INTRODUZIONE

 

È forse nel campo della teoria della moneta che le difficoltà dovute al mancato completamento dell'opera fondamentale di Marx, Il Capitale, sono le più grandi. Comunque, esse non potevano non provocare varie incomprensioni più o meno interessate, e numerosi sono i critici di Marx che, in base ad una lettura superficiale della sua opera, pretendono di dimostrare sia che la teoria della moneta si adatta al massimo alle forme embrionali dell'economia moderna, sia che Marx abbia dovuto, nei libri II e III della sua opera, contraddire le leggi che egli stesso aveva annunciate nel primo, per tener conto della "realtà concreta" dei rapporti capitalistici sviluppati, ribelli, secondo questi critici, alla interpretazione marxista. La storia è vecchia quanto l'antagonismo radicale fra il metodo e i risultati marxisti e quelli dell'economia politica volgare: per convincersene, basta leggere le prefazioni di Engels ai due ultimi libri del Capitale, editi dopo la morte di Marx in base ai manoscritti da lui lasciati.

Resta tuttavia il fatto che le difficoltà puramente materiali sono effettive, e che, ad uso dei militanti, importa cercar di appianarle. A questo scopo appunto tendeva l'esposto della riunione generale di cui qui diamo conto. Quali che siano le evidenti insufficienze per ciò che concerne la redazione dei due ultimi libri del Capitale, si può tuttavia affermare, senza andare a caccia di paradossi, che si tratta veramente di un'opera compiuta. In realtà, il piano generale, chiaramente stabilito fin dall'origine nelle sue linee maestre - come dimostra un confronto con l'Introduzione alla Critica dell'Economia Politica del 1859 [1]- è abbastanza netto per servir di guida sicura nel corso di tutte le analisi più particolari, se ci si è resi conto dell'unità profonda che cementa tra loro le diverse parti del Capitale, malgrado il carattere specifico del loro oggetto.

I caratteri dominanti dell'insieme, benché da un punto di vista letterario si possa contrapporre il I libro, brillantemente compiuto in tutti i suoi particolari, agli altri due, rimasti allo stato di schizzi tuttavia molto elaborati, i caratteri dominanti, dicevamo, sono la coerenza e il rigore. Il fatto che si possa dire altrettanto della teoria marxista in genere, noi ci guarderemo bene di attribuirlo a virtù puramente scientifiche di Marx: al contrario, vi riconosciamo il segno, nel campo delle armi dottrinali, del carattere universale, radicale e in un certo senso definitivo, della rivoluzione sociale che la società borghese porta in grembo.

Per quanto riguarda la moneta, Marx ne affronta lo studio fin dalla Prima Sezione del I Libro, ma in un modo che può sorprendere e perfino sconcertare [2]. Invece di partire dal denaro, dalla moneta, così come funziona nell'economia capitalistica sviluppata, egli si occupa della moneta nella sua forma più astratta, ma anche la più semplice; della moneta allo stato (si potrebbe dire) puro, e quindi priva delle sue determinazioni capitalistiche. Non è evidentemente un prodotto del caso o di un "capriccio hegeliano", ma il risultato di un'esigenza scientifica che supera l'aspetto puramente storico delle cose, pur inglobandolo.

Certo, allo stesso modo che la economia mercantile è apparsa molto prima dell'economia capitalistica, che resta tuttavia anch'essa, ma a modo suo, una economia la cui ricchezza "si presenta come una immane 'raccolta di merci'" [3], il modo di produzione capitalistico non è stato il solo ad utilizzare il rapporto di produzione "denaro" o "moneta". Una visione storica della successione dei modi di produzione presupporrebbe quindi lo studio della merce e del denaro prima dello studio del capitale propriamente detto. Ma c'è di più. La comprensione dello stesso modo di produzione capitalistico presuppone quella dei rapporti di produzione dai quali si è sviluppata, anche e soprattutto se ha loro impresso il proprio marchio. La comprensione della natura e del ruolo della merce e del denaro nel modo di produzione capitalistico esige quindi che siano messe in evidenza le caratteristiche di questi rapporti considerati allo stato puro, astratti per qualche tempo dalle loro determinazioni storiche particolari.

Del resto, lo stesso Marx, mediante confronti fra il suo metodo e quello delle scienze della natura, si è sforzato di far sentire questa necessità: "La forma di valore, della quale la forma di denaro è la figura perfetta, è poverissima di contenuto, e semplicissima. Tuttavia invano l'umanità da più di duemila anni ha cercato di scandagliarla a fondo, mentre d'altra parte l'analisi di forme molto più ricche di contenuto e molto più complicate è riuscita per lo meno approssimativamente. Perché? Perché il corpo già formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. Inoltre, all'analisi delle forme economiche non possono servire né il microscopio né i reagenti chimici: l'uno e gli altri debbono essere sostituiti dalla forza d'astrazione. Ma per quanto riguarda la società borghese, la forma di merce del prodotto del lavoro, ossia la forma di valore della merce, è proprio la forma economica corrispondente alla forma di cellula. Alla persona incolta, l'analisi di tale forma sembra aggirarsi fra pure e semplici sottigliezze; soltanto che si tratta di sottigliezze come quelle dell'anatomia microscopica" [4].

La fisiologia che studia il funzionamento d'insieme dell'essere vivente non può evidentemente accontentarsi di sommare i risultati ottenuti mediante lo studio della cellula, arbitrariamente separata dall'insieme per comodità di ricerca; resta tuttavia il fatto che essa non può progredire nella conoscenza globale a cui tende, se non prendendo per materiali di base le "minuzie cellulari".

Lo stesso procedimento si ritrova nello studio marxista della moneta e del modo di produzione capitalistico in generale. La Prima Sezione del Capitale, che studia "la merce e il denaro", non è dunque affatto un antipasto troppo pesante, di cui si potrebbe fare a meno per gettarsi avidamente sul piatto forte, come qualcuno ha creduto, ma una preparazione indispensabile alla buona "digestione" dell'insieme. Le disavventure degli economisti che hanno seguito la via opposta, cercando di cogliere la natura della moneta più elaborata, la moneta di credito, prima di sapere che cosa era esattamente il denaro tout court, basterebbero per dimostrare a contrario la fondatezza di questo metodo.

Seguiremo dunque, qui, il piano di Marx: partendo dallo studio della natura e delle funzioni del denaro nella circolazione semplice delle merci, arriveremo finalmente allo studio della moneta così come lo sviluppo del modo di produzione capitalistico l'ha "perfezionata". Un tale esposto è evidentemente molto frammentario nella stessa misura in cui isola dagli altri il rapporto di produzione monetario. Esso presuppone quindi la conoscenza delle leggi fondamentali dell'economia capitalistica esposte in tutte le pagine del Capitale da un lato, e non può dall'altro avere che un obiettivo limitato: l'esposizione della teoria marxista della moneta permette di affermare, nel migliore dei casi, solo la funzione di questa nell'economia capitalistica, di capire come la moneta serva il capitale; non può in nessun caso sostituirsi ad uno studio dei rapporti di produzione fondamentali del capitalismo. In questo campo il marxista si distingue... dal banchiere perché non condivide la visione alienata del mondo economico che è necessariamente propria di quest'ultimo: il marxista sa che i rapporti monetari sono semplici riflessi di rapporti di produzione più profondi, i quali sono a loro volta, in ultima analisi, rapporti fra gli uomini, o meglio, tra le classi.

 


LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE SEMPLICE DELLE MERCI

 

 

La forma moneta

 

Supponiamo, dapprima, di trovarci di fronte ad una società di produttori indipendenti, cioè padroni dei loro mezzi di produzione e quindi anche dei loro prodotti (artigiani e contadini proprietari). Se il progresso delle forze produttive è sufficiente per aver già provocato una divisione tecnica del lavoro, ogni produttore non può da solo produrre l'insieme degli oggetti atti a soddisfare i suoi bisogni: il fabbro non può nutrirsi degli utensili da lui fabbricati più che il contadino possa fare a meno di questi utensili per le sue colture. Lo scambio dei prodotti è quindi necessario, ogni produttore detenendo dei valori d'uso (attrezzi, abiti, generi alimentari, ecc.) superiori ai suoi bisogni personali, mentre deve procurarsi altri valori d'uso di cui non è produttore. Nella sua forma più semplice, il baratto, lo scambio si realizzerà in un rapporto quantitativo determinato fra merci di diverso valore d'uso. Nel corso dello scambio, quando le merci cambieranno simultaneamente di mano, esse appariranno tuttavia come eguali tra loro, malgrado le differenze che permettono di distinguerle e che determinano appunto i loro rispettivi valori d'uso (la loro utilità ai fini della soddisfazione dei bisogni umani). Se un quintale di grano si scambia contro 49 metri di tela, gli è che, da un certo punto di vista che non ha evidentemente nulla a che vedere con l'utilità, col valore d'uso e quindi con la soddisfazione dei bisogni, quel quintale di grano è effettivamente eguale a questi 40 metri di tela. Ora, la sola proprietà comune a quelle due merci, per altri aspetti molto diverse, consiste nell'essere dei prodotti del lavoro umano, nel fatto che la loro produzione ha richiesto una certa spesa di lavoro umano. L'eguaglianza:

1 q.le di grano = 40 m. di tela che si afferma nel corso dello scambio, maschera un'eguaglianza più profonda di cui essa è soltanto l'espressione, cioè  [5]:

spesa di forza lavoro umana per produrre 1 q.le di grano = spesa di forza lavoro umana per produrre 40 m. di tela.

Perciò, a questo stadio, ogni merce particolare può esprimere il suo valore nelle altre merci prodotte, cosicché si stabilisce una serie di equivalenze del tipo seguente, che esprimono reciprocamente i valori di scambio delle diverse merci:

x merce A = y merce B = z merce C = ecc.

Questa forma embrionale della circolazione delle merci esige tuttavia che all'atto dello scambio le due merci si trovino effettivamente faccia a faccia. Il produttore di grano deve incontrare il produttore di tela nel preciso momento in cui ha bisogno di tela e dispone di un'eccedenza di grano, mentre il produttore di tela offre della tela ma desidera del grano. Gli scambi sono quindi sottomessi ad una doppia limitazione, nel tempo e nello spazio. Del resto, basterebbe aggiungere un terzo personaggio, perché tutto ciò divenga inestricabile: il sarto ha bisogno di tela, ma il tessitore non desidera rinnovare il suo guardaroba; il contadino ha bisogno di abbigliamenti, ma è il tessitore che vuol fare provvista di grano e non il sarto - e si sa che la diversificazione delle produzioni, che va di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive, avrà ben presto moltiplicato all'infinito il numero di produttori che gettano sul mercato merci differenti. D'altronde, se il nostro contadino può facilmente dividere la sua produzione di grano in tante parti quante sono necessarie, il sarto taglierà e cucirà almeno un abito intero. Per poco che questo abbia un valore di scambio eguale a un mezzo quintale di grano, ma il sarto abbia bisogno di appena un quarto di quintale, il mercato non potrà essere concluso.

Tutte queste limitazioni, proprie del baratto delle merci, saranno superate con l'introduzione del denaro e grazie all'attività di una classe sociale particolare, quella dei mercanti. Che cos'è il denaro, la moneta? Prima di tutto, una merce come le altre, cioè un prodotto del lavoro umano; anch'essa quindi, può scambiarsi con le altre merci e partecipare alla serie di eguaglianze che esprimono il valore di scambio reciproco delle merci: 1q.le di grano = 40 m. di tela = ecc... = 100 gr. d'oro.

Dopo molti brancolamenti, i metalli preziosi e soprattutto l'oro e l'argento hanno finito per recitare in esclusiva il ruolo di equivalente generale delle merci. Invece di scambiarsi direttamente fra di loro, queste si scambiano a tutta prima contro l'oro, secondo il rapporto quantitativo determinato dal valore di scambio di quelle e di questo; non è più che per la via traversa dell'oro che le merci si scambiano le une contro le altre. A questo stadio le nostre equivalenze si sono modificate, le merci cessano di esprimere reciprocamente il loro valore, soltanto l'oro esprime il valore di tutte:

1 q.le di grano

40 m. di tela = 100 gr. d'oro

1 t. di ferro

ecc.

Il fatto che l'oro (e l'argento) si imponga in questo ruolo di misura universale dei valori di scambio e ne escluda di conseguenza ogni altra merce, deriva dalle sue proprietà fisico-chimiche: praticamente inalterabile, soggetto a limitato logorio, esso è anche facilmente divisibile; potrà quindi sempre esprimere, purché se ne faccia variare il peso, valori di scambio molto diversi gli uni dagli altri (ben inteso, questa stessa proprietà appartiene al grano, al ferro, ecc., ma è la congiunzione della inalterabilità e della divisibilità che ha deciso a favore dell'oro). Si vede così che l'oro recita la sua parte di equivalente generale nella misura in cui è, prima di tutto una merce come altre, e poi una merce che possiede particolari caratteristiche fisiche  [6].

L'apparizione della moneta introduce quindi una separazione fra le due operazioni complementari dello scambio, la vendita e l'acquisto, o più esattamente rende possibile lo scambio anche se queste due operazioni debbano essere separate nel tempo e nello spazio. Nel baratto, acquisto e vendita erano simultanei:

M = M

dove M e M designano delle merci di diverso valore d'uso ma di eguale valore di scambio. (Si tratta quindi, in realtà, non di un'eguaglianza in senso proprio, ma di una equivalenza). Quando la moneta fa la sua comparsa, lo scambio può essere simboleggiato con:

M - D - M,

(dove D indica il denaro). Il venditore si disferà della sua merce contro dell'oro che gli permetterà di acquistare, più tardi o su un altro mercato, una o più merci per un valore di scambio totale pari a quello della merce che ha venduto, ma di diverso valore d'uso. Parallelamente entra in scena il personaggio del mercante; detentore di moneta, sarà acquirente qui e venditore altrove; supporto animato del denaro, gli permetterà di giocare in pieno il suo ruolo economico: mettere in rapporto i produttori di merci, anche se distano gli uni dagli altri o se portano le loro merci sul mercato a date diverse.

 

 

Le funzioni della moneta

 

Ricordati sommariamente questi risultati dell'analisi marxista, dobbiamo ora studiare più attentamente le funzioni della moneta. Tutte discendono, in realtà, dal ruolo di equivalente universale che il denaro assume, ma ciò non toglie che meritino ciascuna un'analisi particolare. Si tratta, in effetti, di isolare le caratteristiche stesse della moneta in quanto tale, caratteristiche che rimarranno anche quando la moneta, via via che gli scambi si svilupperanno sotto l'impulso del capitalismo, cambierà di forma. La moneta permette di misurare i valori di scambio, è uno strumento della circolazione delle merci e può, inoltre, essere messa in riserva, tesaurizzata; sono queste le sue tre principali funzioni o, più esattamente, si può parlare di moneta in senso proprio solo quando queste tre funzioni, distinte ma legate l'una all'altra, sono effettivamente adempiute. Consideriamole una dopo l'altra:

 

 

1.   LA MONETA MISURA DEI VALORI

 

Questa funzione deriva direttamente dalla formazione dell'equivalente generale così come l'abbiamo brevemente delineata più sopra. Come dice Marx nel Libro III del Capitale, "il prezzo per il suo concetto generale non è a tutta prima che il valore sotto forma di denaro" (Introduzione alla Critica dell'Economia politica), "l'oro diventa misura dei valori perché tutte le merci misurano i loro valori di scambio in oro nella proporzione in cui una quantità determinata di oro e una quantità determinata di merci contengono lo stesso tempo di lavoro".

Per misurare i valori, non occorre che una moneta "ideale". Tutti sanno che scrivere un prezzo su un'etichetta non significa ancora vendere la merce etichettata, benché, evidentemente, si applichino delle etichette al solo fine di vendere e quindi questa funzione "ideale" della moneta come misura dei valori supponga l'esistenza di una moneta reale che renda possibile degli scambi effettivi. D'altra parte, poiché la moneta è una merce come le altre, il suo valore può variare se variano le condizioni di produzione dell'oro. Queste variazioni del valore di scambio dell'oro determineranno una variazione generale e in senso inverso del prezzo delle merci. Se il valore dell'oro aumenta, i prezzi diminuiranno, perché occorrerà ormai una quantità minore d'oro per esprimere un determinato valore; se il valore dell'oro diminuisce, l'insieme dei prezzi subirà un aumento nelle stesse proporzioni. Tuttavia, queste variazioni non alterano affatto la funzione di equivalente generale dell'oro; prima come dopo queste variazioni positive o negative, i valori delle diverse merci, a parità di condizioni, si esprimeranno sempre nello stesso rapporto. Se all'inizio:

1 q.le di grano = 40 m. di tela = 100 gr. d'oro,

e se in seguito, a causa di una diminuzione del 25% del valore dell'oro:

1 q.le di grano = 40 m. di tela = 125 gr. d'oro,

il prezzo di ogni merce sarà bensì cambiato, ma i loro rapporti reciproci saranno rimasti costanti, perché

1 q.le di grano = 40 m. di tela

prima come dopo la variazione dell'oro. Le variazioni di valore della moneta non le impediscono quindi affatto di giocare il ruolo di misura dei valori, cioè di rendere commensurabili tra loro i valori delle differenti merci  [7].

