Responsabilità storiche dell' opportunismo.

 

L'attuale crociata opportunista, controparte della crociata anticomunista condotta di concerto da Stati notoriamente maturi per la distruzione rivoluzionaria, si è fatta la restauratrice dell'ordine borghese là dove favorevoli predisposizioni storiche indicavano il punto più debole dello schieramento capitalistico mondiale, com'è il caso dei paesi dell'Europa in generale e dell'Europa centrale in particolare, spezzando in tal modo la luminosa tradizione proletaria rivoluzionaria.

Quest'opera di restaurazione economica e politica del capitalismo, dopo essere passata attraverso l'evirazione dei sussulti proletari all'indomani della II carneficina imperialistica (alla quale il proletariato mondiale diede il massimo contributo di sangue dei suoi trenta milioni di figli) diffondendo il terrore della miseria e della fame, della distruzione e delle epidemie, ed essere culminata nelle luminose giornate della Comune di Berlino del '53, episodio di autentico eroismo proletario che smascherava la natura capitalistica dello Stato russo e il suo connubio coi massimi centri del famigerato capitalismo occidentale, imponeva ai proletari il peso gigantesco della ricostruzione dell'apparato produttivo in funzione capitalistica, mentre i partiti del neo-opportunismo si univano a quelli dell'opportunismo socialdemocratico nel fungere da gendarmi nell'appianare le lotte economiche del proletariato contro il padronato, affidando ai sindacati funzioni aperte di intermediazione nei conflitti di classe, e facendosi alfieri della pacificazione, dell'unità nazionale, della ricostruzione della patria, della pace religiosa, dell'integrità della famiglia: cioè delle forme e del meccanismo dell'oppressione borghese.

Ancora più nefasta e reazionaria si è dimostrata l'opera dell'opportunismo allorché ha preteso di definire socialista la trasformazione piccolo-borghese di alcuni importanti settori produttivi, quali l'agricoltura, dove si è voluto spezzare l'accentrata organizzazione economica della moderna azienda agricola capitalistica che costituisce per il marxismo e per lo stesso Lenin la soglia del socialismo, ripartendone le terre, gli strumenti e i capitali in proprietà parcellare, nascosta sotto la forma di produzione cooperativa, di natura pre-capitalista, e così rigenerando una schiera di piccoli borghesi là dove il capitalismo li aveva, con incessante moto centralizzatore, costretti a proletarizzarsi e quindi a perdere il loro peso politico.

La ripartizione delle zone di influenza fra Occidente ed Oriente capitalistico, fra gli Stati vincitori del II conflitto imperialista, provocava scientemente la divisione territoriale e politica della nazione più potente dell'Europa, la Germania, in aperto contrasto col principio di nazionalità conquistato dalla stessa borghesia nelle sue rivoluzioni nazionali. Le contraddizioni del sistema capitalistico sono tali da distruggere perfino le tappe storicamente utili percorse dalla borghesia. L'aver gabellato per socialista uno Stato artificiosamente costituito su un troncone nazionale e territoriale, svergogna il «principio» opportunista che il compito principale dei partiti comunisti debba essere di salvaguardia della unità nazionale, dalle stesse grandi potenze dei due blocchi capitalisti frenata e distrutta, ed oggi addirittura ritenuta ostacolo alla «pace» mondiale. Ciò riprova la giusta posizione marxista che in Occidente e, in genere, nei paesi già pervenuti al capitalismo pieno, le guerre nazionali non sono più possibili.

L'unificazione della Germania sarà quindi opera della rivoluzione proletaria europea e mondiale e solo di essa, nell'ambito della futura Unione delle Repubbliche Socialiste; prima e provvisoria tappa verso la soppressione di ogni e qualunque delimitazione razziale, nazionale, regionale, della specie umana.

L'opportunismo pretende che la futura società socialista conservi intatte le barriere nazionali, affidando la produzione alla «divisione internazionale del lavoro» e alla «coordinazione dei piani economici nazionali», in maniera del tutto uguale alla utopistica prospettiva classica borghese degli «Stati Uniti d’Europa», vagheggiata dalle stesse potenze imperialistiche.

 

L'utopia degli Stati indipendenti e sovrani

 

 

 E' lezione marxista già acquisita dalla Sinistra che il socialismo spingerà fino all'abolizione della divisione del lavoro la tendenza già in atto nella forma capitalistica di produzione di ridurre il lavoro complesso a lavoro semplice, introducendo un'alta meccanizzazione delle operazioni produttive. Di conseguenza, la produzione sociale ed umana sarà prevista non da piani nazionali né supernazionali, ma da un unico piano generale che comprenda tutte le risorse e le forze produttive della terra.

