I compiti del partito

 

Un partito tutto svincolato dalle basi di lotta del proletariato e proteso alla continua ricerca di legami con la piccola borghesia e con l'aristocrazia proletaria, non può che subirne l'iniziativa e prospettarsi compiti extra-proletari, o meglio democratici. Tali compiti sono ancor più reazionari dell'alleanza del grande capitale con queste mezze classi. Già il Manifesto dei Comunisti del 1848 sottolineava le stigmate reazionarie della piccola borghesia. La Rivoluzione d'ottobre non vinse alleandosi con la piccola borghesia, ma contro la piccola borghesia russa e le sue espressioni politiche, rappresentate dall'opportunismo in generale.

Nei paesi industrialmente sviluppati, la piccola borghesia non esprime alcun motivo di lotta seria e conseguente, e non può essere oggetto di alleanza col proletariato. Il proletariato ha interesse ad allearsi solo con classi rivoluzionarie, con strati che esprimono una volontà di lotta anti-capitalista, come i contadini senza terra e senza scorte, i giornalieri agricoli.

Secondo l'opportunismo, invece, i partiti comunisti devono battersi «...per estendere i diritti e le libertà democratiche del popolo, senza rinviare tutto ciò fino alla vittoria del socialismo».

Prima di tutto, è falso che il socialismo produca diritti e libertà democratiche, in quanto è l'incarnazione della dittatura proletaria, la negazione cioè alle classi vinte della libertà di esprimersi e di organizzarsi in partiti, cioè dei diritti legali e rappresentativi. In quanto regime proletario, esso non potrà consentire a chicchessia di tentar di ricreare le condizioni della produzione capitalistica; cioè non permetterà mai, se occorre con la violenza aperta, il rifiorire della piccola produzione. E quand'anche le condizioni particolari di un paese arretrato imponessero questa evenienza, i comunisti si comporterebbero come i bolscevichi in Russia: controllando la piccola produzione e non concedendo alcuna libertà ai piccoli produttori, subordinati alla dittatura proletaria attraverso lo Stato e il partito comunista.

Non mai libertà per il popolo, dunque, in quanto il proletariato non deve ad altri conquistare alcuna libertà, ma solo a se stesso le condizioni necessarie per liberarsi dal capitalismo.

E' ugualmente falso che i diritti e le libertà democratiche possano conquistarsi nei paesi industrialmente progrediti, in quanto in essi la spirale della centralizzazione del capitale espelle per legge economica, quindi non modificabile nell'ambito del regime capitalista, la piccola borghesia, proletarizzandola.

E' altresì falso che «le premesse alla soluzione dei compiti della rivoluzione socialista» siano costituite dal «fronte unitario di tutte le forze democratiche e patriottiche della nazione, che si battono per la conquista rivoluzionaria di una vera indipendenza nazionale e della democrazia». Le premesse al socialismo sono costituite dallo sviluppo capitalistico della produzione, di cui l'indipendenza nazionale è soltanto un fattore soggettivo alle origini della borghesia, ma perde la sua consistenza storica mano mano che il capitalismo si trasforma in capitalismo monopolistico, in imperialismo. In virtù di questa sua natura, scoperta da Marx ancor prima che nascessero ì teorici dell'imperialismo, la rivoluzione proletaria comunista assume caratteri internazionali. Il modo di produzione capitalista è unitario.

 

" Sacri furori " democratici

 

Ma l'espressione opportunista racchiude il punto centrale che al socialismo si debba pervenire soltanto dopo aver fatto una «vera» rivoluzione piccolo-borghese cui si attribuisce la possibilità di smantellare l'unica conquista del capitalismo, giusta la lezione di Marx e Lenin: la socializzazione della produzione. Il capitalismo di stato rappresenta la condizione più favorevole per saltare al socialismo.

Per l'opportunismo: oltre i monopoli, la vera democrazia!

Per Marx e Lenin: oltre i monopoli, il socialismo!

E' chiaro che le due espressioni poggiano e fanno leva su classi del tutto diverse; l'opportunista sulla piccola borghesia, la marxista sul proletariato, unica classe interessata fino in fondo al socialismo.

Tutto il Manifesto suino è pervaso da questo sacro furore democratico, nel quale, di conseguenza, primeggia l'elemento piccolo-borghese; mai vi si parla di distruzione della proprietà privata, dello stato borghese, delle forme capitalistiche. Si bercia contro i monopoli che «cercano di distruggere e di limitare al massimo i diritti democratici delle masse popolari», fingendo di dimenticare che il capitale è esso stesso «monopolio», forma esclusiva negli odierni rapporti della produzione sociale. E' ridicolo, quindi, pensare al socialismo, dimenticando che esso significa prima di tutto distruzione dei rapporti sociali e delle forme capitalistiche.

Le lacrime sul parlamentarismo, contro cui si lanciò la sinistra comunista mondiale con a capo Lenin, vorrebbero attribuire una patente di verginità politica alla megera democratica, vera mezzana fra opportunismo traditore e capitalismo.