Infine, la funzione di misura dei valori compiuta dalla moneta suppone che l'oro assuma la forma di "scala dei prezzi". L'abitudine, generalizzata e sanzionata dalla legge, definisce la quantità di oro che servirà come unità di misura, e questa unità è a sua volta divisa in parti proporzionali, in modo che si possa facilmente, per semplice addizione, esprimere in oro qualunque prezzo. In origine, i nomi monetari sono spesso i nomi di unità di peso. La lira sterlina (pound), per esempio, era il valore di una libbra (pound) di argento: ma la interferenza delle monete straniere, le falsificazioni monetarie, l'intervento del potere statale, ecc. hanno poi soppresso questa corrispondenza fra nome monetario e massa di metallo prezioso da esso rappresentata: "Poiché la scala del denaro da una parte è puramente convenzionale, dall'altra ha bisogno di validità universale, alla fine essa viene regolata per legge. Una parte determinata di peso del metallo prezioso, per esempio un'oncia d'oro, viene ripartita ufficialmente in parti aliquote, che ricevono nomi di battesimo legali, come libbra, tallero, ecc. Questa parte aliquota, che poi vale come unità di misura vera e propria del denaro, viene suddivisa in altre parti aliquote con nomi di battesimo legali... Invece di dire che il quarter di grano è eguale a un'oncia d'oro, in Inghilterra si dirà che esso è eguale a 3 lire sterline, 10 scellini e 10 pence e mezzo". (Il Capitale, Libro I, 1 Ed. Rinascita, pag.114).

 

 

2.   LA MONETA, STRUMENTO DELLA  CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

 

Come sappiamo, la moneta è apparsa quando gli scambi avevano assunto una tale estensione che non potevano più tollerare le limitazioni imposte dal baratto. Da questo punto di vista, la moneta si presenta quindi come lo strumento capace di far cambiare di mano le merci in condizioni in cui il baratto sarebbe inoperante o troppo complicato. Tuttavia, la moneta può funzionare veramente come mezzo di circolazione solo in quanto è anche misura dei valori. Il produttore non si sbarazzerà della sua merce per cederla al mercante, se non nella misura in cui questi sarà in grado di consegnargli una certa quantità d'oro, equivalente generale delle merci. La seconda funzione della moneta si presenta perciò come il prolungamento immediato della prima. Non solo, ma questa seconda funzione è anche la sanzione materiale della prima. Qui un oro "ideale" non basta più; occorrono delle monete sonanti e saltellanti, e solo nella misura in cui l'oro "materiale" permette effettivamente di compiere degli scambi, l'oro "ideale" può assolvere il suo compito di misura dei valori. Le diverse funzioni della moneta appaiono quindi come legate le une alle altre; non sono che i diversi aspetti assunti dai rapporti economici fra le merci, cioè dai rapporti sociali fra i produttori.

 

 

a.   Corso del denaro

 

Il movimento compiuto dalle merci è circolare. Il venditore aliena la sua merce contro denaro, ma con questo denaro si procura in seguito altre merci. Prendendo la merce come punto di partenza, il movimento si conclude con una riapparizione della merce, che è, beninteso, di un valore d'uso differente dalla prima, ma di un valore di scambio eguale. Completamente diverso è il movimento del denaro: nelle mani del venditore, esso appare solo come un intermediario della merce che egli desidera procurarsi; lo si possiede solo temporaneamente, e la sua funzione di mezzo di circolazione esige che lo si rimetta in circolo. Se il produttore di merci vende queste ultime solo per acquistarne altre, non riceve del denaro che per disfarsene. La funzione di mezzo di circolazione del denaro implica perciò che esso cambi continuamente di mano: questo moto perpetuo è ciò che si chiama corso del denaro.

Qual è la quantità di denaro necessaria alla circolazione delle merci? È evidente che questa quantità deve essere accuratamente distinta dalla quantità totale dei mezzi monetari esistenti in un momento dato. I più cospicui stock d'oro non potranno mai far circolare delle merci che non esistono: si può scambiare soltanto ciò che è stato effettivamente prodotto. La quantità di denaro utilizzato come mezzo di circolazione dipende perciò in primo luogo dalla quantità di merci che circolano o, più esattamente, dal valore totale dello stock di merci che si scambiano le une contro le altre per la via traversa della moneta. "È chiaro che, possedendo l'oro e l'argento un valore proprio - scrive Marx nella Critica dell'Economia Politica (Ed. Riuniti, pag.146) - e astraendo da tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità determinata di oro e di argento possa circolare come equivalente per una data somma di valori di merci".

Ma la moneta che funziona come mezzo di circolazione ha per caratteristica, come abbiamo visto, di cambiare continuamente di mano. Ciò significa che una quantità data di denaro funziona in modo quasi indefinito, se si trascura da un lato il logorio al quale essa è sottoposta e dall'altro il fatto che serve più volte in un determinato lasso di tempo. Perciò, più la velocità di circolazione è grande, più il numero di transazioni compiute mediante una stessa unità monetaria sarà grande. In altre parole, più grande è la velocità del corso del denaro, più la quantità di denaro necessaria alla circolazione è piccola per un volume di scambi dato. Se si potessero conoscere a un momento dato il prezzo unitario e la quantità di ogni merce da una parte, e la velocità del corso del denaro dall'altra, sarebbe facile calcolare la quantità di denaro che in quel momento funziona effettivamente come mezzo di circolazione. Si avrebbe la seguente eguaglianza: somma dei prezzi delle merci fratto velocità media del corso del denaro = quantità di moneta funzionante come mezzo di circolazione.

Va da sé che un tale calcolo sarebbe difficilissimo nella misura in cui presuppone la conoscenza di un numero enorme di dati, d'altronde variabili nel tempo. Ma in realtà la cosa non presenta nessuna difficoltà particolare perché la pratica commerciale si incarica di stabilire facilmente ciò che un calcolo teorico potrebbe valutare solo a prezzo di grandi difficoltà.

Si deve anche notare che la velocità media del corso del denaro non è una causa prima, ma, al contrario, una variabile dipendente: è la velocità di circolazione delle merci che si traduce nella velocità di circolazione del denaro, il valore di questo essendo dato; inoltre, poiché il prezzo delle merci è variabile (per cause fortuite, e si tratta allora di variazioni intorno ad una media ma che tuttavia incidono sulla quantità di moneta circolante, o per effetto di variazioni nel valore delle merci derivanti da mutamenti nel processo di produzione), come lo è il valore della moneta stessa, ne risulta una combinazione complessa di tutti questi fattori. Resta comunque il fatto che la moneta è soltanto il riflesso del mondo delle merci [8] , non la causa dei movimenti che vi si producono. "La legge che la quantità dei mezzi di circolazione è determinata dalla somma dei prezzi delle merci circolanti e dalla velocità media del corso del denaro, può anche essere espressa così: data la somma di valore delle merci e data la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità del denaro, ossia del materiale monetario in corso, dipende dal suo proprio valore. L'illusione che i prezzi delle merci, viceversa, siano determinati dalla massa dei mezzi di circolazione, e questa massa sia determinata a sua volta dalla massa del materiale monetario che si trova in un dato paese, ha la sua radice, nei suoi primi sostenitori, nell'ipotesi assurda che entrino merci senza prezzo e denaro senza valore nel processo della circolazione, dove poi una parte aliquota del pastone di merci si scambierebbe con una parte aliquota del mucchio di metallo". (Il Capitale, I,1, pagg. 137-138, Ed. Riuniti).

Quando il denaro assolve la sua prima funzione di misura dei valori, il fatto che il suo valore sia variabile, poiché anch'esso è una merce, appare come una caratteristica determinante: esso contribuisce infatti a stabilire il livello dei prezzi: invece, quando il denaro assolve la sua seconda funzione di mezzo di circolazione, la sua caratteristica essenziale diviene il fatto che la quantità che ne è richiesta è a sua volta variabile. Ne viene una conseguenza particolarmente importante, sulla quale ci soffermeremo più oltre, cioè la necessità di una tesaurizzazione. In realtà, il volume delle transazioni non può né rimanere costante (storicamente, esso aumenta senza tregua) e neppure crescere regolarmente (a prescindere anche dai fenomeni di crisi, è un fatto che l'apparizione dei prodotti sul mercato non può essere distribuita regolarmente sull'annata: basta pensare per convincersene ai prodotti agricoli): durante un anno solare il mercato delle merci è quindi periodicamente soggetto a brusche oscillazioni e d'altra parte la velocità del corso del denaro è essa stessa variabile, per queste stesse ragioni e per altre ancora. Ne segue che la somma di denaro circolante, di quantità necessariamente variabile, anche per un periodo relativamente breve, non può essere eguale alla somma totale di mezzi monetari esistenti: tutto il denaro non può funzionare contemporaneamente come mezzo di circolazione.

 

 

b.   La "smaterializzazione dell'oro" funzionante come mezzo di circolazione.

 

Assolvendo la sua funzione di mezzo di circolazione, il denaro si logora, cosicché si stabilisce progressivamente un divorzio tra il valore reale della moneta d'oro che circola - valore proporzionale al suo peso, il quale diminuisce via via che la si utilizza - e il valore da essa incarnato - il valore iscritto su di essa: il prezzo monetario dell'oro si separa dal suo prezzo mercantile. Oltre alle spese derivanti dal conio iniziale delle monete, che sono spese improduttive in quanto determinate dalle esigenze della sfera della circolazione e non da quelle della produzione, lo Stato deve far fronte alle spese di rinnovo continuo del numerario logorato: "Le merci che operano come denaro non entrano né nel consumo individuale, né in quello produttivo. È lavoro sociale, fissato in una forma in cui serve soltanto da macchina di circolazione. Oltre al fatto che una parte della ricchezza sociale è relegata in questa forma improduttiva, il logorio del denaro esige continua sostituzione di esso o conversione di più lavoro sociale - in forma di prodotto - in più oro e argento. Questi costi di sostituzione sono ragguardevoli in nazioni sviluppate capitalisticamente ... oro e argento, in quanto merci-denaro, costituiscono per la società costi di circolazione che scaturiscono solo dalla forma sociale della produzione. Sono faux frais della produzione di merci in generale, che crescono con lo sviluppo della produzione di merci  e particolarmente della produzione capitalistica". (Il Capitale, II, pag.140, Ed. Riuniti).

Comunque, il semplice fenomeno materiale del logorio delle monete trasforma spontaneamente il numerario in un semplice segno di valore: la moneta d'oro che nel corso di manipolazioni successive ha perduto un decimo della sua massa, continua purtuttavia a servire di mezzo di circolazione allo stesso titolo della moneta intatta. Realizzandosi, la circolazione trasforma, in certo modo meccanicamente, la moneta usata in un semplice rappresentante della moneta nuova. Si delinea così un processo di "smaterializzazione" della moneta che si prolungherà e assumerà la sua forma più completa con l'intervento diretto dello Stato. Nel suo ruolo di mezzo di circolazione l'oro sarà progressivamente sostituito prima da monete in metallo meno costoso (rame, nichel, ecc.), poi da "cose che sono relativamente senza valore, cedole di carta". (Il Capitale, I, 1, pag.141, Ed. Riuniti). Se, per la moneta d'oro che esce dalla zecca, il prezzo mercantile è eguale al prezzo monetario, lo stesso non è già più vero per la moneta che ha lungamente circolato sul mercato; lo scarto aumenta con l'introduzione di monete in metallo inferiore, mentre infine non esiste più alcun rapporto fra prezzo monetario e prezzo mercantile quando si arriva alla carta-moneta.

Notiamo che, a questo stadio, il credito capitalista non ha ancora fatto la sua apparizione, cosicché la carta-moneta di cui si parla è esclusivamente la moneta di Stato a corso forzoso; non si tratta in alcun modo della moneta di credito. Questa carta-moneta è quindi soltanto un segno d'oro, un gettone che nella circolazione interna sostituisce il metallo giallo detenuto nelle casseforti dello Stato, il quale economizza così (a parte tutte le operazioni fraudolente che ciò - come se non bastasse - gli permette, tanto è vero che lo Stato non ha atteso la creazione della carta-moneta per falsificare l'argento...) le spese derivanti dall'impiego diretto dell'oro come mezzo di circolazione. Questa carta-moneta, poiché sostituisce semplicemente l'oro come mezzo di circolazione, deve evidentemente piegarsi alle leggi della circolazione monetaria già valide per l'oro; in particolare, la carta-moneta, qualunque ne sia la quantità emessa, può solo rappresentare in un dato momento la quantità d'oro che circolerebbe realmente: "Lo Stato getta nel processo della circolazione, dal di fuori, cedole di carta sulle quali sono stampati nomi di denaro come 1 lira sterlina, 5 lire sterline, ecc. Finché esse circolano realmente al posto della somma d'oro dello stesso peso, sul loro movimento si rispecchiano soltanto le leggi del corso del denaro. Una legge specifica della circolazione cartacea può sorgere soltanto dal suo rapporto con l'oro, in quanto essa è rappresentante di quest'ultimo. Tale legge è semplicemente questa: l'emissione di carta moneta deve essere limitata alla quantità nella quale dovrebbe realmente circolare l'oro (o l'argento) da essa simbolicamente rappresentato. Ora, è vero che la quantità d'oro che può essere assorbita dalla sfera della circolazione oscilla costantemente al di sopra o al di sotto di un certo livello medio; tuttavia la massa del mezzo circolante non cala mai, in un dato paese, al di sotto di un certo minimo stabilito in base all'esperienza... Quindi essa può essere sostituita con simboli cartacei. Ma se oggi tutti i canali della circolazione vengono riempiti di carta moneta al pieno limite della loro capaciti di assorbimento di denaro, domani essi potranno essere sovrappieni, in conseguenza delle oscillazioni della circolazione delle merci. Ogni misura è (allora) perduta" (Il Capitale, I, pagg.141-142, Ed. Rinascita).

Per concludere sulle due prime funzioni della moneta, ritorniamo un momento sui loro caratteri contraddittori, che hanno indotto in errore molti economisti. Quando la moneta funziona da misura dei valori, ciò che conta è la sua materia: i prezzi saranno evidentemente espressi da numeri diversi se si impiega la moneta d'argento invece che la moneta d'oro, perché l'oro e l'argento non hanno lo stesso valore per uno stesso peso. Quando invece la moneta funge da mezzo di circolazione, è la sua quantità che conta: essa dev'essere sufficiente per far fronte, data la velocità del corso del denaro, alle necessità delle transazioni commerciali. Là dove il denaro funziona in qualche modo "idealmente", come semplice moneta di conto, la sua natura materiale è essenziale; là dove invece essa appare "fisicamente", può essere sostituita da semplici "segni" senza valore, dei quali solo la quantità importa. Queste semplici osservazioni bastano a mostrare l'importanza di uno studio delle diverse funzioni del denaro che, pur distinguendo, ne metta in luce la unità.

 

 

3.   LA MONETA NEL SENSO FORTE

 

Nel Capitale questo capitolo è intitolato: La moneta. Il segno del valore (nell'edizione francese: La moneta o il denaro). Si tratta di considerare la terza funzione del denaro che, mentre corona le due prime, le contiene in potenza. Questo capitolo è d'altronde importantissimo sia per la comprensione dei meccanismi monetari più complessi, in particolare quelli della moneta di credito, sia perché considera anche i rapporti fra la circolazione delle merci e del denaro all'interno di un dato paese e la loro circolazione su scala internazionale.

 

 

a.   La tesaurizzazione

 

La tesaurizzazione si presenta come una interruzione temporanea del processo di circolazione delle merci. Abbiamo visto che questo ha un carattere circolare: M - D - M , almeno per quel che concerne la circolazione delle merci. Per il denaro, invece, il processo di circolazione si traduce nella tendenza a fuggire dalle mani del compratore verso quelle del venditore, che del resto diventa a sua volta compratore, e così via. Il tesaurizzatore da parte sua non comprerà dopo di aver venduto, ma conserverà la quantità di denaro che ha ricevuto dalla vendita facendole abbandonare la sfera della circolazione: M - D ... "Così il denaro si pietrifica in tesoro e il venditore di merci diventa tesaurizzatore" (Il Capitale, I, 1, pag.145, Ed. Rinascita).

Ma c'è tesoro e tesoro. Ciò che il tesaurizzatore moderno accumula non è dell'oro o dell'argento in quanto metalli preziosi che il talento degli artisti potrà trasformare in gioielli, vasellame o ornamenti diversi. Il suo tesoro sarà un tesoro monetario, egli accumulerà del denaro in quanto tale, costituirà delle riserve di equivalente generale delle merci. La tesaurizzazione appare dunque come il complemento delle due prime funzioni del denaro, perché le suppone tutte due. Il tesaurizzatore mette in riserva questa merce particolare che è la misura del valore di tutte le altre, ma anche lo strumento della circolazione delle merci. Sotto forma di ricchezza astratta, momentaneamente sottratta alla sfera attiva della produzione e della circolazione, egli accumula i mezzi per partecipare domani all'attività che regna in questa sfera.

Se la tesaurizzazione appare a tutta prima come dovuta alla volontà individuale di un singolo che persegue suoi fini personali, essa è anche una necessità economica generale, che si realizza per questa via traversa: la terza funzione del denaro gioca il ruolo di regolatore delle altre due. Studiando la moneta come mezzo di circolazione, abbiamo visto che le contrazioni ed espansioni periodiche degli scambi implicavano un rimpicciolimento ed una espansione simultanei della massa monetaria circolante. Poiché la massa monetaria esistente rimane per un periodo dato relativamente fissa, occorre che una parte abbandoni la sfera della circolazione per rientrarvi quando se ne farà sentire il bisogno: la tesaurizzazione funge da valvola di sfogo che permette di regolare il flusso della moneta circolante: "Affinché la massa di denaro che è realmente in corso corrisponda sempre al grado di saturazione della sfera della circolazione, la quantità di oro o di argento presente in un paese dev'essere maggiore di quella impegnata nella funzione di moneta. A questa condizione adempie la forma di tesoro del denaro. Le riserve dei tesori servono assieme come canali di deflusso e di afflusso del denaro circolante, il quale quindi non fa mai straboccare i suoi canali circolatori". (Il Capitale, I , 1, pag.149, Ed. Rinascita).

Se da un lato la tesaurizzazione si presenta come un'interruzione del processo di circolazione, essa rappresenta altrettanto la possibilità di riprendere in avvenire questo processo momentaneamente interrotto. Si può osservare, anticipando largamente su quanto seguirà, che qui risiede anche "la possibilità, ma solo la possibilità, di crisi", perché la crisi si manifesta, fra l'altro, con la rarefazione del denaro-mezzo di circolazione.