Rientra pure nell'utopia piccolo-borghese la fraseologia dei «popoli liberi e sovrani» e della «parità di diritti e indipendenza di ogni paese». Nel socialismo non saranno popoli, tanto meno divisi; non vi sarà quindi esercizio di alcuna libertà, sovranità, autonomia e indipendenza.  Nel socialismo si dissolveranno gli antagonismi di classe, sparendo le classi stesse con tutte le sovrastrutture accumulatesi nei secoli, e perciò anche gli antagonismi nazionali fuori luogo e fuori tempo. Il concetto di nazionalità ha preso corpo nella società divisa in classi; e pertanto dovrà sparire nella società senza classi. La pretesa reazionaria dell'opportunismo di unificare «l'internazionalismo e il patriottismo», caratteristiche contraddittorie pertinenti l'una al proletariato e l'altra alla borghesia, testimonia a quale grado di corruzione borghese esso sia giunto. In siffatto modo si vorrebbero conciliare due classi irriducibilmente nemiche nella società. Il socialismo sarà la conseguenza non di un pateracchio fra classi quali che siano, ma della vittoria del proletariato internazionale.

Il conciliazionismo e l'interclassismo restando la formula su cui l'opportunismo poggia, in perfetto sincronismo fascista, le sue periodiche fortune.

 

L'epoca della rivoluzione socialista

 

L'epoca moderna, come fu definita dallo stesso Lenin, è l'epoca delle rivoluzioni socialiste e delle guerre imperialiste.

La falsa definizione opportunista secondo cui il «contenuto fondamentale della nostra epoca consiste nel passaggio dal capitalismo al socialismo» contrasta apertamente con la realtà dei rapporti sociali totalmente dominati dalle forme capitalistiche.

Ogni passaggio da una forma di produzione a un'altra presupporle necessariamente una distruzione rivoluzionaria, vittoriosa alla scala mondiale o almeno nei paesi più importanti, delle vecchie forme. La rivoluzione socialista d'ottobre ha quindi aperto l'èra delle rivoluzioni proletarie, anche se queste sono momentaneamente battute dalla controrivoluzione borghese, mentre noi il fatto che la rivoluzione russa abbia sofferto di una involuzione che ne ha limitato lo slancio a obiettivi sempre rivoluzionari ma di natura democratico-borghese, costituisce la riprova del carattere internazionale della rivoluzione comunista e dell'assoluta impossibilità che essa possa mantenere il potere politico conquistato in un unico paese, per progredito che sia. Di ciò Lenin e il partito bolscevico e l'Internazionale rivoluzionaria ebbero così lucida coscienza, da dichiarare definitivamente vittoriosa la rivoluzione in Russia alla insopprimibile condizione che una nuova ondata rivoluzionaria avesse spezzato il più resistente fronte capitalista occidentale; vera roccaforte della controrivoluzione, e così rotto l'accerchiamento borghese intorno alla Repubblica Socialista di Russia.

Non verificandosi questa necessaria evenienza, e soccombendo l'Internazionale e il Partito a compiti storici di costruzione di strutture capitalistiche in Russia, si spezzava la continuità della linea rivoluzionaria; qualunque sussulto di classe fosse avvenuto non si sarebbe trasformato in assalto rivoluzionario delle masse proletarie alla cittadella borghese, in mancanza di una guida e di una prospettiva comunista mondiale.

La degenerazione della rivoluzione russa e dell'Internazionale, che aprì le porte alla perdurante ondata opportunistica, favorì la ripresa del capitalismo alla scala mondiale. In virtù del tradimento opportunista il capitalismo riuscì a superare profonde crisi di superproduzione, come quella storica del venerdì nero del 1929 e quella successiva scioltasi nel II conflitto imperialista.

 La vergognosa defezione dei partiti non più comunisti fu la causa prima del soffocamento, nel sangue dei proletari di Canton della rivoluzione cinese, in quel delicato svolto storico, fattore di decisiva rottura del cordone imperialista stretto intorno alla rivoluzione d'ottobre, che avrebbe oltremodo allargata l’area geo-politica della rivoluzione mondiale comunista, com'era nelle previsioni marxiste di Lenin. Questi, infatti, intravedeva in una guerra «santa» delle nazioni asiatiche contro l'imperialismo, il filo conduttore dell'incessante moto rivoluzionario che avrebbe saldato l'Ottobre rosso alla ripresa in occidente.