Fecondo i traditori, la necessità di rinverdire la democrazia nascerebbe dal fatto che «la classe operaia, i contadini, gli intellettuali, la piccola e media borghesia delle città, sono profondamente interessati alla liquidazione dei monopoli».

E' un saggio di che cosa sarebbe il «popolo», calderone in cui si mescolano autentiche classi come il proletariato, e mezze classi come la piccola e media borghesia, e dove non si opera alcuna distinzione sociale fra i contadini, essendo per l'opportunismo indifferente una netta separazione tra il bracciante agricolo, il giornaliero, il coltivatore diretto (contadino povero), il contadino senza terra, il piccolo medio proprietario, il salariato agricolo. Per dei «concretisti», è grave questa assenza di distinzioni! Ma l'opportunismo sa distinguere solo al livello politico, sa riconoscere le immancabili situazioni «nuove», ma non riesce a distinguere le classi, e preferisce per daltonismo politico fare di tutto un guazzabuglio, che chiama democraticamente «popolo». Gli intellettuali, poi, come i giovani, non sono classi, né tanto meno categorie a se stanti. Gli intellettuali, come la Scienza, la Tecnica ecc., sono al servizio del capitalismo, che li corrompe con una cattedra, una prebenda, una commenda.

A questo calderone gli «operai sarebbero profondamente interessati», quando invece sono obbligati a distruggere i monopoli non come livello elevato della produzione, ma come forma sociale. E' però altrettanto chiaro che questo compito storico deriva dalla natura anticapitalista del proletariato, dalla sua funzione rivoluzionaria, sovvertitrice dell'ordine sociale vigente, dalla sua finalità storica di distruzione del capitalismo.

 Gli scopi, invece, che inducono la piccola e media borghesia a caldeggiare una lotta antimonopolistica, sono di natura schiettamente... capitalistica.

Queste semi-classi vorrebbero, sì, che si abbattessero i monopoli per sostituirli magari con un capitalismo di stato, ma che fosse al loro servizio, che fungesse da strumento per trasferire plusvalore nelle loro tasche, come in parte, e per un certo verso, staaccadendo nella Russia «socialista». Questo è il socialismo della piccola-borghesia, avallato e vagheggiato dall'opportunismo!

Ma è altrettanto vero che un tale socialismo non esiste, anche se qualunque capitalismo ha interesse ad allevare e riprodurre uno strato di piccola borghesia che serva da cuscinetto ed ostacolo nei confronti della rivoluzione. Come nel sistema capitalista non esistono forme pure di produzione, così non esiste un capitalismo puro che abbia eliminato ogni strato sociale intermedio.

Ecco l'utopismo piccolo-borghese: immaginare una società fatta a sua immagine e somiglianza, in cui lo stato sia il padre eterno che provvede a tutti dall'alto della sua somma giustizia! Quando gli 81 dicono di ritenere che l'alleanza del proletariato con i ceti di cui sopra «sia del tutto realizzabile sulla base della lotta per la pace, per l'indipendenza nazionale, per difendere e sviluppare la democrazia, per nazionalizzare i settori-chiave dell'economia e democratizzarne la gestione, per indirizzare tutta l'economia a fini di pace, soddisfare le esigenze vitali della popolazione, realizzare radicali riforme agrarie, migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, difendere gli interessi dei contadini, della piccola e media borghesia urbana dall'arbitrio dei monopoli», il marxismo risponde ch'essa non solo non aiuterà a raggiungere il socialismo, ma fallirà agli stessi compiti per cui la si propone.

 

Negazione del ruolo storico del proletariato

 

Il piano reazionario di coinvolgere storicamente il proletariato nelle mire utopistiche e reazionarie della piccola borghesia tramite l'opportunismo, mentre non approda ad alcuna soluzione favorevole alla stessa piccola-borghesia, ritarda lo sviluppo delle favorevoli condizioni della lotta di classe per i proletari. Dire che: «I comunisti considerano la lotta per la democrazia parte integrante della lotta per il socialismo» è rinnegare le fondamenta stessa del marxismo.

Si nega il ruolo di protagonista al proletariato facendone dipendere la vittoria non dall'esercizio indefesso ed incorrotto delle sue armi tradizionali di lotta, ma dall'alleanza con forze reazionarie piccole e medie-borghesi.

In fondo, l'attuale ondata opportunista non ha fatto che plagiare nella sostanza tutte le precedenti, vergognandosi soltanto - per un ultimo residuo di pudore - di chiamare le cose col nome che fu loro attribuito dai predecessori. L'alleanza proposta dagli 81 ricopia in tutto i famigerati fronti unici coi socialdemocratici al livello politico e addirittura statale, come fu il caso dell'altrettanto famigerata parola d'ordine del «governo operaio», che naufragò miseramente in Turingia e Sassonia. Il fronte unico si trasformò successivamente in fronte popolare, cioè si estese anche alla media borghesia, fino ad assumersi, come in Francia, la difesa aperta dello stato, e quindi delle sorti storiche del capitalismo. Anche allora i sedicenti partiti comunisti proclamarono la necessità ineluttabile dell’alleanza del proletariato con altre classi, sostenendo che essa avrebbe favorito e facilitato il corso della rivoluzione, quando è ormai incontrovertibile, per la dura lezione dei fatti, che tutto ciò preludeva soltanto all'ulteriore disarmo del proletariato in vista della seconda guerra imperialista.