Le tre funzioni del denaro sono quindi strettamente legate le une alle altre. Il denaro non sarebbe uno strumento di circolazione se non fosse anche la misura dei valori; ma la circolazione è così fatta, che suppone alternativamente la tesaurizzazione e il suo contrario, la spesa di denaro precedentemente accumulato: infine la tesaurizzazione ha per oggetto l'equivalente generale, cioè la moneta nel senso forte, insieme misura dei valori e mezzo di circolazione delle merci. Di più, questa accumulazione di denaro momentaneamente sottratto alla sfera della circolazione da cui è nato servirà di base, quando saranno maturate le condizioni economiche generali, al risparmio e quindi anche al credito capitalistico, che a sua volta modificherà profondamente i caratteri formali della moneta.


b.   Il denaro mezzo di pagamento e il denaro universale

 

Nel suo ruolo di mezzo di circolazione, la moneta d'oro può essere sostituita da semplici segni. La pratica del credito commerciale caccerà a loro volta questi segni dalla sfera della circolazione per sostituirli con titoli di credito, cioè con promesse di pagamento. Se un commerciante acconsente a cedere la sua merce a un altro contro la promessa scritta di pagarla a termine, la merce avrà cambiato di mano senza che l'oro né alcuno dei suoi rappresentanti abbia giocato il minimo ruolo, se non nella valutazione del prezzo della merce, funzione "ideale" che, come abbiamo visto, non esige la presenza "materiale" del denaro. La promessa di pagamento a termine, debitamente consegnata su una cambiale, può quindi bastare a mettere in circolazione le merci. L'equazione del primo atto della circolazione della merce non è più M - D, ma piuttosto M - cambiale (... D), il denaro riapparirà nella sfera di circolazione solo al termine fissato; la circolazione della merce si sarà compiuta senza il suo intervento e esso non avrà più altra funzione che di saldare una transazione già realizzata: da mezzo di circolazione, il denaro diventa mezzo di pagamento. "Il denaro, ossia lo sviluppo autonomo del valore di scambio, non è più la forma mediatrice della circolazione delle merci, ne è bensì il risultato conclusivo... Esso entra in circolazione come unico equivalente adeguato della merce, come esistenza assoluta del valore di scambio, come ultima parola del processo di scambio, in breve come denaro e cioè come denaro nella funzione determinata di mezzo di pagamento generale. In questa funzione come mezzo di pagamento il denaro appare come merce assoluta ma entro la circolazione stessa, non come tesoro al di fuori di questa". (Per la Critica dell'Economia Politica, cit., pag.124-125).

Notiamo che una delle manifestazioni della crisi è appunto il crollo del credito, e che allora il denaro di cui si faceva tranquillamente a meno fino a quel momento come mezzo di circolazione in senso stretto, è di nuovo reclamato a gran voce per assolvere questa funzione. Comunque, se l'oro è stato cacciato dalla sfera della circolazione dalla carta-moneta, lo stesso processo si delinea anche per quest'ultima; ma il denaro non può essere completamente eliminato dalla circolazione delle merci e riappare periodicamente sotto forma di mezzo di pagamento cioè in quanto denaro in senso forte.

L'oro progressivamente cacciato dalla sfera della circolazione interna, regna invece da padrone assoluto negli scambi internazionali. "Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto". (Il Capitale, I, 1, pag.157 - 158). Ma, anche qui, la funzione di mezzo di circolazione del denaro si attenua, mentre predomina il denaro come mezzo di pagamento, che salda le bilance commerciali, internazionali a termini fissati. D'altronde, ogni Stato deve costituirsi un tesoro per far fronte sia alle vicissitudini commerciali, sia alle necessità di guerra. Val la pena di notare, a questo proposito con Marx, che "i paesi a produzione borghese sviluppata limitano al minimo richiesto dalle loro specifiche funzioni i tesori concentrati in massa nei serbatoi delle banche. Con qualche eccezione, il fatto che i serbatoi di tesori siano colmi in modo notevole al di sopra del loro livello medio, indica un ristagno della circolazione delle merci o una interruzione nel flusso della metamorfosi delle merci".(Il Capitale, ed. cit., I ,1, pag.161).

 

Riassunti così brevemente i risultati principali dell'analisi marxista del ruolo del denaro nella circolazione semplice delle merci, potremo passare allo studio delle metamorfosi subite dal denaro, dalla moneta, nell'economia capitalistica pienamente sviluppata: sarà questo l'oggetto del capitolo seguente.

 


LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE DEL CAPITALE

 

 

1.   La trasformazione del denaro in capitale

 

Come abbiamo visto, Marx conduce la sua analisi fondamentale sulla natura e sulle funzioni del denaro sulla base di una economia mercantile in cui il capitalista e l'operaio salariato non hanno ancora fatto la loro comparsa. Appena questi due personaggi entrano in scena, il denaro subisce una profonda metamorfosi, che esprime la rivoluzione avvenuta nei rapporti fra le classi. Da innocente mezzo di circolazione delle merci, il denaro si trasforma in capitale-denaro e, benché questo prenda a prestito dal "tesoro" la sua forma esteriore, ne differisce profondamente per la sostanza. Finora, le merci recitavano la parte principale e il denaro appariva come l'ausiliario del loro movimento; appena il modo di produzione capitalista si è impadronito della produzione, la moneta, il denaro, figura invece come prima donna mentre le merci si accontentano di servire a loro volta di strumenti della circolazione del denaro. Le parti sono così capovolte, ma è vero che nel frattempo lo stesso denaro ha cambiato natura per diventare capitale.

Nella circolazione semplice delle merci, anche se il rapporto di produzione monetario impone una via traversa, e così oscura un rapporto fra i produttori che per il fatto stesso dello scambio appare formalmente come rapporto tra i loro prodotti (le merci), il fine stesso del movimento dei prodotti rimane evidente. Vendere per comperare, vendere i prodotti il cui valore d'uso eccede i bisogni del produttore per permettergli di acquistare valori d'uso corrispondenti a bisogni che egli non può soddisfare direttamente con il risultato della sua attività produttiva; in tutto questo non v'è alcun mistero. Ben diversamente stanno le cose nella produzione capitalistica: il capitalista compera per vendere invece di vendere per comperare (cosa che si applica già a quel precursore del capitalista moderno che è il semplice mercante). Se la circolazione delle merci può essere schematizzata con M - D - M, la circolazione del denaro trasformato in capitale si presenta invece come D - M - D.

Da un punto di vista formale, il denaro appare nell'uno e nell'altro degli schemi di circolazione; ma il loro modo rispettivo di circolazione non è lo stesso: "Denaro come denaro e denaro come capitale si distinguono in un primo momento soltanto attraverso la loro differente forma di circolazione" (Il Capitale, I, 2, cap. IV. pag.163). Il denaro che funziona come mezzo di circolazione delle merci si mantiene costantemente nella sfera della circolazione, mentre le merci ne escono continuamente per essere consumate: il denaro è qui un semplice intermediario della circolazione delle merci e perciò cambia continuamente di mano. Il denaro che funziona come capitale circola invece in un altro modo. All'origine, esso si presenta come un "tesoro" accumulato che viene gettato in blocco nella circolazione per acquistare delle merci (vedremo poi quali; per ora, si può considerare che si tratti solo di capitale commerciale), ma lo scopo dell'operazione non è di ottenere dei valori d'uso da consumare: le merci acquistate saranno al contrario gettate di nuovo nella circolazione e quindi scambiate contro denaro. Il denaro si presenta come il punto di partenza e il punto di arrivo del ciclo, come lo scopo stesso della circolazione, e quindi riaffluisce costantemente verso il personaggio che ha dato l'avvio al ciclo con un certo anticipo di capitale denaro. Invece di mantenersi esclusivamente nella sfera della circolazione, come il denaro in quanto mezzo di circolazione delle merci, e quindi sfuggire sempre al suo detentore provvisorio, il capitale-denaro è destinato a riaffluire verso il suo detentore, che se ne è disfatto temporaneamente solo perché scontava questo riafflusso. "Il fenomeno del riafflusso come tale ha luogo appena la merce comperata è rivenduta, e così il ciclo D - M - D è descritto completamente. E questa è una distinzione tangibile fra la circolazione del denaro come capitale e la circolazione del denaro come puro e semplice denaro" (Il Capitale, I, ibid., pag.165).

Apparentemente, la circolazione del capitale-denaro presenta un carattere di assurdità. Se il ciclo M - D - M  ha per termini estremi dei valori di scambio equivalenti, l'operazione ha un senso nella misura in cui questi valori di scambio equivalenti sono incarnati in merci di diversi valori d'uso. Merci di valore di scambio equivalente possono circolare (scambiarsi) solo in quanto hanno diversi valori d'uso. Se alle due estremità del ciclo del capitale-denaro si ritrova il denaro, per giustificare questo movimento non si possono invocare valori d'uso diversi, perché il denaro ritirato alla fine è evidentemente identico, da questo punto di vista, a quello anticipato all'inizio. Il ciclo ha quindi un senso solo se il valore di scambio ottenuto alla fine del ciclo è superiore al valore anticipato: la circolazione del capitale-denaro si presenta perciò, fin dall'inizio, come una "violazione" della legge del valore, dello scambio fra equivalenti, perché il valore di scambio ottenuto alla fine deve superare il valore di scambio messo in gioco all'inizio: "Il ciclo M - D - M  comincia da un estremo, che è una merce, e conclude con un estremo, che è un'altra merce, la quale esce dalla circolazione per finire nel consumo. Quindi il suo scopo finale è il consumo, soddisfazione di bisogni, in una parola, valore d'uso. Il ciclo D - M - D  comincia invece dall'estremo denaro e conclude ritornando allo stesso estremo. Il suo motivo propulsore e il suo scopo determinante è quindi il valore stesso di scambio" (Il Capitale, I, ibid., pagg.165 - 166).

Il ciclo del capitale-denaro non è quindi D - M - D  ma piuttosto D - M - D', in cui  D' = D + DD, cioè una somma superiore al denaro inizialmente anticipato D. La differenza fondamentale tra la circolazione delle merci e la circolazione del capitale-denaro si riconduce perciò al fatto che la prima ha il suo motore nell'appropriazione di valori d'uso, il che le dà un carattere relativamente "rigido", come dice Marx (infatti i bisogni non sono estensibili a volontà, per uno stadio dato della produzione sociale), mentre la seconda è per essenza illimitata. Poiché lo scopo della circolazione del capitale-denaro è il suo proprio accrescimento, essa non conosce né limite né fine, e ciò che definisce il capitale-denaro (e il capitale in generale) non è il suo volume e neppure l'accrescimento derivante dal compiersi del suo ciclo, ma la ripetizione necessaria [9] e quindi l'estensione illimitata di questo accrescimento: il capitale è definito dal suo proprio moto, ed è un moto "perpetuo"; può accelerarsi o rallentarsi, ma deve sempre proseguire, pena la morte del capitale stesso:

"Nella circolazione, il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma altera anche originariamente la propria grandezza di valore, mette su un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale" (Il Capitale, I, ibid., pag. 167).

"La circolazione semplice delle merci - la vendita per la compera - serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, per l'appropriazione di valori d'uso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura" (Il Capitale, I, ibid., pag. 168).

Non è necessario qui sviluppare la teoria del plusvalore; accontentiamoci di ricordare qual è la merce speciale il cui acquisto permette al capitalista di trarre dalla circolazione del suo capitale "un di più", un plusvalore. Consideriamo oramai il capitalista industriale, non più soltanto il capitalista commerciale. Entrambi acquistano per vendere; ma il primo non rivende semplicemente le merci acquistate, fa loro subire una trasformazione attraverso un processo di produzione. Il capitale-denaro, egli lo trasforma anzitutto in mezzi di produzione (edifici, attrezzature produttive, utensili, macchine, ecc.) e in oggetti di produzione (materie prime) che acquista al loro valore sul mercato; questa frazione del suo capitale prende il nome di capitale costante. Ma, per animare questo "capitale morto", egli deve anche acquistare sul mercato il lavoro umano che, applicato ai mezzi di produzione, trasformerà gli oggetti di produzione in prodotti. Il capitalista compera contro salario la forza-lavoro di un certo numero di operai per un periodo di tempo determinato e si chiamerà capitale variabile la frazione di capitale anticipata che giuocherà questo ruolo. Anche qui, la merce sarà pagata, in media, al suo valore, che può essere soltanto l'equivalente in valore dei prodotti necessari a conservare la forza-lavoro dell'operaio; cioè, a mantenerlo in grado di produrre normalmente e di assicurare la propria discendenza.

Compiuto il processo di produzione, il capitalista avrà trasformato in merci il suo anticipo di capitale-denaro; ma il valore di queste merci supererà quello dell'anticipo iniziale. In realtà, la forza-lavoro è una merce particolare il cui uso fornisce appunto del lavoro umano. Ora, se durante il processo di produzione essa trasmette alle nuove merci prodotte il valore anteriormente contenuto nell'anticipo di capitale costante, vi aggiunge però, in più, un valore supplementare che supera l'anticipo di capitale variabile effettuato dal capitalista: se la forza-lavoro di un operaio può essere utilizzata dieci ore al giorno, l'insieme dei prodotti il cui valore equivale al salario giornaliero rappresenterà, per esempio, soltanto cinque ore di lavoro medio. La differenza, o plusvalore, sarà intascata dal capitalista, che non avrà perciò meno rispettato, diversamente da quello che a tutta prima parrebbe, la legge dello scambio fra equivalenti, nei confronti sia del salariato che del compratore delle sue merci. Troviamo qui definito nel modo più breve possibile il rapporto fondamentale, specifico del modo di produzione capitalista, quello che permette di distinguerlo dai modi di produzione anteriori (benché essi abbiano in comune certe categorie economiche) e, a maggior ragione, dal modo di produzione socialista  [10] .

La merce, la moneta, il denaro sono esistiti prima del capitalismo, anche se quest'ultimo ne ha immensamente esteso la sfera di azione, ma il denaro non ha per se stesso la virtù di funzionare come capitale. Perché subisca questa metamorfosi, deve essere soddisfatta una doppia condizione: è necessario che a un polo della società si sia verificata una accumulazione di denaro e che all'altro si sia realizzata una massiccia espropriazione dei produttori indipendenti - espropriazione che sola permetterà di trasformare la forza-lavoro in merce e perciò il denaro in capitale, cioè gli permetterà di comprare della forza-lavoro.

Il modo di produzione capitalista è definito dall'esistenza generalizzata del salariato, la cui nascita suppone a sua volta un'economia mercantile sviluppata. Denaro e capitale-denaro non sono la stessa cosa; la trasformazione del denaro in capitale-denaro esprime, in una sfera particolare, l'introduzione di un rapporto di produzione determinato. Il denaro può ormai comperare la forza-lavoro come un'altra merce; il salariato è nato e il capitale con esso.

Lo scambio dei prodotti deve già possedere la forma della circolazione delle merci perché la moneta possa entrare in scena: "Le forme particolari del denaro... indicano di volta in volta, a seconda dell'estensione e della relativa preponderanza dell'una o dell'altra funzione, gradi diversissimi del processo sociale di produzione. Eppure, a norma dell'esperienza, una circolazione delle merci relativamente poco sviluppata è sufficiente per la produzione di tutte quelle forme. Ma, per il capitale, la cosa è differente. Le sue condizioni storiche d'esistenza non sono affatto date di per se stesse con la circolazione delle merci e del denaro. Esso nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro, e questa sola condizione storica comprende tutta una storia universale. Quindi il capitale annuncia fin da principio un'epoca del processo sociale di produzione. Quello che dà il carattere all'epoca capitalistica è il fatto che la forza-lavoro assume anche per lo stesso lavoratore la forma di una merce che gli appartiene, mentre il suo lavoro assume la forma di lavoro salariato. D'altra parte, la forma di merci dei prodotti del lavoro acquista validità generale solo da questo momento in poi" (Il Capitale, I, 2, pag. 187 e nota).

 


2.   LA CIRCOLAZIONE DEL CAPITALE, O LE METAMORFOSI DEL CAPITALE

 

Compiendo il suo ciclo infinitamente ripetuto, e di cui sappiamo già che trova la sua forza motrice nella ricerca di un plusvalore e non nella produzione di merci, che è soltanto un mezzo necessario per giungere allo scopo, il capitale subisce una serie di metamorfosi cicliche, cioè si presenta alternativamente sotto forme diverse [11] .

Se si suppongono date le condizioni economiche e sociali della produzione capitalistica, il punto di partenza sarà sempre una certa quantità di capitale-denaro pronto a essere gettato nella circolazione. Questo capitale-denaro dovrà a sua volta convertirsi in capitale-merce, cioè scambiarsi contro gli elementi materiali della produzione: impianti, macchine, materie prime, ecc., cioè capitale costante, e mezzi di sussistenza per gli operai, cioè capitale variabile (salari). L'atto caratteristico di questa prima fase circolatoria del capitale-denaro è evidentemente la sua trasformazione in capitale variabile, cioè l'acquisto di forza lavoro che si risolverà certo in definitiva, in un acquisto di mezzi di sussistenza (spesa del salario degli operai) e quindi parteciperà alla circolazione delle merci offrendo però al capitalista la possibilità di impiegare produttivamente la forza-lavoro [12] . Una volta che il capitale-denaro si è così risolto in merci (mezzi di produzione, materie prime, forza-lavoro), il processo di circolazione si interrompe per dar luogo al processo di produzione. Il capitale prende allora la forma di capitale produttivo, la cui attività avrà per risultato l'apparizione di una nuova merce, distinta da quelle che componevano il capitale-merce iniziale sia per valore d'uso che per valore di scambio: la cosa è evidente per il valore d'uso, e sappiamo già che la forza-lavoro impiegata produttivamente genera un nuovo valore, pur trasmettendo al nuovo prodotto la somma del capitale costante e del capitale variabile anticipati. Da capitale produttivo, il capitale si è così ritrasformato in capitale-merce, che deve entrare in una nuova fase di circolazione per ritrovare la sua forma primitiva di capitale-denaro. Il ciclo del capitale, in origine rappresentato da

D - M - D'       (D' > D),

può essere rappresentato in modo più completo mettendo in evidenza le diverse forme del capitale, e soprattutto il fatto che il plusvalore proviene unicamente dall'uso del capitale variabile e non dalla totalità del capitale anticipato come si immagina il capitalista e come lo "teorizza" l'economia politica volgare; cosa che faremo nel resoconto completo quando apparirà sulla rivista teorica internazionale Programme Communiste. Qui ci interessa più particolarmente il ciclo del capitale-denaro.

