali prima di quelli nazionali. Ammetto senza riserve che si tratta di misure corrispondenti ai principi della centralizzazione; sono però dell’avviso che non dobbiamo limitarci a dichiarare che questi due provvedimenti rispondono agli interessi di una giusta centralizzazione, ma che sul lavoro e l’organizzazione dei congressi si debbano dire parole ancora più gravi.

 

Noi siamo arrivati alle ultime sedute di questo congresso, e dobbiamo riconoscere che l’opera da esso svolta non è stata in tutti i campi soddisfacente. Molte questioni importanti sono state sollevate, ma, giunti agli ultimi giorni di dibattito, constatiamo che i dibattiti stessi non sono stati particolarmente attivi.

 

Dobbiamo esaminare il problema delle dimissioni. Sono d’accordo che si debbano impedire le dimissioni. Ma si potrebbe anche adottare la norma applicata con successo nel nostro Partito, e consistente nel fatto che tutte le dimissioni vengono immediatamente accolte e che chi le ha date non può, nell’anno o nei due anni successivi, riprendere il suo posto nel partito. Credo che questo sistema porterà ad una sensibile riduzione del numero delle dimissioni.

 

Un’altra questione rimasta sul tappeto, e che, nonostante lo stadio in cui si trovano attualmente i lavori del congresso, dev’essere assolutamente affrontata, è la proposta relativa ad un intervallo di due anni fra i singoli congressi mondiali. Se il prossimo congresso non dovesse essere eccessivamente gravato, come l’attuale, di lavoro e di questioni da discutere, sarebbe certo ottima cosa non ripetere questo enorme dispendio organizzativo, finanziario, ecc. Ciononostante io sollevo la questione particolare dello spazio di tempo che ci divide dal quinto congresso.

 

Noi stiamo per rinviare a questo prossimo congresso questioni di enorme importanza, come la redazione di un nuovo programma dell’Internazionale, o meglio, del suo primo programma, e come la revisione dello statuto, cioè del legame organico di intercorrente fra l’Internazionale e le sue sezioni. Dopo il rapporto del C.E., abbiamo a lungo discusso la questione della tattica; i diversi oratori succedutisi alla tribuna hanno però evitato di affrontare il grande problema della tattica dell’Internazionale, limitandosi a discutere alcuni rilievi dell’Esecutivo sul lavoro o sulla situazione di questa o quella sezione nazionale. Questioni importanti non sono state invece chiarite come, per esempio, la questione del governo operaio: il testo è stato rimesso ad una commissione che non è ancora giunta ad alcun risultato. La questione non è quindi ancora sviscerata, né avremo tempo di farlo. Ora io non propongo certo di aprire di nuovo una grande discussione sulla questione della tattica, ma se penso al programma, agli statuti, alla tattica, trovo assurda l’idea di tenere il quinto congresso mondiale solo fra due anni, e, a nome della maggioranza della delegazione italiana, mi riservo di sottoporre al congresso la proposta di tenere il quinto congresso dell’Internazionale, in considerazione del rinvio di argomenti molto importanti, nell’estate o nell’autunno del 1923.

 

(Avendo Kolarov, a nome del C.E., spiegato che il quinto congresso si terrà l’anno dopo sebbene sia stato deciso che in seguito i congressi mondiali si tengano solo ogni due anni, Bordiga si dichiara soddisfatto del chiarimento).

 

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