 Nessuna alleanza del proletariato e della piccola e media borghesia, come nessuna alleanza con l'aristocrazia operaia, ha fatto fare alla rivoluzione un solo passo avanti. E' invece dimostrato dalle dure e sanguinose lezioni del passato anche recente, che siffatte pseudo-manovre hanno soltanto contribuito alla conservazione sociale, a far indietreggiare di decenni l'avvento della rivoluzione proletaria.

 

I  blocchi

 

Ancor oggi la pratica deleteria della Seconda Internazionale e della Internazionale due e mezzo di gettare ponti di ogni genere, impastati di generico umanitarismo e per qualunque alleanza, prevale. Si chiedono «azioni comuni», «per la pace, il disarmo, ecc.» con la socialdemocrazia; ci si pronuncia «a favore della collaborazione con i partiti socialisti» distruggendo l'incessante opera svolta dai bolscevichi in tutto il mondo per espellere dal corpo del proletariato rivoluzionario il virus ammorbante della socialdemocrazia.

In nome della democrazia e della pace, il nemico cacciato dalla porta viene riammesso dalla finestra: «Gli interessi della causa della pace e del progresso sociale esigono il ripristino, su scala nazionale e internazionale, dell'unità di tutti i movimenti democratici di massa. L'unità delle organizzazioni di massa può essere raggiunta solo sul terreno dell'unità d'azione nella lotta per il mantenimento della pace e dell'indipendenza nazionale, per la salvaguardia e l'estensione dei diritti democratici, per il miglioramento delle condizioni di vita e l'ampliamento dei diritti sociali dei lavoratori...».

«Gli interessi fondamentali del movimento operaio esigono imperiosamente che i partiti comunisti e socialdemocratici si incamminino sulla strada di azioni comuni sul piano nazionale e internazionale allo scopo di ottenere l'immediato divieto della fabbricazione e dell'impiego delle armi nucleari e dei relativi esperimenti, la creazione di zone disatomizzate, la realizzazione del disarmo generale e completo sotto controllo internazionale, lo smantellamento delle basi militari nei territori altrui, il ritiro delle truppe straniere, l’aiuto al movimento di liberazione nazionale dei popoli dei paesi coloniali e dipendenti.  Ugualmente sono necessarie azioni comuni per garantire la sovranità nazionale, per rafforzare la democrazia e respingere il pericolo del fascismo, per elevare il tenore di vita dei lavoratori, per ridurre la settimana di lavoro ferme restando le retribuzioni, e così via».

La sinistra marxista internazionale, in particolare in Italia, ha sempre respinto qualunque pratica di blocchi con partiti, o frazioni di partiti, sedicenti operai; ha sempre rifiutato alleanze con partiti, frazioni, o ali di partiti o movimenti, che falsamente si richiamassero al movimento proletario. Allorquando simile pratica fu inaugurata, la sinistra si oppose e ne denunziò apertamente il carattere deviazionista e i gravi pericoli in essa impliciti. I fatti successivi dimostrarono la giusta posizione della sinistra: l'Internazionale sprofondò sempre più nel collaborazionismo di classe fino a sciogliersi durante la seconda guerra imperialista a favore dell'imperialismo mondiale.

La giustificazione di tale scioglimento - non avendo ormai più alcun valore proletario l'esistenza di un organismo già morto alla lotta rivoluzionaria che ogni partito sedicente comunista o operaio dovesse sacrificare la solidarietà internazionale a favore dell'unione sacra col capitalismo del rispettivo paese per il compito «principale» della guerra «antifascista», equivalse a riconoscere il principio della difesa della patria alla stessa stregua dei partiti aderenti alla Seconda Internazionale. Siffatto metodo è un aperto tradimento della rivoluzione, come lo denunciò Lenin dopo il crollo vergognoso dei partiti sedicenti socialisti a favore della guerra imperialista.

Lenin e tutta la sinistra comunista internazionale salutarono la scissione dai socialdemocratici come un salutare processo di epurazione del movimento operaio dalla malattia opportunista. Gli 81 se lo rimangiano:

«La classe operaia di molti paesi capitalistici, dopo avere superato la scissione nelle proprie file e aver conseguito l'unità d’azione di tutti i suoi settori, potrà infliggere un duro colpo alla politica dei circoli governativi dei paesi capitalistici e costringerli a cessare la preparazione di una nuova guerra, potrà respingere l'offensiva del capitale monopolistico e assicurare il soddisfacimento delle sue più vitali e urgenti rivendicazioni democratiche»!

 

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