Ora, lo studio del ciclo e delle metamorfosi del capitale mostra che questo deve necessariamente assumere periodicamente la forma di capitale-denaro: esso è il punto di partenza del ciclo e il suo punto d'arrivo: "Il denaro è la forma in cui ogni capitale individuale (prescindendo dal credito) deve presentarsi per trasformarsi in capitale produttivo; ciò deriva dalla natura della produzione capitalistica, e in generale dalla produzione di merci" (Il Capitale, Libro II, Sez. III, cap. 18, cit., pag. 375).

Se il capitale è molto di più che denaro, ciò non toglie che debba prendere la forma del denaro, e quindi piegarsi anch'esso, sotto questa forma, alle leggi della circolazione monetaria definite più sopra. Le funzioni della moneta, e poco importa per il momento di che moneta si tratti [13] , sono perciò conservate nella circolazione del capitale, benché messe al servizio delle leggi più generali che reggono la circolazione del capitale in quanto tale. Ma la forma moneta che il capitale deve necessariamente assumere reagisce sul suo ciclo, perché gli impone un limite relativo. Indubbiamente, non esiste una legge di proporzionalità assoluta fra la massa del capitale-denaro anticipato e la massa dei valori d'uso ottenuti alla fine del processo di produzione. Il rapporto fra queste due grandezze è in realtà determinato dalla produttività del capitale, che dipende a sua volta dalle condizioni tecniche della produzione, cosicché una stessa massa di capitale-denaro si risolverà in c e v in proporzioni variabili secondo le epoche, e si concluderà nella produzione di quantità variabili di un dato valore d'uso. La potenza produttiva del capitale non è quindi determinata unicamente dalla sua grandezza, così come non lo è, del resto, la massa di plusvalore prodotta, che dipende evidentemente dalla proporzione fra capitale costante e capitale variabile e dal grado di sfruttamento della forza-lavoro (l'una storicamente legata all'altra). Fatte queste riserve, resta il fatto che, ad uno stadio dato della produzione sociale, la massa di capitale-denaro disponibile costituisce un limite del capitale produttivo in grado di entrare in funzione. Perciò lo studio della moneta capitalistica sbocca in realtà nello studio dei mezzi di cui il capitale si serve per emanciparsi da questo limite relativo - mezzi che, come vedremo, sono anch'essi e necessariamente di natura monetaria, cosicché la contraddizione resta, ma portata ad un grado superiore.

Conformemente alla sua natura, il capitale deve circolare indefinitamente. Il risultato di un ciclo compiuto si presenta quindi come l'avvio di un nuovo ciclo, lo scopo della produzione capitalistica essendo non semplicemente la produzione di plusvalore, ma la produzione ininterrotta di capitale. Il capitale esiste nella misura in cui si accresce, in cui si accumula. Sebbene, per il capitalista isolato, il consumo di una frazione del plusvalore possa apparire come lo scopo del movimento impresso al capitale, alla scala sociale non può trattarsi che di un fenomeno contingente, relativamente secondario; e la crescente spersonalizzazione del capitale (società per azioni, trust nazionalizzati, ecc.) traduce nel modo più evidente questo fenomeno. Occorre quindi non solo che il capitale iniziale, una volta realizzato sotto forma di capitale-denaro mediante la vendita dei prodotti, inizi un nuovo ciclo, ma che lo stesso plusvalore si trasformi in un nuovo capitale, si investa: così si effettua la riproduzione allargata del capitale. Il plusvalore si risolve a sua volta in capitale costante e capitale variabile, e compie un movimento di valorizzazione parallelo a quello del capitale iniziale (tralasciamo qui la rappresentazione simbolica di questo movimento, rinviandola al resoconto esteso in Programme Communiste).

Il completamento della riproduzione allargata, cioè la trasformazione del plusvalore in capitale, il suo investimento, suppone che siano riunite un certo numero di condizioni. Il plusvalore deve passare dalla forma capitale-denaro alla forma capitale produttivo: ciò impone anzitutto una certa proporzione fra il capitale costante e il capitale variabile in cui esso si risolve; impone in secondo luogo una grandezza determinata alla massa totale (c + v) di plusvalore da investire. L'allargamento della produzione esige per esempio l'acquisto di nuove macchine; quando siano date le loro caratteristiche tecniche, sono pure date la quantità di materie prime che esse consumeranno e la grandezza della forza-lavoro che le metterà in moto. Ora ai vecchi mezzi di produzione si può aggiungere soltanto almeno una macchina intera, non la metà o il quarto per esempio. Ad uno stadio dato della produttività nel ramo di produzione considerato, il capitale minimo supplementare che può essere investito si trova quindi perfettamente determinato. Se l'ammontare del plusvalore ottenuto alla fine di un ciclo è inferiore a questo capitale minimo, bisognerà attendere che il completamento di nuovi cicli abbia aumentato a sufficienza il plusvalore per consentirgli a sua volta di funzionare effettivamente come capitale produttivo; nell'intervallo, esso non è che capitale produttivo potenziale. Lo stesso problema si porrebbe, del resto, se il plusvalore superasse il capitale minimo da investire; un reinvestimento immediato di tutto il plusvalore può aver luogo soltanto se il plusvalore è esattamente eguale al capitale minimo o ad uno dei suoi multipli interi; in tutti gli altri casi, si ha formazione di capitale potenziale.

Un fenomeno analogo si produce all'interno del ciclo di un capitale dato. Il capitalista deve anticipare integralmente gli elementi del capitale produttivo. Ma a un certo tempo di circolazione separa la produzione delle merci dalla conversione del loro valore in capitale-denaro suscettibile di ritrasformarsi in capitale produttivo. Un nuovo anticipo deve quindi essere fatto, se non si vuole che la produzione si interrompa fino al riflusso, sotto forma di capitale-denaro, del capitale inizialmente anticipato. Considerazioni analoghe a quelle fatte per il plusvalore mostrano che, a meno che il tempo di circolazione sia un multiplo intero esatto del tempo di produzione (ipotesi teorica irrealizzabile, anche solo a causa delle inevitabili variazioni del tempo di circolazione che si oppongono alla rigidità relativa del tempo di produzione), si produce un accavallarsi dei capitali anticipati, e dei capitali realizzati mediante la vendita dei prodotti, che "libera" per qualche tempo certe frazioni del capitale, cioè impedisce loro di convertirsi immediatamente in capitale produttivo.

L'uno e l'altro fenomeno impongono perciò al capitalista considerato isolatamente di conservare sempre una frazione del suo capitale sotto forma di capitale-denaro, oltre al capitale-denaro necessario per far fronte agli acquisti periodici di capitale costante e di forza-lavoro, e ad un certo fondo di riserva. Si vede così sorgere la necessità di una tesaurizzazione capitalistica. "Poiché le proporzioni in cui si può allargare il processo di produzione sono prescritte non arbitrariamente ma tecnicamente, il plusvalore realizzato, sebbene destinato alla capitalizzazione, spesso può crescere solo mediante la ripetizione di differenti cicli fino al volume... in cui può realmente operare come capitale addizionale... Il plusvalore si fissa dunque in tesoro e in questa forma costituisce capitale monetario latente... Così la tesaurizzazione appare qui come un momento che è compreso entro il processo capitalistico di accumulazione, lo accompagna, ma contemporaneamente è da esso sostanzialmente differente. Infatti, mediante la formazione di capitale monetario latente, il processo di riproduzione in sé non viene allargato. Al contrario. Qui si forma capitale monetario latente perché il produttore capitalistico non può allargare immediatamente la scala della sua produzione" (Il Capitale, Libro II, Sez. I, cap. 2, cit., pagg. 79 - 80). Nata dalle condizioni stesse del ciclo capitalistico, questa tesaurizzazione si presenta come un fenomeno contraddittorio nella misura in cui impedisce temporaneamente ad una frazione del capitale di funzionare effettivamente come capitale. Essa si oppone quindi al movimento fondamentale del capitale, contraddice alla sua natura, e gioca in questo senso un ruolo parassitario. Il modo di produzione capitalistico tuttavia risolve questa contraddizione alla scala sociale; tende irresistibilmente a unificare i capitali isolati. La tesaurizzazione capitalistica fornisce così la base del sistema bancario e del credito, che possono essere considerati come le soluzioni capitalistiche alle contraddizioni non del capitale in generale, ma del capitale sotto forma di denaro.


 

IL CREDITO

 

 

1.   IL CAPITALE FINANZIARIO

 

L'importanza del credito nell'economia capitalistica non può sfuggire a nessuno, oggi, più che non potesse sfuggire a Marx, contrariamente a quanto hanno affermato numerosi commentatori storditi ai quali il metodo di esposizione seguito da Marx... sfuggiva quasi completamente [14] .  Engels per il quale ogni prefazione al Capitale era una ottima occasione per ribattere i chiodi nella testa degli economisti volgari refrattari alla dialettica nota che le loro critiche "sono frutto dell'equivoco di aver supposto che Marx volesse definire là dove invece si limitava ad analizzare, e che in Marx si debbano in genere cercare definizioni belle e pronte, valide per ogni caso. Va da sé che là dove le cose e le loro reciproche relazioni sono concepite non fisse, ma mutevoli, anche i loro riflessi mentali, i concetti, sono egualmente soggetti a mutamento e trasformazione: e che lungi dall'incapsularli in rigide definizioni bisogna svilupparli nel loro processo di formazione sia logico che storico. Apparirà quindi chiaro perché Marx al principio del I Libro - là dove parte dalla produzione semplice delle merci come premessa storica del capitale, per giungere da questa base al capitale - prende le mosse appunto dalla merce semplice e non da una forma concettualmente e storicamente secondaria, cioè dalla merce già modificata in termini capitalistici"  [15] .

Evidentemente è per ragioni identiche che Marx conduce l'analisi delle funzioni della moneta a partire dalla moneta più semplice, come abbiamo visto, e solo in seguito arriva alla sua "forma secondaria", cioè la moneta di credito; ciò che è stato detto della moneta semplice costituirà la base dell'analisi della sua forma sviluppata, la moneta capitalistica, e solo la comprensione delle forme più semplici permetterà di cogliere le funzioni delle forme elaborate. Marx, del resto, ha sufficientemente spiegato egli stesso che tale era appunto il suo metodo: "Sono state contrapposte l'una all'altra economia naturale, economia monetaria ed economia creditizia come le tre caratteristiche forme economiche di movimento della produzione sociale... Queste tre forme non rappresentano fasi di sviluppo equivalenti. La cosiddetta economia creditizia non è altro che una forma dell'economia monetaria, in quanto ambedue le definizioni esprimono funzioni e modi di traffico tra i produttori stessi. Nella produzione capitalistica sviluppata, l'economia monetaria appare ormai soltanto come fondamento dell'economia creditizia. Economia monetaria ed economia creditizia corrispondono così soltanto a   differenti gradi di sviluppo della produzione capitalistica" (Il Capitale, Libro II, I Sez., cap. IV, Ed. Riuniti, pag. 118). L'economia creditizia non è quindi che l'economia monetaria sviluppata, e toccava al capitalismo, che generalizza la produzione di merci, sebbene su altre basi che l'economia mercantile, di condurre la moneta ai suoi ultimi sviluppi pur restando inchiodato nei limiti dell'economia monetaria, che può perfezionare fin che vuole ma non infrangere.

Lo studio del ciclo del capitale ha fatto apparire quest'ultimo sotto diverse forme. Ora, le forme che esso prende alternativamente finiscono per incarnarsi in rami economici distinti, venendosi a creare una divisione del lavoro all'interno della classe capitalistica che si ripartisce in industriali, commercianti e banchieri. Se il commerciante si occupa dell'acquisto e della vendita delle merci, sostituendosi all'industriale per tutto il tempo di circolazione delle merci prodotte dal capitale industriale, il banchiere da parte sua si dedica alle operazioni che interessano il capitale-denaro in senso stretto. Qui dobbiamo fare astrazione in una certa misura dal capitale commerciale e dal capitale produttivo per occuparci soprattutto del capitale-denaro.

Come nota Marx, "se dietro ai produttori di merce in generale sta un capitalista monetario il quale anticipa al capitalista industriale capitale monetario (nel senso più stretto della parola, cioè valore-capitale in forma di denaro) il vero e proprio punto di riflusso di questo denaro è la tasca del capitalista monetario. In questo modo, sebbene il denaro circoli più o meno per tutte le mani, la massa del denaro circolante appartiene alla sezione del capitale monetario organizzata e concentrata in forma di banche, ecc.: la maniera con cui questa anticipa il suo capitale determina il costante riflusso finale verso di essa in forma di denaro, sebbene questo si attui a sua volta mediante la ritrasformazione del capitale industriale in capitale monetario" (Il Capitale, Libro II, Sezione III, cap. XX, Editori Riuniti, pag. 432).

Il capitale finanziario così anticipato al capitalista industriale esige evidentemente una partecipazione al plusvalore tratto dallo sfruttamento della forza-lavoro nel corso del processo di produzione che esso ha contribuito a mettere in moto: questa partecipazione è l'interesse. L'insieme del plusvalore si ripartisce dunque, alla fine, tra i capitali industriale, commerciale e finanziario (per semplificare non ci occuperemo qui né del saggio del profitto commerciale o industriale, né del tasso d'interesse). La funzione del capitale finanziario è perciò di assicurare il finanziamento della produzione capitalistica; esso è costituito di capitale-denaro, di cui - come abbiamo visto - il capitale tout court non può fare a meno, ma di capitale-denaro che si è concentrato e organizzato in modo relativamente autonomo nei confronti del capitale produttivo o del capitale-merce. La Banca si leva di fronte all'Industria e se l'una non può esistere senza l'altra, se la produzione di plusvalore che condiziona l'esistenza stessa dell'interesse capitalistico si effettua nella sfera della produzione, la banca non si accontenta affatto di gestire il capitale-denaro della società capitalista; sviluppandosi le sue funzioni tecniche, essa conquista il semimonopolio del capitale-denaro e finisce per dominare i settori industriale e commerciale dell'economia - fenomeno caratteristico della fase decadente del modo di produzione capitalista.

 

 

2.   LA MONETA DI CREDITO

 

 

Il credito commerciale

 

L'apparizione dell'usuraio precede di gran lunga quella del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo decadente, da parte sua, pratica l'usura su una scala prima sconosciuta perché tutto il credito al consumo, oggi tanto sviluppato, entra in questa categoria. Ciò nonostante, benché sia la banca a prestare ai salariati come ai capitalisti, noi ci interesseremo soltanto del vero e proprio credito capitalista, che riguarda unicamente l'anticipo di capitale-denaro.

La moneta di credito o, ciò che è lo stesso, la moneta emessa dalle banche, deriva dalla pratica del credito commerciale sebbene abbia in seguito largamente superato questa base di partenza. Nello studio delle funzioni della moneta abbiamo visto che questa poteva giocare il ruolo di mezzo di pagamento non appena una merce cambiava di mano contro la promessa scritta del compratore di pagarla a un dato termine. La tratta (per limitarci a questo esempio di effetto di commercio) può quindi sostituire la moneta nella sua funzione di mezzo di circolazione, accontentandosi il denaro di saldare una transazione già compiuta senza il suo diretto concorso. Ma la tratta può circolare a sua volta nel periodo che trascorre fino alla scadenza e quindi giocare essa stessa il ruolo di moneta sostituendo la somma di denaro contro la quale potrà effettivamente scambiarsi al termine previsto. Non è quindi una sola volta, nel momento in cui lo scambio ha imposto la sua emissione, che la tratta sostituirà una data somma di denaro; al contrario essa potrà continuare a scambiarsi contro merci per l'ammontare di denaro di cui simboleggia la promessa tante volte quanto la sua velocità di circolazione lo permette. "La moneta di credito proviene immediatamente dalla funzione del denaro come mezzo di pagamento, in quanto anche certificati di debito per le merci vendute riprendono a circolare per la trasmissione dei crediti. D'altra parte con l'estendersi del credito si estende la funzione del denaro come mezzo di pagamento. Come tale esso riceve forme proprie di esistenza, con le quali inabita nella sfera delle grandi transazioni commerciali; mentre la moneta d'oro o d'argento viene respinta soprattutto nella sfera del piccolo commercio" (Il Capitale, Libro I, Sez. I, cap.III, Edizioni Rinascita, pag. 155)  [16] .

Come abbiamo visto più sopra, una caratteristica essenziale del sistema monetario è quella che si può chiamare la smaterializzazione della moneta: il credito commerciale, adempiendo alla funzione di mezzo di circolazione invece della moneta, ha una parte determinante in questo processo. "Ognuno fa credito con una mano e riceve credito con l'altra. Prescindiamo completamente, per ora, dal credito bancario che costituisce un momento assolutamente distinto essenzialmente diverso. Nella misura in cui queste cambiali [o tratte] circolano di nuovo come mezzo di pagamento tra i commercianti stessi, passando dall'uno all'altro attraverso la girata [17], nella quale però non interviene lo sconto, non vi è altro che trasferimento del titolo di credito da A a B e nulla muta assolutamente nella sostanza. Ciò pone soltanto una persona al posto di un'altra. E perfino in questo caso la liquidazione  può avvenire senza l'intervento di denaro. Il filandiere A, per esempio, ha una cambiale da pagare al mediatore di cotone B e questi all'importatore C. Ora, se C, come si verifica abbastanza sovente, è al tempo stesso esportatore di filati, egli può allora acquistare il filato da B con  una cambiale e a sua volta il filandiere A può pagare il mediatore B con la cambiale ricevuta in pagamento da C. In questo caso al massimo si deve pagare un saldo di denaro" (Il Capitale, Libro III, Sezione V, cap. 30, Ed. Riuniti, pag.564).