L'attuale consegna unitaria di obiettivi democratici, data al movimento operaio dai partiti opportunisti, cozza altresì con la visione dialettica marxista della rivoluzione mondiale che, per parte proletaria, può utilizzare le stesse rivoluzioni nazionali borghesi, le guerre di indipendenza nazionale delle giovanissime nazioni africane ed asiatiche, alla sola condizione che esista e sia efficiente il partito unico comunista mondiale del proletariato rivoluzionario, il quale guidi questi assalti socialmente limitati alle centrali dell'imperialismo mondiale collegandoli all'offensiva congiunta del proletariato bianco.

Ben altra linea segue oggi il proletariato mondiale, opposta a quella testé prevista e prospettata dalla sinistra marxista: perciò alla lotta violenta nelle ex-colonie corrisponde nelle metropoli una generale stasi del proletariato, traviato dalla pratica democratica, parlamentare e legalitaria, illuso dall'opportunismo di sciogliere le questioni fondamentali di classe nell'ambito della società capitalista e nel tentativo di riformarla a suo favore conquistandone lo stato, i comuni, e le istanze esecutive inferiori.

Le rivoluzioni nelle ex-colonie testimoniano di questa aperta contraddizione, allorché istituiscono il loro potere di classe non attraverso connubi parlamentari e consensi maggioritari, ma distruggendo lo stato delle classi avverse e sostituendolo con uno che corrisponda ai loro interessi sociali e politici. E' principio fondamentale marxista che lo stato borghese non si conquista ma si distrugge, per sostituirlo - come ne dettero chiaro esempio i bolscevichi russi - con la macchina statale del proletariato. Si legga, invece di quanto sopra, la «prospettiva» del Manifesto del tutto borghese degli 81:

«La situazione storica attuale tende a creare in molti paesi condizioni interne ed internazionali favorevoli alla costituzione di uno Stato indipendente a democrazia nazionale, cioè di uno Stato che difenda coerentemente la propria indipendenza politica ed economica, lotti contro l'imperialismo e i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazioni, di organizzazione in partiti politici e associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento delle altre rivendicazioni nel campo delle trasformazioni democratiche e sociali, la possibilità di partecipare alla determinazione della politica statale. Ponendosi sulla via della democrazia nazionale, questi stati hanno la possibilità di svilupparsi speditamente sulla via del progresso sociale, di assolvere una funzione attiva nella lotta dei popoli per la pace, contro la politica aggressiva del campo imperialistico, per la liquidazione completa del giogo coloniale».

Non una parola sui compiti rivoluzionari del proletariato metropolitano!

Così pure non si conquistano Regioni, Provincie, e Comuni, per adattarli ad un contenuto rivoluzionario proletario. Il proletariato esprime, ogni volta che il maturarsi della lotta lo richieda, i suoi organismi di classe coi quali sostituire i vecchi strumenti della borghesia sconfitta. Fare anche solo intravvedere al proletariato l'assurda ipotesi di una «conquista» degli organi di Stato borghesi significa disarmarlo ed irretirlo nel tradizionale giuoco della democrazia corruttrice, ritardando così l'avvento della rivoluzione comunista.

 

 

 

Democrazia e fascismo

 

Questo inganno democratico, di natura strettamente piccolo-borghese e opportunista, suscitato cioè da interessi di classe estranei al proletariato e più precisamente emananti dalla piccola e media produzione e dall'aristocrazia operaia, - dagli operai meglio pagati e da strati di lavoratori privilegiati -, svisa la natura stessa del capitalismo, predicando apertamente che gli operai debbano preferire il regime democratico borghese a quello fascista. E' tale il grado di corruzione ideologica di cui è sostanziato l'opportunismo, che anche i punti e concetti ormai acquisiti dal movimento proletario vengono distorti e capovolti.

L'opportunismo di oggi, come quello di ieri rappresentato dal partito socialista, dalla socialdemocrazia in genere e dalle internazionali n. 2 e 2 e mezzo, definiscono il fascismo come una fra le tante correnti in seno alla borghesia, e nella fattispecie la corrente più reazionaria e retriva, quasi di tipo feudale, originata da particolari interessi dell'alta industria e dei proprietari fondiari.  Siffatta concezione cozza apertamente con la natura del fascismo che, esprimendo appunto gli interessi del grande capitale, rappresenta storicamente il modo di produzione capitalistico nella sua interezza e totalità. Perciò nessuna distinzione fu mai prospettata fra democrazia e fascismo, in quanto modi diversi di definire un unico contenuto economico e sociale e destinati a fondersi l'uno nell'altro quando le circostanze lo esigono.