Ciò non toglie che ogni capitalista debba far fronte continuamente a spese in contanti, in particolare per i salari e le imposte. Del resto non si può immaginare che tutti gli effetti di commercio circolino in modo tale che la tratta, giunta a scadenza, torni nelle mani del debitore, come nell’esempio, evidentemente eccezionale, dato da Marx. Sia che si tratti di pagare in contanti, sia che la scadenza degli effetti imponga la ricomparsa della moneta come mezzo di pagamento, è sempre necessario che il denaro, cacciato per qualche tempo dalla sfera della circolazione, o se si vuole "smaterializzato", vi faccia di nuovo la sua apparizione. È certo tuttavia che il denaro che deve ora comparire è in quantità inferiore all’ammontare che sarebbe stato necessario per far circolare le merci in assenza del credito commerciale, perché un certo numero di effetti si è annullato o compensato [18] ; ciò nondimeno esso deve riapparire. Sotto quale forma?

La moneta può, ben inteso, riapparire sotto forma d’oro o di segno d’oro: ci troviamo sempre allora di fronte alla moneta come è stata studiata nella prima parte, la "smaterializzazione" non ha ancora raggiunto il termine del suo processo e il mezzo di pagamento resta l’oro o i suoi rappresentanti. Ma se ci collochiamo nel quadro del sistema creditizio sviluppato l’oro sarà sostituito dal biglietto di banca.

 


Il biglietto di banca

 

Che cos’è un biglietto di banca, una banconota? È la forma più semplice che il credito bancario assume, ma siccome questo si appoggia sul credito commerciale sviluppato, si può dire che il biglietto di banca rappresenta già, in qualche modo, un credito alla seconda potenza. "Le banconote non si fondano sulla circolazione monetaria sia essa moneta metallica o moneta cartacea statale, ma sulla circolazione delle cambiali... Il biglietto di banca non è altro che una cambiale sul banchiere, pagabile in qualsiasi tempo al portatore e che il banchiere sostituisce alle cambiali private. Questa ultima forma del credito appare al profano particolarmente evidente e importante innanzitutto perché questo tipo di moneta di credito esce dalla pura e semplice circolazione commerciale per entrare nella circolazione generale nella quale ha la funzione di denaro: anche perché nella maggior parte dei paesi le banche principali aventi diritto di emissione ... hanno di fatto dietro di loro il credito nazionale e i loro biglietti costituiscono dei mezzi di pagamento più o meno legali" (Il Capitale, Libro III, Sez.V, cap. 25, Ed. Riuniti, pagg. 474 e 478).

Il banchiere accetta quindi di ricevere i crediti commerciali che non sono giunti a scadenza e di rimettere immediatamente al loro detentore una somma equivalente in banconote, non senza percepire nel passaggio l’interesse del denaro che in questo modo presta: pratica lo sconto delle tratte [19].

L’attività bancaria così come la stiamo ora esaminando, si presenta come un’espressione generale ed organizzata del credito commerciale, che essa centralizza e controlla: l’effetto di commercio, contratto privato, si muta in biglietto di banca, il quale impegna il sistema bancario nel suo insieme nei confronti dell’insieme della società, poiché la banconota, diversamente dalla cambiale, penetra in tutti i canali della circolazione monetaria. La banca riceve i crediti dei privati e iscrive il loro ammontare al proprio attivo, mentre emette una somma corrispondente di biglietti che iscrive al proprio passivo (prelevando nel passaggio le spese che corrispondono ai tassi di sconto).

La banconota costituisce effettivamente una moneta? David Ricardo, maestro dell’economia politica classica e rappresentante, nel campo monetario, della Currency School (Scuola della circolazione), dava una risposta negativa a tale domanda. Sotto l’influenza delle sue teorie, la Banca d’Inghilterra adottò un’organizzazione molto rigida: l’Atto di Peel del 1844 stabiliva il suo monopolio di emissione e le imponeva soprattutto di rispettare una copertura-oro al 100 per cento dei biglietti emessi. È inutile riprendere qui i termini della polemica che oppose questa scuola alla "Scuola Bancaria" (Banking School, rappresentata da Tooke e Fullarton) e l’esposizione critica che ne fece Marx [20]: la sommaria esposizione dei fatti basterà a risolvere il punto che ci occupa. Lasciamo completamente da parte, per il momento, la moneta scritturale; la Banca d’Inghilterra, nonostante i suoi bei princìpi ricardiani, dovette ricorrere frequentemente ad un superamento del limite di emissione autorizzato dall’Atto di Peel: nel 1847, 1857, 1866, 1890, 1908 e soprattutto nel 1914. Dopo la prima guerra mondiale, sebbene l’Atto rimanesse sempre formalmente in vigore, si trovò una soluzione a lungo termine: l’Atto obbligava una copertura aurea del 100% di tutte le emissioni, con l’eccezione di un’emissione iniziale, poco importante, di 18,5 milioni di sterline; ebbene, ci si accontentò di aumentare in proporzioni enormi l’ammontare di questa emissione eccezionale, cosicché oggi essa è divenuta la regola, mentre la moneta coperta dall’oro è l’eccezione.

La banconota è dunque effettivamente, come mostra Marx, una moneta in senso proprio. Basta, per convincersene, riprendere la sua analisi iniziale della forma più semplice della moneta, che permette di dare di questa una definizione storica e, soprattutto, dinamica, in quanto la moneta è definita dalle sue funzioni: mezzo di circolazione e di pagamento, strumento di tesaurizzazione. La cambiale assolveva già le due prime funzioni, la banconota potrà assolvere anche la terza [21]. Si tratta dunque di una moneta, ma che sorge su basi completamente diverse da quelle del biglietto segno d’oro. Quest’ultimo sostituiva semplicemente l’oro nella circolazione attiva, mentre la banconota appare là dove questo tipo di moneta è stato cacciato dalla circolazione dal credito commerciale. Nella misura in cui la tratta si sostituisce al denaro, che elimina dalla sfera della circolazione, essa forma la base di una nuova moneta che sancisce, in certo modo, questa eliminazione. Così, l’ammontare dei biglietti in circolazione non entra più in un rapporto quantitativo determinato con lo stock d’oro depositato nei sotterranei della banca d’emissione. Questo stock d’oro non può in nessun caso garantire i biglietti in circolazione, poiché questi sono i rappresentanti del credito commerciale che ha appunto eliminato la circolazione della moneta oro. A nessuno verrebbe l’idea che, potendo i tessuti artificiali sostituire i tessuti naturali, si debba continuare a produrre questi ultimi senza utilizzarli e produrre appena quel tanto di tessuti artificiali destinati all’uso. Al contrario, si utilizza contemporaneamente l’uno e l’altro tipo di tessuti e la proporzione che si stabilisce fra di essi non dipende da un principio astratto posto a priori, ma dallo stato rispettivo del mercato di ciascuno dei due prodotti. Lo stesso avviene, fatte le debite proporzioni, per la moneta: valutare da una parte le riserve d’oro e dall’altra l’ammontare dei biglietti in circolazione per decidere se il rapporto esistente fra di loro corrisponde o no alla "regola", è un controsenso, significa ignorare la natura stessa della moneta di credito. L’oro (e i suoi segni) e la banconota sono monete l’uno e l’altra: lo studio della percentuale che essi rappresentano rispettivamente nella circolazione totale può fornire utili indicazioni sullo sviluppo della moneta di credito nell’ambito della moneta tout court, mentre se ci si propone uno studio di quest’ultima, è soltanto la somma dell’oro monetario e dei biglietti di banca che bisogna considerare. Si osservi infine che, in quanto è di natura monetaria, la banconota si piega a tutte le leggi che regolano la moneta in generale e di cui Marx ha intrapreso lo studio prima ancora di considerare la produzione capitalistica propriamente detta; in particolare, i rapporti fra emissione, circolazione e tesaurizzazione restano gli stessi sia che si tratti di oro o di moneta di credito (v. nella prima parte di questo rapporto: La moneta in senso forte).

La moneta, tuttavia, non ha la semplicità dei tessuti di lana... e di nylon. La moneta di credito non è basata sull’oro, ma sul credito. Robusta finché questo gode di buona salute, essa avvizzisce non appena il credito s’indebolisce. Allora, ma soltanto allora, il capitalista ancora ieri tanto orgoglioso di aver scalato senza fatica "il muro d’oro" contando su un’espansione illimitata della sua produzione vuole d’un tratto fare marcia indietro e si mette a recitare la parte dell’avaro. Poiché il credito vacilla, il capitalista si aggrappa a ciò che resta fermo: il metallo prezioso. La lotta allora divampa, perché la pretesa di cercar rifugio nel sacro oro è vana alla scala sociale, in quanto la moneta di credito, lungi dall’appoggiarsi all’oro, si è sviluppata senza di esso e prendendone perfino il posto. È in questo dilemma che si trovano periodicamente attanagliati economisti e banchieri, è fra questi due poli dell’oro e del credito che si sviluppa la famosa controversia sull’ammontare delle riserve che conviene mantenere nei sotterranei della banca, e ciò spiega anche perché ad epoche differenti vengano apportate soluzioni differenti [22].

Una risposta che sia razionale, universale e valida per tutti i periodi al problema sollevato non esiste e non può esistere. Di più, ogni "soluzione" provvisoria sarà, in definitiva, il riflesso dell’irrazionalità profonda dei rapporti di produzione capitalistici. Le regole monetarie hanno una storia, non possono essere dettate dalla scienza: si tratta di rimedi da brava massaia e non può che essere così in questo settore che è come lo specchio deformante dell’economia borghese, in cui il prodotto domina il produttore e che concentra tutte le illusioni dei suoi apprendisti stregoni.

 

 


 

IL CREDITO BANCARIO, O IL CREDITO ALLA TERZA POTENZA

 

 

a.   La banca, organo centralizzatore del capitale-denaro sociale

 

Sebbene abbiamo definito la banca come il settore economico specializzato nel trattamento delle operazioni in capitale-denaro, abbiamo finora illustrato soltanto i suoi rapporti con il credito commerciale, che portano all’emissione di banconote. Esaminiamo ora le altre funzioni della banca.

Essa è anzitutto l’organo centralizzatore di tutto il capitale-denaro della società. Questo capitale riveste a tutta prima la forma di capitale da prestito: la banca attira verso di sé il risparmio di tutte le classi della società, di cui assicura la tutela e che remunera con un interesse per il denaro affidatole in deposito. La banca diventa quindi un intermediario fra coloro che danno e coloro che prendono a prestito, come era già un intermediario fra commercianti reciprocamente indebitati [23]. "Espressa in termini generali - scrive Marx - l’attività del banchiere sotto questo aspetto consiste nel concentrare nelle sue mani e in grandi masse il capitale monetario disponibile per il prestito, così che di fronte ai capitalisti industriali e commerciali, in luogo del singolo individuo che dà denaro a prestito, si trovano i banchieri, come rappresentanti di tutti coloro che danno denaro a prestito. Essi diventano gli amministratori generali del capitale monetario [sottolineato da noi]. D’altro lato essi rappresentano, di fronte a tutti coloro che danno a prestito, la figura di chi prende a prestito, perché essi prendono a prestito per tutto quanto il mondo commerciale. Una banca rappresenta da un lato la concentrazione del capitale monetario, cioè di coloro che danno a prestito, d’altro lato la concentrazione di quelli che prendono a prestito" (Marx, Il Capitale, Libro III, cap. XXV, Ed. Riuniti, p. 476-77).

La natura stessa della sua attività impone al capitalista la costituzione di un fondo di riserva che permetta di far fronte alle alee del mondo commerciale e alle vicissitudini della lotta di classe, come per esempio un allungamento del tempo di circolazione delle merci derivante da un restringersi del mercato che rallenti il riflusso verso il capitalista stesso del capitale monetario indispensabile per continuare a produrre, e che renda quindi necessario un nuovo anticipo di capitale-denaro. Abbiamo visto d’altra parte come sorgesse una contraddizione tra la tendenza necessaria all’accumulazione allargata del capitale (investimento del plusvalore ottenuto da un dato ciclo) e le necessità puramente tecniche dell’allargamento della produzione, che impongono al capitale-denaro addizionale di aver raggiunto un determinato livello minimo per potersi trasformare realmente in capitale produttivo. Infine, il modo in cui i cicli, o più precisamente le durate rispettive dei tempi di produzione e di circolazione si intrecciano, può produrre un accavallarsi di capitale, e quindi lasciare momentaneamente inoperoso del capitale-denaro [24].

I fondi di riserva, il plusvalore che non riesce ad impiegarsi nell’impresa in cui è stato prodotto, il capitale liberato dalle particolarità della rotazione del capitale, tutto questo capitale-denaro al quale è vietato di trasformarsi individualmente in capitale produttivo, e che così isolato perderebbe la sua funzione di capitale rimanendo "inattivo", affluisce verso le banche, si aggiunge al risparmio proveniente da tutte [25] le classi sociali, e costituisce infine un’enorme massa di capitale da prestito.

"Il capitale di cui le banche dispongono per il prestito affluisce loro in modi diversi  [scrive Marx] . Innanzi tutto si concentra in mano loro, poiché esse sono i cassieri dei capitalisti industriali, il capitale monetario che ogni produttore e ogni commerciante tiene come fondo di riserva o che gli affluisce come pagamento. Questi fondi si trasformano così in capitale monetario che può essere dato in prestito. In conseguenza di ciò il fondo di riserva del mondo commerciale, poiché si concentra come fondo comune, è ridotto al minimo necessario, e una parte del capitale monetario, che sarebbe altrimenti rimasto inoperoso come fondo di riserva, è dato a prestito, funziona come capitale produttivo di interesse. In secondo luogo, il capitale prestabile delle banche è costituito dai depositi dei capitalisti monetari che trasferiscono ad esse il compito di darli in prestito. Con lo sviluppo del sistema bancario, e soprattutto non appena le banche pagano un interesse per i depositi, vengono depositati presso di esse i risparmi in denaro e il denaro momentaneamente non impiegato di tutte le classi. Piccole somme, insufficienti per operare isolatamente come capitale monetario, sono riunite in grandi masse e costituiscono così una potenza monetaria. Questa azione di mettere insieme piccole somme deve essere distinta come azione specifica del sistema bancario da quella d’intermediario tra i capitalisti monetari veri e propri e coloro che prendono a prestito. Infine vengono depositate presso le banche anche quelle rendite che devono essere consumate solo a poco a poco" (Marx, ibid., p. 477). "Per i paesi a credito sviluppato possiamo supporre che tutto il capitale monetario disponibile per il prestito esista sotto la forma di deposito presso le banche e presso coloro che danno il denaro in prestito" (Marx, ibid., p. 587).

Questa centralizzazione del capitale-denaro nelle banche permette al capitalismo di superare la contraddizione tra capitale monetario e capitale produttivo; mentre, a volte, capitali isolati non possono investirsi perché non raggiungono un volume sufficiente, questi stessi capitali riuniti dalla banca possono essere offerti ai capitalisti industriali sotto forma di prestiti e a seconda delle proporzioni richieste dalle esigenze tecniche della produzione e dello stato del mercato. Si trova così assicurata una estrema mobilità dei capitali che passano facilmente da un ramo all’altro della produzione, e quindi una prodigiosa accelerazione della velocità della circolazione del capitale. Di conseguenza, questo si spoglia delle sue caratteristiche individuali e la sua origine precisa diventa secondaria: il capitale appare in certo modo allo stato puro, si impone alla scala sociale come la potenza suprema, anonima e unica, che si nutre indistintamente dello sfruttamento di tutta la classe dei salariati e assicura alle altre classi, prima di tutto alla classe dominante, i loro privilegi nella sola misura in cui esse giocano il ruolo di semplici agenti della circolazione.

Scrive Marx: "Sul mercato monetario si trovano di fronte unicamente chi dà a prestito e chi prende a prestito. La merce non ha che una forma, il denaro. Tutte le forme particolari che il capitale assume, secondo il suo investimento in particolari sfere di produzione o di circolazione, sono qui cancellate. Esso esiste qui nella sua forma omogenea, uguale a se stessa, del valore autonomo del denaro. La concorrenza tra le sfere particolari qui cessa; esse sono tutte riunite nella figura di chi prende a prestito, ed anche il capitale si trova di fronte a tutti nella forma nella quale esso è ancora indifferente rispetto alla determinata natura e maniera del suo impiego. Il capitale industriale che compare come capitale sostanzialmente comune di tutta la classe solo nel movimento e nella concorrenza tra le diverse sfere, si manifesta qui realmente, con tutto il suo peso, come tale, nella domanda e nell’offerta di capitale. D’altro lato il capitale monetario possiede effettivamente sul mercato monetario la forma nella quale esso, come elemento comune, indifferente rispetto al suo particolare impiego, si distribuisce tra le diverse sfere, fra la classe dei capitalisti, secondo i bisogni della produzione di ogni singola sfera. Si aggiunge a ciò che, con lo sviluppo della grande industria, il capitale monetario, in quanto esso appare sul mercato, è rappresentato in grado sempre maggiore non dal singolo capitalista, dal proprietario di questa o di quella frazione del capitale che si trova sul mercato, ma si presenta come una massa concentrata, organizzata, che, del tutto diversamente dalla produzione reale, è posta sotto il controllo del banchiere che rappresenta il capitale sociale. Così che, per quanto riguarda la forma della domanda, al capitale da prestito si contrappone il peso di una classe; per quanto riguarda l’offerta, esso stesso si presenta en masse come capitale da prestare" (Marx, Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. XXII, Ed. Riuniti, pp. 436-437) [26].

Il sistema di credito incarnato dalla banca è quindi una delle più potenti leve dell’accumulazione capitalistica. Come dice Marx, "La produzione capitalistica nella sua estensione attuale sarebbe possibile senza il sistema creditizio... cioè con la circolazione puramente metallica? Manifestamente no. Essa avrebbe trovato dei limiti nel volume della produzione dei metalli nobili" [27].

 

 

b.   Il credito bancario propriamente detto

 

Il credito capitalista trova il suo fondamento nel credito commerciale e nel prestito su depositi organizzato dal sistema bancario, che ne moltiplica la potenza per il solo fatto della centralizzazione che esso realizza. Ma il ruolo della banca non si limita a questa funzione in certo modo tecnica. Essa si presenta anche come un agente economico operante direttamente, e non più solo come un intermediario. La sua attività di "cassiere" della classe borghese esige, beninteso, che essa possieda un capitale proprio allo stesso titolo di qualunque impresa capitalistica, capitale che si accresce di un profitto derivante dall’esercizio delle funzioni specifiche della banca, ma che in fin dei conti è solo una frazione del plusvalore ceduta al suo "cassiere", sotto forma di interessi diversi, dalla classe degli imprenditori.

Questo profitto, la banca lo utilizzerà a sua volta come capitale da prestito. Ma v’è di più. Essendo già tecnicamente specializzata nella gestione di un credito la cui materia si origina fuori dalla sua sfera di attività particolare e che essa si accontenta di gestire, la banca accorderà inoltre direttamente del credito, sulla base questa volta della sua attività specifica. Si tratta, come dice Marx, di un credito elevato all’ultima potenza nella misura in cui ciò che ora entra direttamente in gioco è la potenza finanziaria della stessa banca. Ora questa potenza si basa sulla gestione centralizzata del credito sociale: mentre il prestito su depositi si basava su un ciclo economico già compiuto e il credito commerciale su un ciclo in corso di completamento, il credito bancario corona l’edificio del credito stesso: è un credito fondato sull’attività economica che si è già sviluppata sulla base del credito.

Il credito bancario si distingue quindi dal credito commerciale. Per quest’ultimo, l’intervento della banca si limitava a trasformare ufficialmente in moneta uno strumento di circolazione delle merci, la cambiale, che aveva già manifestato praticamente nella sfera della circolazione le sue caratteristiche monetarie: la banconota poteva sostituire la cambiale perché erano tutte e due, in fondo, delle monete. Nel credito bancario propriamente detto, è invece la banca che crea essa stessa direttamente della moneta senza appoggiarsi su altra garanzia che il credito di cui la sua attività le ha permesso di godere; nessun deposito, di qualunque natura esso sia, può infatti essere invocato come fondamento del credito bancario, perché la banca presta allo scoperto: "Anziché dare ad A delle banconote, la banca può semplicemente aprirgli un credito in conto corrente, grazie al quale A, suo debitore, diventa un depositante fittizio. Egli pagherà allora i suoi creditori in assegni sulla banca ed il beneficiario di questi assegni li darà in pagamento al suo banchiere che li scambia nel Clearing House [28] contro assegni a suo carico. In questo caso le banconote non intervengono e tutta la transazione è limitata a ciò: si salda alla banca un suo credito con un assegno sulla banca stessa, mentre il suo effettivo compenso consiste nel credito verso A" (Il Capitale, Libro III, Sez.V, cap. XXVIII, Ed. Riuniti, pag. 541).

A scopo di semplificazione si può considerare che la moneta scritturale (saldi creditizi dei conti correnti bancari o assimilati) sia rappresentativa di questa moneta emessa direttamente dalle banche. Abbiamo già avuto occasione di osservare che il suo volume tende a crescere continuamente soppiantando a poco a poco le altre forme di moneta (biglietti e moneta divisionaria): in Francia nel 1965 la moneta scritturale rappresentava il 63% della circolazione monetaria totale; in Gran Bretagna e in Italia ne rappresenta l’80%, negli Stati Uniti l’87%.

Ci si potrebbe chiedere, come si è fatto per la banconota, se la moneta scritturale è una moneta in senso proprio.   Per rispondere a questa domanda utilizzeremo lo stesso metodo usato in precedenza, cioè analizzeremo brevemente la prassi bancaria in questo campo [29].

La moneta scritturale non sarebbe una moneta in senso proprio se rappresentasse un ammontare eguale di monete di altra natura conservate in depositi e quindi non utilizzate direttamente: si tratterebbe allora di puri e semplici segni monetari come si è visto che esistevano dei segni o rappresentanti dell’oro. Ora come si regola effettivamente l’emissione di moneta scritturale? Le banche ricevono costantemente depositi di ogni genere che per semplificare assimileremo a depositi in biglietti. Lungi dal conservare questi biglietti nelle loro casseforti e dall’aprire dei conti correnti limitati all’ammontare totale del loro incasso effettivo, le banche destinano invece una forte percentuale di questo incasso (dal 75% all’80% in periodo normale) all’apertura di crediti diversi, conservando il resto (dal 20 al 25% dell’incasso) per far fronte alle esigenze di cassa. Supponiamo dunque che una banca abbia ricevuto in deposito per 1.000 lire in biglietti e che osservi la regola di una copertura al 20% dei crediti da essa acconsentiti. Il suo bilancio si stabilirà allora così:

 

 

ATTIVO

Incasso

200

Prestiti e depositi

800

Totale

1.000

 

 

PASSIVO

Depositi

1.000

Totale

1.000


Balza agli occhi che è stata effettivamente emessa una massa monetaria addizionale di 800 lire, dato che i depositanti possono continuare a servirsi, per esempio a mezzo assegni, delle 1.000 lire che hanno depositate mentre i mutuanti dispongono ora di 800 lire che rappresentano un credito della banca di cui non si può pretendere che sia garantito dalle 1.000 lire di depositi. Alla scala del sistema bancario nel suo insieme il processo si amplia. Infatti i debitori della banca in questione utilizzeranno il credito ottenuto per regolare debiti precedenti o saldare nuovi acquisti; in tutti i casi l’ammontare del loro prestito finirà a scadenza più o meno breve per rifluire verso una banca (o anche la stessa banca che all’origine ha acconsentito il prestito) e questa a sua volta utilizzerà l’80% di questo deposito per accordare nuovi prestiti. La tabella che segue sintetizza questi diversi movimenti monetari che si incrociano.

 

Periodi

Nuovi depositi

N.1

1.000  (deposito iniziale)

N.2

   800  (deposito riflesso)

N.3

   640  (deposito riflesso)

N.4

   512  (deposito riflesso)

 

 

 

2.952

 

 

Nuovi crediti

Supplementi di incasso

   800

200

   640

160

   512

128

   409,60

102,40

 

 

2.361,60

590,40

 

Si può calcolare matematicamente l’eccedenza di denaro così creata quando il fenomeno è giunto al suo termine, cioè quando il deposito iniziale di 1.000 lire in una determinata banca si trova interamente ripartito nel sistema bancario attraverso il gioco dei nuovi depositi e dei nuovi crediti. Si ottiene una somma di 4.000 lire, alla quale si aggiungono le 1.000 lire di partenza; il deposito in una data banca di una somma di 1.000 lire in biglietti fa quindi apparire in teoria una somma di 5.000 lire al totale nell’insieme del sistema bancario.

Nella pratica questo calcolo deve essere corretto per tener conto del fatto che una parte di questa massa monetaria non rifluirà verso il sistema bancario ma continuerà a circolare sotto forma di biglietti.

Si arriva allora al calcolo di quello che si chiama il coefficiente moltiplicatore di credito: se il tasso di copertura dei prestiti è, come abbiamo supposto, del 20% (1/5), questo coefficiente è di 4, il che significa che ogni deposito in una banca vede moltiplicato per 4 il suo ammontare, sotto forma di disponibilità in moneta scritturale e alla scala del sistema bancario nel suo insieme [30].

"I depositi stessi hanno una duplice funzione. Da un lato... vengono dati in prestito come capitale produttivo di interesse, e non si trovano quindi nelle casse delle banche, ma figurano soltanto nei loro libri come crediti dei depositanti. D’altro lato essi figurano come semplici voci di contabilità, in quanto i crediti reciproci dei depositanti si compensano mediante assegni sui loro depositi e vengono reciprocamente annullati: e a questo riguardo è indifferente che i depositi si trovino presso lo stesso banchiere di modo che questi non fa che addebitare ed accreditare i diversi conti, oppure presso delle banche diverse, che si scambiano reciprocamente i loro assegni e si pagano soltanto le differenze.

Con lo sviluppo del capitale produttivo di interesse e del sistema creditizio ogni capitale sembra raddoppiarsi e in alcuni casi triplicarsi a causa dei diversi modi in cui lo stesso capitale o anche soltanto lo stesso titolo di credito appare in forme diverse in mani diverse. La maggior parte di questo 'capitale monetario' è puramente fittizio. Ad eccezione del fondo di riserva, tutti i depositi non sono altro che crediti sul banchiere, che non si trovano però mai in deposito. In quanto essi servono alle transazioni di compensazione, hanno la funzione di capitale per i banchieri, dopo che questi li hanno dati in prestito. I banchieri si pagano reciprocamente i rispettivi assegni su depositi che non esistono, mediante cancellazione reciproca di questi crediti... Nel sistema creditizio... tutto si raddoppia e si triplica trasformandosi in una pura chimera" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. XXIX, Ed. Riuniti, pp. 554-555 e 557).

La moneta scritturale, questa moneta di credito nel senso forte del termine, è dunque in realtà una moneta tout court perché ne assolve le funzioni esattamente come il biglietto di banca fondato sulla monetizzazione dei crediti commerciali. Il fenomeno di "smaterializzazione" che abbiamo seguito passo passo partendo dalla carta-moneta, semplice segno dell’oro, raggiunge qui il suo stadio estremo: la moneta è ridotta ad uno gioco di scritture e tende quindi a divenire un puro strumento di circolazione.

È essenziale capire che questo fenomeno non costituisce affatto una difficoltà supplementare per la teoria marxista della moneta, ma anzi è la conferma della fondatezza di una legge che essa ha avuto cura di individuare fin dall’inizio, cioè fin dall’inizio dello studio della moneta nella circolazione semplice delle merci. Allo stesso modo, è evidente che il buon funzionamento del sistema creditizio generalizzato presuppone che tutte le liquidità monetarie create non siano simultaneamente utilizzate (in altri termini, che tutti i depositanti non esigano nello stesso tempo il rimborso dei loro depositi) sotto pena di far fallire la banca. Si ritrova qui, in forma nuova - è vero - il fenomeno di tesaurizzazione necessario che era apparso anch’esso durante lo studio della circolazione semplice delle merci.

La moneta di credito deve dunque piegarsi, come ogni moneta, alle leggi della circolazione monetaria in quanto tale, ma la specializzazione delle banche e il carattere relativamente autonomo della loro attività, che si svolge in certo modo in circuito chiuso, facilitano grandemente il gioco normale di queste leggi.

Il sistema bancario e il credito generalizzato rappresentano insomma l’adattamento ottimale del denaro alle funzioni che deve assolvere nell’economia capitalistica - il che, come vedremo, lungi dal permettere un superamento delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, permette loro al contrario di agire più liberamente, su una scala più vasta e nel modo più radicale [31].

 

CONCLUSIONI


L’analisi delle diverse forme di credito ci ha mostrato come esse si generano successivamente, si interpenetrano e si spalleggiano a vicenda; a tal punto che dove il sistema ha avuto il suo massimo sviluppo è impossibile distinguere partitamente le fonti del credito generalizzato. Questo costituisce una unità gestita da un organo gerarchizzato e apparentemente autonomo, la Banca.

Lo sviluppo del credito lo conduce a forme sempre più ermetiche: se il credito commerciale resta perfettamente intelligibile in quanto poggia direttamente sulla circolazione materiale delle merci, il ruolo di intermediario fra mutuatari e mutuanti della banca è già più complesso nella misura in cui la semplice addizione di somme di denaro poco importanti conferisce loro la capacità, che non possedevano di per sé, di recitare la parte di capitale monetario suscettibile di metamorfosi in capitale produttivo; quanto al credito bancario in senso proprio, esso appare completamente privo di base materiale, perché incarna un modo di credito fondato esso stesso sull’esistenza di forme più semplici... di credito.

La coscienza che gli agenti del capitale si fanno del loro modo di produzione raggiunge qui il colmo dell’illusione, perché il sistema bancario e il credito da esso dispensato appaiono loro come la causa prima di tutto il movimento economico, una specie di magica leva in grado di sollevare a volontà il mondo profano della produzione e della circolazione delle merci. Di qui la tentazione di cercare nella sfera monetaria e bancaria la chiave dei misteri della economia capitalistica e la pretesa  di superare i disordini di questa con un’organizzazione appropriata di quella.

Importa quindi considerare l’edificio economico nel suo insieme senza dimenticare le fondamenta. Beninteso l’autonomia del sistema bancario è del tutto relativa e il suo funzionamento resta determinato dai fenomeni che si producono nella sfera della produzione e della circolazione sulle quali tuttavia la banca esercita a sua volta una azione riflessa. Qual è infatti la base del sistema di credito se non la produzione e lo scambio delle merci? Qual è la sua funzione fondamentale se non di forzare al massimo l’attività produttiva e commerciale liberandola da tutte le pastoie che nascono, non dal carattere capitalistico della produzione e dello scambio - cosa che sfugge evidentemente alla portata della banca che è una istituzione capitalistica - ma dalla necessità per il capitale di compiere una serie di metamorfosi allo scopo di percorrere integralmente le fasi del suo processo di valorizzazione?

Tutte le limitazioni derivanti dalla necessità per il capitale di assumere la forma di capitale monetario a un momento dato (si veda più sopra la II parte) sono superate dall’organizzazione del credito. Quindi in periodo di accumulazione "normale" del capitale il credito permette di piegare le leggi dell’economia monetaria alle esigenze della economia capitalistica. Ma la sua azione si ferma qui. Tutti i crediti del mondo non potranno mettere in moto delle macchine che non sono state costruite, la forza-lavoro di operai che non sono in età o in condizione di produrre, o vendere delle merci che non sono ancora state prodotte (è vero che la speculazione, il cui sviluppo accompagna quello del credito, sembra realizzare tali miracoli... almeno per lo speculatore fortunato, e questo è necessariamente completato da uno speculatore scarognato; come il furto puro e semplice, la speculazione può far cambiar di mano la ricchezza, ma non produrla).

Tutto ciò che il credito può fare è di tendere al massimo l’utilizzazione dei mezzi di produzione esistenti e anche, in una certa misura, i mezzi di acquisto, la domanda solvibile disponibile in un momento dato - e questo ipotecando la produzione e la circolazione avvenire. "L’estensione massima del credito corrisponde in questo caso alla più completa utilizzazione del capitale industriale, ossia alla esplicazione più intensa possibile della sua forza di riproduzione senza riguardo ai limiti del consumo. Questi limiti del consumo vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione stesso, che da un lato accresce il consumo di reddito da parte degli operai e dei capitalisti, dall’altro si identifica con l’intensificazione del   consumo produttivo" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 30, Ed. Riuniti, pag. 568). Ma se l’economia di credito sembra così emanciparsi dalle leggi dell’economia   monetaria, che tuttavia gli è servita di base, questo deriva in  realtà da un’apparenza nella misura in cui la moneta di credito è essa stessa una moneta tout court. Questo carattere di moneta si manifesta nel modo più brutale nei periodi di crisi, nel corso dei quali il sistema di credito sembra incepparsi per cedere il posto al gioco elementare delle leggi monetarie che aveva sostituito nella fase di prosperità.

In effetti, permettendo un impiego estensivo delle forze produttive e, in una misura minore, un’estensione immediata della domanda basata sull’utilizzazione anticipata di mezzi di pagamento di cui si può ragionevolmente scontare l’apparizione futura, il credito non sopprime affatto la contraddizione fondamentale della produzione capitalistica, cioè il fatto che la produzione e la circolazione delle merci, o se si vuole la loro produzione e il loro consumo, obbediscono a leggi di natura completamente diversa e perfino opposta. L’estensione della produzione è dettata dalle necessità dell’accumulazione del capitale che la stessa natura di capitale delle forze produttive impone, e quindi non conosce alcun limite intrinseco. L’allargamento del mercato urta invece contro i limiti non dei bisogni umani in generale di cui il capitale s’infischia, ma della domanda solvibile, limiti che necessariamente non possono regredire allo stesso passo.

Eliminando le cause secondarie di crisi derivanti dalle contraddizioni fra le diverse forme del capitale stesso (capitale monetario e capitale produttivo) il credito aumenta prodigiosamente la forza dell’antagonismo fondamentale del modo di produzione capitalistico facendolo giocare, per così dire, in tutta la sua purezza. Il credito infatti non  potrebbe allineare la progressione della domanda solvibile su quella della produzione che negandosi, cioè sopprimendo il carattere privato dell’appropriazione dei prodotti. Se quindi la generalizzazione del credito allontana lo scoppio della crisi è solo per aumentarne l’intensità. Per convincersene basta paragonare sotto l’angolo della intensità e della durata la portata delle crisi commerciali che scuotevano a intervalli relativamente vicini le nazioni industriali del secolo scorso, e quella delle guerre imperialistiche moderne che costituiscono la soluzione capitalistica alla crisi, il solo mezzo di riassorbire senza uscire dai limiti del modo di produzione esistente la pletora massiccia di capitale in rapporto alle capacità di assorbimento del mercato.  Giunto all’apogeo del suo sviluppo, il capitale può sopravvivere solo a  prezzo di massicce distruzioni, autoamputandosi.

Esso rivela quindi di essere storicamente caduco.

In periodo di crisi, l’antagonismo fra il modo di produzione sociale del capitalismo e il suo modo di appropriazione privato si manifesta a tutta prima con un divorzio fra produzione e circolazione delle merci. Gli affari rallentano, ma per ciò stesso il credito commerciale e quindi l’insieme del credito illanguidiscono. "Fino a che il processo di riproduzione fluisce normalmente e assicura in tal modo i riflussi (di capitale), questo credito si mantiene e si amplia, e questo ampliamento è fondato sull’ampliamento del processo stesso della riproduzione. Non appena subentra un ristagno provocato da ritardi dei riflussi, da saturazione dei mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste sempre, ma in forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Massa di capitale-merce, ma invendibile. Massa di capitale fisso, ma in gran parte inattivo a causa del ristagno della riproduzione. Il credito si contrae: 1 ) perché questo capitale è inattivo, ossia ristagna in una delle fasi della sua riproduzione, perché non può compiere la sua metamorfosi; 2) perché è infranta la fiducia nella fluidità del processo di riproduzione; 3) perché diminuisce la domanda di questo credito commerciale. Il filandiere che restringe la sua produzione e ha in magazzino una grande quantità di filo invenduto, non ha bisogno di acquistare del cotone a credito; il commerciante non ha bisogno di acquistare delle merci a credito, avendone a disposizione più del necessario" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. XXX, Ed. Riuniti, pag. 568).

In questa situazione di crisi, si assiste a un ritorno paradossale del vecchio sistema monetario, di cui si dimenticano di colpo tutti gli inconvenienti dal punto di vista capitalistico. La moneta di credito assolveva nel migliore dei modi la funzione di mezzo di circolazione e in pratica si identificava con essa. Ora ecco che la circolazione risulta bloccata. Ciò che da tutte le parti si esige, è quindi un mezzo di tesaurizzazione, della moneta in senso forte, incarnazione della ricchezza astratta, cioè l’equivalente generale. I privati si gettano sull’oro, che non sarà evidentemente mai disponibile in quantità sufficienti nella misura in cui appunto lo sviluppo della moneta di credito ha permesso di farne assolutamente a meno, mentre le banche che ancora il giorno prima restringevano al minimo i loro fondi di sicurezza tesaurizzano a modo loro rifiutando l’apertura di crediti nuovi. "Il credito, anch’esso forma sociale della ricchezza, soppianta il denaro e ne usurpa il posto. È la fiducia nel carattere sociale della produzione, che fa apparire la forma monetaria dei prodotti esclusivamente come qualche cosa di passeggero e ideale, come semplice rappresentazione. Ma, non appena il credito viene scosso -  e questa fase si presenta immancabilmente nel ciclo della industria moderna - qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e improvvisamente in denaro, in oro e in argento, una pretesa assurda che deriva però necessariamente dal sistema stesso. E l’oro e l’argento che devono soddisfare a queste incredibili pretese ammontano in tutto a un paio di milioni che giacciono nelle casseforti della banca. Riguardo agli effetti del deflusso dell’oro, il fatto  che la produzione, in quanto produzione sociale, non è realmente  sottoposta al controllo sociale, si  manifesta nel modo più evidente  nel fatto che la forma sociale della ricchezza esiste come una  cosa al di fuori di essa. Questo, il  sistema capitalistico lo ha di fatto in comune con i sistemi di produzione precedenti nella misura  in cui questi si fondano sul commercio delle merci e sullo scambio di privati. Ma soltanto nel  sistema capitalistico ciò si presenta nella forma più clamorosa  e grottesca di assurda contraddizione e controsenso, 1) perché  nel sistema capitalistico la produzione per il valore d’uso immediato, per l’uso dei produttori  è abolita in misura più completa  che negli altri sistemi, quindi la  produzione esiste soltanto come  un processo sociale che si esprime nella concatenazione della  produzione e della circolazione;  2) perché con lo sviluppo del sistema creditizio la produzione capitalistica tende continuamente a sopprimere questa barriera metallica al tempo stesso concreta e fantastica, della ricchezza e del suo movimento, ma continuamente sbatte la testa contro di essa. Al momento della crisi si ha la pretesa che tutte le cambiali, i titoli, le merci debbano essere a un tratto e contemporaneamente convertibili in moneta bancaria e tutta questa moneta bancaria a sua volta in oro" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 35, Ed. Riuniti, pagg. 670-671).

Il fenomeno dell’improvvisa conversione della moneta di credito in banconote o meglio in moneta metallica in tempo di crisi è descritto da Marx nella Critica dell’Economia Politica (1859) come segue: "Là dove si sono sviluppati la catena dei pagamenti e un sistema artificiale della loro compensazione, in epoche di commozioni che interrompono con violenza il corso dei pagamenti e perturbano il meccanismo della loro compensazione, il denaro trapassa improvvisamente dalla sua figura aerea, arzigogolata dal cervello, di misura dei valori [o come mezzo di circolazione, nel caso della moneta di credito] a quella di solida moneta ossia di mezzo di pagamento. In condizioni di produzione borghese sviluppata, in cui il  possessore di merce è da lungo tempo diventato capitalista, conosce il suo Adamo Smith e sorride con aria superiore della superstizione che vede come denaro unicamente l’oro e l’argento e ritiene che il denaro sia in generale, a differenza di altre merci, la merce assoluta, il denaro riappare dunque improvvisamente non come mediatore della circolazione, ma come unica forma adeguata del valore di scambio, come unica ricchezza, proprio come la concepisce il tesaurizzatore. In quanto tale esclusiva esistenza della ricchezza, il denaro non si manifesta, come accade per esempio nel sistema monetario, nella svalutazione e mancanza di valore di tutta la ricchezza materiale soltanto rappresentate, bensì in quelle reali. È questo quel particolare momento delle crisi del mercato mondiale che si chiama crisi monetaria. Il summum bonum, invocato in tali momenti con alte grida come unica ricchezza, è il denaro, il denaro contante, e accanto ad esso tutte le altre merci, appunto in quanto valori d’uso, sono inutili in quanto cose vane, giocattoli o, come dice il nostro dottor Martin Lutero, come meri agghindamenti e gran mangiate. Questo subitaneo trapasso dal sistema creditizio a sistema monetario aggiunge il terrore teorico al panico pratico, e gli agenti della circolazione rabbrividiscono dinanzi al mistero impenetrabile dei loro propri rapporti economici" (Ediz. Rinascita, 1957, pp. 128-129).

Beninteso quanto precede non costituisce affatto una spiegazione delle crisi, che esula dal nostro tema, ma semplicemente una descrizione dei loro effetti a livello del sistema monetario e bancario. Evidentemente questo "subitaneo trapasso" dal sistema  creditizio in sistema monetario blocca il credito, ma nella misura in cui genera un fenomeno di tesaurizzazione dell’equivalente generale costituisce il punto di avvio di una nuova fase di economia creditizia che potrà riprendere a svilupparsi una volta riassorbita la crisi generale.

Da questo punto di vista gli aspetti finanziari delle crisi appaiono come misure di salvaguardia della moneta e del credito futuri, un sacrificio barbaro al dio della ricchezza astratta di cui la ricchezza reale fa le spese. Lo stesso modo di produzione capitalistico riconosce il suo fallimento proclamando: periscano le merci e persino il capitale produttivo purché il feticcio moneta sia salvo! "È un principio fondamentale della produzione capitalistica che il denaro si contrappone alla merce quale forma autonoma del valore, ossia che il valore di scambio deve assumere nel denaro una forma autonoma, e ciò è possibile unicamente quando una merce determinata diventa la materia al cui valore si devono commisurare tutte le altre merci, cosicché proprio perciò diventa la merce universale, la merce par excellence in contrapposizione a tutte le altre merci. Ciò si deve manifestare - soprattutto presso le nazioni capitalistiche sviluppate, che sostituiscono il denaro in grandi quantità - in due modi: da un lato mediante operazioni di credito, dall’altro mediante moneta di credito. In periodi di depressione, quando il credito si restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di pagamento e autentica forma di esistenza del valore. Di qui la svalorizzazione generale delle merci, la difficoltà, anzi l’impossibilità di trasformarle in denaro, ossia nella loro forma puramente fantastica. In secondo luogo la moneta di credito stessa è denaro unicamente nella misura in cui rappresenta, in assoluto, nell’importo del suo valore nominale, il denaro effettivo. Con il deflusso dell’oro la sua convertibilità in denaro, ossia la sua identità con l’oro reale, diventa problematica. Di qui misure coercitive, aumento del saggio dell’interesse, ecc. al fine di assicurare le condizioni di questa convertibilità. Ciò può essere più o meno portato a eccessi mediante un’errata legislazione fondata su errate teorie del denaro e imposta alla nazione nell’interesse di trafficanti di denaro... Ma la causa prima si trova nel fondamento stesso del sistema di produzione. Una svalorizzazione della moneta di credito (senza parlare dell’eventualità, del resto puramente immaginaria, che essa perda le sue caratteristiche di denaro) scuoterebbe tutti i rapporti esistenti. Il valore delle merci viene quindi sacrificato al fine di salvaguardare l’esistenza immaginaria e indipendente di questo valore nel denaro. Come valore in denaro esso in generale è sicuro soltanto fino a che è sicuro il denaro. Per qualche milione in denaro devono quindi essere sacrificati molti milioni di merci. Ciò è inevitabile nella produzione capitalistica e costituisce una delle sue “attrattive”. Nei modi di produzione precedenti ciò non si verifica perché, data la ristrettezza della base su cui si muovono, non si sviluppa né il credito, né la moneta di credito. Fino a che il carattere sociale del lavoro appare come l’esistenza monetaria della merce e quindi come una cosa al di fuori della produzione reale, le crisi monetarie sono inevitabili, indipendentemente dalle crisi reali o come aggravamento di esse" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 32, Ed. Riuniti, pagg. 605-606).

 

 

CREDITO E SOCIALISMO

 

Marx tratta di questa questione in numerosi passi di ineguagliabile intensità dialettica; noi ne citeremo ampiamente qualcuno a mo’ di conclusione. Il nostro scopo è chiaro: si tratta di illustrare su questo particolare esempio la schiacciante superiorità del materialisrno storico non solo sui mediocri sistemi dei riformatori "neocapitalistici" e sul socialismo borghese dei "comunisti" ufficiali, la cui debole fantasia riformatrice non può partorire nulla più che una pallida copia idealizzata del capitalismo reale, ma anche e soprattutto sulle costruzioni tanto "generose" quanto sterili della pleiade di immediatisti operai, democratici e autogestori ai quali un radicalismo verbale non permette di elevarsi di un pollice al di sopra di una concezione miserabilmente corporativa, provinciale e perciò stesso sottoborghese di quella che sarà la più formidabile rivoluzione della storia umana.

Di fronte a tutte queste miopi concezioni, semplici riflessi ideologici della decadenza storica di una classe condannata dalla storia, ma costretta al movimento dalla natura del suo modo di produzione, o anche della immaturità della classe rivoluzionaria che non si è ancora liberata delle conseguenze di una sconfitta sul terreno della lotta di classe (e solo un capovolgimento nei rapporti materiali e quindi nella lotta di classe effettiva, di cui oggi si intravedono soltanto le premesse, le permetterà di sfuggir loro, e alla teoria rivoluzionaria di divenire un’arma), il materialismo dialettico si afferma come la sola dottrina di classe che, rompendo radicalmente con tutti i sogni utopistici o con le raziocinazioni puramente ideologiche, conquista l’intelligenza reale e perciò stesso feconda dell’insieme del movimento storico, cioè, in definitiva, la coscienza e la necessità di una rivoluzione del modo di produzione vigente di cui scopre, anziché inventarli, il senso, la portata e i mezzi.

Il modo di produzione capitalistico affonda le sue radici nell’economia mercantile che lo ha storicamente preceduto. Ma, se utilizza rapporti di produzione apparsi prima di esso e la cui esistenza ha reso possibile il suo sviluppo, ciò non avviene, come abbiamo visto a proposito della moneta, senza una modificazione profonda di questa eredità storica. Questi rapporti di produzione anteriori il capitalismo se li incorpora, li perfeziona, ne modifica la forma quanto basta perché divengano degli ausiliari sottomessi alle esigenze, purtuttavia contraddittorie, dei rapporti puramente capitalistici.

È così che si passa dalla moneta metallica, mezzo di circolazione delle merci in un’economia in seno alla quale i prodotti del lavoro umano prendono solo eccezionalmente la forma di merci, alle forme più complesse della moneta di credito in un’economia in cui non soltanto ogni prodotto prende la forma di merce, ma in cui inoltre, la circolazione delle merci non è più essa stessa che il supporto della circolazione del capitale, fine supremo di tutta l’attività economica.

Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porta necessariamente con sé l’estensione del sistema creditizio. È per l’intermediario del sistema bancario, infatti, che il capitale può ottenere una massiccia riduzione dei costi provocati dalla sua circolazione, e soprattutto assumere in pieno il carattere di potenza sociale unica, al di là delle particolarità dei capitali individuali, senza tuttavia che per ciò si indebolisca - al contrario! - la concorrenza reciproca fra capitali. Il credito organizzato e centralizzato funziona come un prodigioso acceleratore delle diverse fasi della circolazione del capitale e quindi come il mezzo decisivo per accrescere senza tregua la potenza delle forze produttive, per realizzare nelle condizioni migliori l’accumulazione allargata del capitale.

D’altronde, l’esistenza del sistema creditizio equivale ad una specie di riconoscimento, da parte della società borghese, del carattere sociale delle forze produttive che essa mette in opera. Ma questo riconoscimento non può andare fino in fondo, è necessariamente contraddittorio, perché elimina il capitale privato al solo profitto del capitale socializzato, senza potere evidentemente riconoscere che è lo stesso carattere di capitale assunto dalle forze produttive che costituisce 1a contraddizione suprema in cui la società  capitalistica si dibatte, incapace  per essenza di adattarsi completamente alla natura sociale del suo modo di produzione. Visto in  questa prospettiva il sistema creditizio generalizzato si presenta come l’anticamera del socialismo, o almeno come il segno tangibile,  nel seno stesso della società capitalistica, della necessità storica di un modo di produzione nuovo  che riconosca pienamente il carattere sociale delle forze produttive e armonizzi con esso il  modo di appropriazione dei prodotti.

"Il capitale, che si fonda per se stesso su un modo di produzione sociale e presuppone una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro, acquista qui direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati) contrapposto al capitale privato, e le sue imprese si presentano come imprese sociali contrapposte alle imprese private. È la soppressione del capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione capitalistico stesso... [Il] capitalista realmente operante (si trasforma) in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e i proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari... Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ritrasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 27, Ed. Riuniti, pp. 518-519).

"Il profitto medio del capitalista singolo, o di ogni capitale individuale, non è determinato dal pluslavoro che questo capitale si appropria di prima mano, ma dalla quantità di pluslavoro complessivo che il capitale complessivo si appropria e da cui ogni capitale individuale, unicamente come parte proporzionale del capitale complessivo, trae i suoi dividendi. Questo carattere sociale del capitale è reso possibile e attuato integralmente dal pieno sviluppo del sistema creditizio e bancario. D’altro lato questo sistema va oltre e mette a disposizione dei capitalisti commerciali e industriali tutto il capitale disponibile e anche potenziale della società, nella misura in cui esso non è stato già attivamente investito, così che né chi dà in prestito, né chi impiega questo capitale ne è proprietario o produttore. Esso elimina con ciò il carattere privato del capitale e contiene in sé, ma solamente in sé, la soppressione del capitale stesso... Non v’è dubbio che il sistema creditizio servirà da leva potente, durante il periodo di transizione dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione del lavoro associato; ma solo come un elemento in connessione con altre grandi trasformazioni organiche dello stesso modo di produzione" (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 36, Ed. Riuniti, pagg. 705-706).

Tanto basta, ci sembra, per ricacciare nella loro tana tutti gli ideologi meschini di un socialismo di paccottiglia da essi presentato sia come "l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione" grazie alla nazionalizzazione e che quindi si limitano a rivendicare in nome del proletariato e come panacea economica e sociale ciò che il capitalismo realizza da sé con o senza intervento giuridico dello Stato, sia come una specie di federazione di cooperative operaie autonome costituite sulla base delle attuali aziende capitalistiche, ma sbarazzate della figura più che secondaria del "padrone"; modello economico ancor più irreale del primo e in ogni caso inferiore allo stesso capitalismo, in seno al quale il grado di socializzazione è più elevato. Il socialismo scientifico, lungi dal sognare una bella utopia, esprime coscientemente il moto reale della società così come lo sviluppo delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico glielo impone, e quindi anche la soluzione che discende dalla dinamica di tali contraddizioni.

Questa soluzione può risiedere soltanto nel pieno riconoscimento del carattere sociale della produzione, e bisogna essere stranamente miopi per non vedere, in pieno secolo XX, che, pena un ritorno indietro sullo stesso capitalismo, non può trattarsi, se non di una presa in mano diretta, da parte della specie umana, delle forze produttive ch’essa ha sviluppate, presa in mano che implica la distruzione radicale del carattere di capitale loro imposto per un certo tempo dalla storia. Questa distruzione si concluderà nella progressiva scomparsa di ogni economia fondata sullo scambio dei prodotti [32].

Essa richiederà del tempo e si svolgerà necessariamente alla scala del pianeta; ma, se il becchino della vecchia società, lo Stato della dittatura del proletariato, dovrà adattarsi ad una persistenza più o meno durevole degli scambi economici, la prima misura che esso prenderà in campo economico non appena le imperiose necessità della lotta di classe internazionale glielo permetteranno sarà, come Marx proclamò con forza nella Critica del Programma di Gotha, di sopprimere gli scambi che seguono la via contorta della moneta; di abolire puramente e semplicemente il feticcio-denaro.

 

 Questo testo è stato tratto integralmente da Il programma comunista nn. 5,6,7,8,10,12,14,15,16 del 1968.



[1] Il Primo Libro uscirà in tedesco solo nel 1867: il Secondo sarà pubblicato nell'85 da Engels, e il Terzo, nelle stesse condizioni, nel 1894.

[2] "Il metodo d'analisi che ho adoperato e che non era ancora mai stato applicato ad argomenti economici, rende abbastanza ardua la lettura dei primi capitoli, ed è da temere che il pubblico francese, sempre impaziente di arrivare alla conclusione, avido di conoscere il nesso dei principii generali coi problemi immediati che lo appassionano, s'impenni perché non può subito andare avanti". (Marx, Lettera a La Châtre a proposito dell'edizione francese del Capitale, 1872).

[3] Il Capitale, Libro I, I Sezione, capitolo I, Ed. Rinascita, I, pag.47. È noto quali speculazioni l'economia politica staliniana tessé sopra questa constatazione: si trattava per essa di "dimostrare" che poiché l'economia mercantile era anteriore al capitalismo, nulla impediva che le sopravvivesse e si prolungasse nell'economia socialista. Questa grossolana falsificazione era destinata a cancellare ogni distinzione tra i modi di produzione fondati sullo sfruttamento di classe, che, appunto per questa ragione, possiedono caratteristiche comuni, e il socialismo: a rendere confusa la frontiera fra quelle che Engels chiamerà nell'Antidühring la preistoria e la storia dell'umanità, il regno della necessità e il regno della libertà.

[4] Prefazione alla prima edizione de Il Capitale, 1867, Ed. Rinascita, vol. I, pp. 15 e 16.

[5] Nel complemento e supplemento al III Libro de Il Capitale, Engels scrive che il contadino del Medioevo conosceva abbastanza esattamente il tempo di lavoro necessario alla fabbricazione degli oggetti che acquistava mediante scambio: il fabbro, il carradore, lavoravano sotto i suoi occhi. In tutto il periodo dell'economia naturale contadina, il solo scambio possibile è quello in cui le quantità di merci scambiate tendono sempre più a misurarsi in base alle quantità di lavoro in esse materializzate.

[6] Caratteristiche che la società socialista apprezzerà, beninteso, al loro giusto valore: come diceva Lenin, "quando avremo trionfato alla scala mondiale, faremo, credo, con l'oro, delle latrine pubbliche nelle vie di alcune delle più grandi città del mondo".

[7] Anche i valori delle merci sono variabili e la variazione può colpire tutte le merci o soltanto alcune. L'evoluzione dei prezzi risulterà quindi dalla combinazione delle variazioni del valore delle merci e del valore della moneta (qui, dell'oro).

[8] Almeno allo stadio in cui ci troviamo, quando il capitale non ha ancora fatto la sua comparsa. Nella società capitalistica, il denaro non riflette più semplicemente il mondo delle merci, ma anche quello del capitale.

[9] Nel presentare le loro panacee riformiste, gli opportunisti "operai" invertono i termini dei rapporti reali. La necessità oggettiva che anima il movimento del capitale determina anche la volontà soggettiva dei suoi agenti, i capitalisti; per gli opportunisti, la causa della marcia del capitale sarebbe invece la volontà del capitalista, la sua sete di guadagno, la malvagità dei monopoli ecc. Questa visione infantile del modo di produzione capitalista trascura il fatto che, se il capitalista è in realtà assetato di guadagno, gli è che deve esserlo: la concorrenza si incarica di insegnargli che un capitalista "generoso" cessa rapidamente di essere capitalista, cioè fallisce. È dunque solo falsificando grossolanamente la realtà economica e sociale del modo di produzione capitalista e le sue leggi, che l'opportunista può pretendere di modificarle, non diciamo con una rivoluzione politica da tempo mandata in soffitta, ma nemmeno con una riforma dello Stato (democrazia popolare, democrazia vera, ecc.), mentre solo una rivoluzione sociale può sperare d'infrangere i rapporti di produzione capitalistici.

[10] L'economia politica staliniana arzigogolò a lungo sul problema di sapere se si potesse parlare di plusvalore in URSS e, i più demagoghi fra gli accademici sovietici si scandalizzarono che certi economisti impiegassero questo vocabolo nella enumerazione delle categorie economiche del socialismo marca Cremlino; è vero che si scandalizzavano assai meno dell'esistenza, nella realtà sociale e non solo nella testa degli economisti di grido, del salariato. Oggi, tutti questi pudori sono stati spazzati via dalla realtà concreta (come dicono loro) dell'accumulazione del plusvalore in Russia, quindi si cantano le lodi del profitto, della redditività, di una giusta politica dei salari (equivalente alla famosa "politica dei redditi" del mondo occidentale): l'ipocrisia economica è così ridotta al minimo; è bon ton appiccicare l'aggettivo "socialista" a tutte le categorie economiche del capitalista - profitto "socialista", salario "socialista", ecc. E non si tratterebbe che di giochi di parola spassosi, se non fossero tatuati sulla pelle del proletariato russo!

[11]  "Il processo diretto di produzione è il suo processo di lavoro e di valorizzazione, il processo il cui risultato è il prodotto-merce e il cui motivo determinante è la produzione di plusvalore". (Il Capitale, Libro II, Sezione III, cap. 18, Ed. Riuniti, p. 137).

[12]  "Se D-L [D designa qui il capitale-denaro e L la forza-lavoro] compare come una funzione del capitale monetario, ossia il denaro compare qui come forma di esistenza del capitale, ciò non è affatto soltanto perché il denaro si presenta qui come mezzo di pagamento per un’attività umana che ha un effetto utile, per un servizio; non è affatto, dunque, per la funzione del denaro come mezzo di pagamento. Il denaro può essere speso in questa forma solo perché la forza-lavoro si trova in uno stato di separazione dai suoi mezzi di produzione (compresi i mezzi di sussistenza come mezzi di produzione della stessa forza-lavoro); e perché tale separazione viene superata solo col fatto che la forza-lavoro viene venduta al proprietario dei mezzi di produzione... Il rapporto capitalistico durante il processo di produzione si rivela soltanto perché esso in sé esiste nell’atto della circolazione, nelle differenti condizioni economiche fondamentali in cui si contrappongono compratore e venditore, nel loro rapporto di classe" (Il Capitale, Libro II, Sezione I, cap. 1, ed. cit., pag. 36).

[13]  "La grandezza del necessario anticipo di denaro dipende dal fatto che durante un tempo piuttosto lungo vengono costantemente sottratti alla società forza-lavoro e mezzi di produzione, senza che venga ad essa restituito durante questo tempo un prodotto ritrasformabile in denaro. La circostanza per cui il capitale dev’essere anticipato in forma di denaro non viene soppressa dalla forma di questo denaro stesso, sia esso moneta metallica, moneta di credito, segno di valore, ecc." (Il Capitale, Libro II, Sez. III, cap. 18, ed. cit., pag. 375).

[14]  Marx studia il credito capitalistico nella Sezione V del Libro III del Capitale intitolata Suddivisione del profitto in interesse e guadagno di imprenditore. Engels ha sottolineato nella sua prefazione del 1894 che, nel preparare l’edizione di questa Sezione, "che tratta il soggetto più complicato dell’intero Libro", egli incontrò le difficoltà maggiori perché non disponeva come per le altre di "un abbozzo completo e neppure uno schema i cui contorni fossero da completare, bensì solo di un inizio di stesura che più d’una volta sbocca in un disordinato cumulo di notizie".

[15]  Prefazione del 1894 al Libro III de il Capitale, Editori Riuniti, pagg. 20 - 21, (sottolineato da noi). Si badi bene al senso esatto di questo passo di Engels che potrebbe rallegrare gli "antidogmatici", tanto superficiali nel loro campo quanto gli economisti volgari lo sono nel proprio. Non esclamino troppo presto: "Avevamo ben ragione, il marxismo non è che un metodo il quale permette di analizzare fatti nuovi e imprevedibili"! La dialettica materialista non è soltanto un metodo, ma è anche questo metodo applicato, cioè i risultati che esso raggiunge; è dunque, nello stesso tempo, il metodo che permette di raggiungere una coerente e realistica rappresentazione del movimento delle società umane e questa stessa rappresentazione. Ora afferrare il movimento in corso significa prima di tutto prevedere dove esso conduce. Se il "metodo" non ha potuto permettere di raggiungere questo risultato come credono i "marxisti creatori", pronti ad esibire delle novità teoriche fondamentali incompatibili col marxismo classico, allora il minimo di rigore esigerebbe che si respingesse lo stesso metodo.

[16]  L’oro e l’argento hanno cessato da molto tempo di “inabitare la sfera del piccolo commercio”, ma è bene notare che “la sfera delle grandi transazioni commerciali” ne ha fatto a meno molto prima: la moneta di credito è caratteristica del grande capitalismo.

[17]  Supponiamo che il commerciante A abbia ottenuto una consegna di merci dal commerciante B, il quale gli consente un credito di 3 mesi. A si impegna a pagare la somma convenuta a B alla scadenza e rimette a quest’ultimo una tratta da lui firmata. B, portatore della tratta, può girarla, cioè estinguere con essa un debito che aveva nei confronti di C: scriverà dietro la tratta “vogliate pagare all’ordine di C”, daterà e firmerà. C potrà fare lo stesso nei confronti dei suoi creditori, ecc., ecc...

[18]  A ha firmato una tratta a favore di B per un ammontare di 100.000 lire, ma le vicissitudini della circolazione degli effetti di commercio (vedremo che il sistema bancario fa di queste vicissitudini una regola) hanno voluto che egli ricevesse una tratta firmata da B per un ammontare di 50.000 lire, per es.,: alla scadenza, A potrà liberarsi del suo debito con 50.000 lire e con la tratta girata su B 50.000 lire basteranno laddove pagamenti in contanti avrebbero richiesto la presenza reale di una somma di denaro di 150.000 lire. Come si vede le tratte in circolazione hanno sostituito assolutamente 100.000 lire nel nostro esempio e hanno quindi costituito del denaro per questa somma entro un lasso di tempo determinato. “In quanto si annullano, compensando definitivamente debito e credito, (le tratte) funzionano integralmente come denaro” (Il Capitale, Libro III, Sez.V, cap. 25, Ed. Riuniti, pag.473).

[19]  Oggi in ogni paese esiste una sola banca emittente, generalmente controllata dallo Stato, e i cui biglietti hanno corso legale, cioè devono essere obbligatoriamente accettati in pagamento, qualunque sia la somma dovuta. Ritorneremo più oltre sulla famosa questione della "copertura aurea" delle banconote emesse:  per ora osserviamo che il fatto che una sola banca le emetta non cambia nulla alla questione e ben poco al meccanismo: le banche che desiderano "monetizzare" dei crediti che sono stati loro rimessi, devono a loro volta riscontrare questi crediti presso l’istituto di emissione che recita in qualche modo la parte di "banca delle banche".

[20]  Vedere in particolare Il Capitale, Libro III, Sezione V, cap. 28, (Mezzi di circolazione e capitale, concezione di Tooke e Fullarton) Ed. Riuniti, pp. 525-547 e cap. 34 (Il Currency Principle e la legislazione bancaria inglese del 1844), ivi pp. 641-661.

[21]  E le aggiunge altri vantaggi pratici. Il biglietto è stampigliato in cifre tonde, il suo valore nominale è fisso mentre quello della tratta aumenta man mano che ci si avvicina alla scadenza, infine la sua circolazione è più semplice e anche più lunga di quella della cambiale. Si deve tuttavia notare che il biglietto non assolve direttamente la funzione di misura dei valori, in quanto, in quest’ultimo ruolo, non serve che di intermediario all’oro al quale resta legato da una definizione legale implicante una convertibilità teorica (e solo teorica perché in caso contrario si ritornerebbe al biglietto semplice segno d’oro e non si tratterebbe dunque più di biglietto di banca).

[22]  Indichiamo, rapidamente, l’evoluzione storica che si è prodotta in diversi paesi di fronte a questo problema. La Francia, di cui Keynes lodava la regolamentazione monetaria nel suo Treatise on money, è successivamente passata attraverso le seguenti fasi. 1800: i biglietti sono convertibili in oro, nessun limite è imposto alla loro emissione. 1848: istituzione del corso forzoso, cioè soppressione della convertibilità libera e istituzione di un limite all’emissione. 1850: ritorno alla situazione del 1800. 1870: corso forzoso e limite. 1878: ristabilimento della convertibilità, ma istituzione di un limite variabile d’emissione, da determinare in rapporto ai bisogni dell’economia. 1914: corso forzoso e rialzo, a più riprese, del limite. 1928: convertibilità solo in lingotti (Gold Bullion Standard) e istituzione di un limite all’emissione delle banconote e all’ammontare dei conti correnti creditizi (torneremo più oltre sulla questione, a proposito del credito bancario in senso proprio), limite fissato in modo che venga assicurata una copertura aurea del 35 per cento. 1936: soppressione della convertibilità, mantenimento della regola del 35 per cento, ma attenuata dal gioco delle svalutazioni. 1939: soppressione della regola del 35 per cento. Nel 1945 la Banca di Francia viene nazionalizzata ma non si ristabilisce la regola del 35 per cento: nessun limite è fissato all’emissione dei biglietti di banca e all’apertura dei conti correnti creditizi. Si deve notare che la convertibilità può esistere solo nella misura in cui i portatori di banconote non si avvalgano simultaneamente del loro diritto di convertirle in oro, poiché le riserve esistenti non possono mai far fronte, evidentemente, a tali pretese.

In Inghilterra si è passati dall’Atto di Peel del 1844 (copertura aurea del 100 per cento) ad una situazione che, le banconote coperte al 100 per cento costituendo una frazione minima della circolazione, equivale a quella descritta or ora.

Negli Stati Uniti è stata mantenuta a lungo la regola di una percentuale minima, ma si è dovuto a volte impedire alle banche di emettere banconote fino a concorrenza di questa percentuale perché c’era troppo oro. Nel 1945 si è ridotta la percentuale di copertura, che è passata dal 40 o 35% secondo i casi al 25% solamente. 1965: soppressione di qualsiasi copertura per i depositi delle banche alla Federal Reserve. Infine, nel 1968, soppressione anche della copertura dei biglietti di banca della circolazione interna (Notizie tratte da Monnaie et crédit, di Jean Marchal).

[23]  Il profitto bancario deriva evidentemente dal fatto che l’interesse fornito a chi dà a prestito è inferiore a quello imposto a chi prende a prestito.

[24]  Per queste due ultime questioni, si veda La circolazione del capitale o le metamorfosi del capitale nella II parte di questo rapporto. Marx studia a fondo gli effetti della rotazione del capitale nella Sezione II del Libro II (Ed. Riuniti, pp.157-360) e nel cap.IV della I Sezione del Libro III (Ed. Riuniti), pp. 101-109).

[25]  Le casse di risparmio, che non sono banche nel senso stretto del termine, recitano tuttavia, ai margini del sistema bancario ufficiale, un ruolo equivalente.

[26]  La necessità di attenerci in questo rapporto al tema principale ci impedisce di trattare la questione fondamentale della formazione di un saggio di profitto medio e quella della tendenza alla caduta di questo saggio medio. La stampa di Partito ha del resto ripetutamente trattato tali questioni insistendo sulle loro conclusioni rivoluzionarie, che vanno in controsenso a tutte le teorie "evoluzioniste" emananti dall’Occidente o dall’Oriente. L’esistenza di un saggio di profitto medio è in sostanza la manifestazione tangibile del fatto che il capitale agisce come un tutto al di là delle determinazioni particolari delle sue parti; da questo punto di vista, il sistema bancario si presenta come l’espressione organizzata di questa totalità (Il Capitale tratta del profitto medio nella II Sezione del Libro III, Ed. Riuniti, pp. 181-254, e della caduta tendenziale del saggio di profitto nella Sezione III, ibid., pp. 259-313).

[27]  Il Capitale, Libro II, Sezione II, cap. XVII, Ed. Riuniti, pp. 363. Si noti che Marx aggiunge: "D’altra parte non ci si devono fare delle idee mistiche sulla forza produttiva del sistema creditizio in quanto esso rende disponibile o mette in circolazione del capitale monetario".

[28]  Clearing House, stanza di compensanzione; organismo che permette alle diverse banche di scambiare periodicamente i crediti di cui dispongono reciprocamente l’una sull’altra: soltanto il saldo dà luogo ad un regolamento. La Clearing House di Edimburgo risale al 1760.

[29]  Per la banconota o biglietto di banca, vedere il capitolo del presente rapporto intitolato: La moneta di credito. Le notizie tecniche qui utilizzate derivano da J. Marchal, Monnaie et crédit. Marx utilizza esempi tratti dalla pratica bancaria della sua epoca; vedere in particolare Il Capitale, Libro III, Sezione V, cap. XXIX e XXXIII.

[30]  Designando con a il tasso di copertura, con b la frazione dei nuovi depositi che resta nella circolazione dei biglietti, e con m il moltiplicatore di credito, si ha: m = 1 / a + b .

[31]  Qui dovrebbe trovar posto la questione della moneta internazionale che meriterebbe un lungo sviluppo. Essa però è già stata trattata ripetutamente nella stampa di partito e qui noi non ne parleremo. Osserviamo soltanto che i circuiti bancari interni e internazionali sono complementari e che, se l’oro è "moneta universale per eccellenza", negli scambi internazionali le compensazioni introdotte nel trattamento dei crediti dal sistema bancario sono la norma. Soltanto il saldo delle bilance dei pagamenti dei diversi paesi è oggetto di movimento di fondi; inoltre gioca qui nuovamente il fenomeno della "smaterializzazione": una moneta nazionale, quella degli USA nel caso specifico, sostituisce in date circostanze l’oro.

[32]  "All’interno della società collettivista, fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti: tanto meno il lavoro trasformato in prodotti appare qui come valore di questi prodotti, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, in contrapposto alla società capitalistica, i lavoratori individuali non esistono più come parti costitutive del lavoro complessivo attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto" (Critica del Programma di Gotha, in Marx-Engels, Il Partito e l’Internazionale, Ed. Rinascita 1948, pag. 230).

 

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