Il fascismo nacque dalla democrazia, che lo allevò e coltivò nel suo seno, come suo prodotto naturale, e non si differenzia in nulla di sostanziale dalla democrazia, in quanto ambedue le forme sono riempite da rapporti capitalistici. Il fascismo rappresentò al suo nascere le endemiche insoddisfazioni della piccola-borghesia cui si rivolse, come al proletariato sconfitto, in termini riformistici con la demagogia dell'interclassismo, esaltando al tempo stesso la funzione equilibratrice dello stato che avrebbe dovuto fungere da supremo giudice al di sopra dei particolari interessi delle classi singole. Quindi, la forma interclassista del fascismo non si differenzia in nulla dalla democrazia, solo che viene rappresentata da un unico partito anziché da più formazioni politiche.

Il fascismo è caratteristica essenziale del capitalismo nella fase imperialistica, indipendentemente dalle nomenclature che può assumere di volta in volta al chiaro scopo di manovrare masse di uomini al servizio del sistema capitalista. Tale scopo è tanto palese che tutti gli stati democratici, usciti vittoriosi dalla «guerra antifascista», del fascismo hanno assunto tutte le caratteristiche e peculiarità. Si può anzi dire che il vero vincitore dell'ultimo conflitto mondiale sia stato il fascismo.

Anziché rallegrarsi dell'evoluzione in senso fascista della società capitalistica, in quanto essa rappresenta il massimo di concentrazione economica e di dittatura sociale e politica della borghesia, e quindi la fase più prossima alla sua morte, l'opportunismo grida allo scandalo e canta le lodi del regime democratico pretendendo di far girare indietro la ruota della storia. Infatti, l'alternativa opportunista è: democrazia o fascismo; come se le due forme facessero capo a due classi distinte, e perciò contrastanti tra loro. La classica alternativa del partito rivoluzionario comunista fu invece sempre, ed è: capitalismo o socialismo, per indicare ai proletari che il nemico da distruggere è uno solo, di là da ogni equivoca forma esteriore.

Su questa falsariga ha facile giuoco tutta la serie d'inganni e lacci tesi al proletariato, soprattutto nelle fasi, come l'odierna, di ripiegamento della rivoluzione mondiale.

 

Coesistenza e pacifismo sociale

 

E' essenziale, a questo riguardo, ricordare che dall'interclassismo deriva il pacifismo sociale.

Una volta ammessa la coesistenza di tutte le classi della società una accanto all'altra e in reciproco scambio, ne consegue che questa coesistenza, per sussistere, deve essere pacifica e svolgersi nel reciproco rispetto delle parti in causa. Così, per altro verso, l'opportunismo nega la lotta di classe riducendola a utopistica, eterna convivenza fra classi contrastanti.

Se, per Lenin, «vivere accanto» fra stati socialisti e capitalisti, era una forma di momentanea tregua della rivoluzione mondiale nella fase di riorganizzazione del proletariato dopo il primo assalto parzialmente vittorioso contro il capitalismo mondiale, per i partiti opportunisti che si spacciano eredi del marxismo-leninismo la «coesistenza» fra stati a diverso regime sociale diviene non solo pacifica, ma permanente, o peggio: «Base intangibile della politica estera dei paesi socialisti».

I principi, che si volevano inviolabili, non sono più quelli che scaturiscono dialetticamente dallo scontro storico fra il proletariato e tutto il mondo borghese e che si sono cristallizzati nel marxismo, ma soltanto quelli che di volta in volta servono di freno al moto rivoluzionario. Quindi non principi, ma rozzi diversivi.

Da questo rovesciamento dei termini scaturisce tutta la preoccupazione piccolo-borghese del pacifismo sociale, che suggerisce ai rappresentanti dell'opportunismo l'altrettanto demagogica e utopistica alternativa: «o coesistenza pacifica fra stati con diverso regime, o guerra devastatrice: questo è oggi il dilemma!».

Non un dilemma storico i cui termini siano vincolati a classi antagoniste, a società l'una contro l'altra armate, ma banale, risibile alternativa, tutta contenuta entro i limiti del sistema di produzione capitalistico.

Il capitale è sempre guerra fra stati, quando le crisi che lo dilaniano lo spingono a distruggere lavoro morto (ricchezza) e lavoro vivo (braccia umane), per poter riprendere il ciclo produttivo. Il capitalismo è sempre guerra di classe, virtuale o effettiva, perché vive su contrasti di classe. La guerra fra le classi, e a maggior ragione fra gli stati, non cesserà d'incanto quando il socialismo vincerà anche in una serie di paesi, poiché per incanto non cesseranno le contraddizioni di classe, anche se, allora, i rapporti politici si saranno capovolti.

 La violenza è la levatrice della storia e i comunisti rivoluzionari non si attendono dal capitalismo che non la usi. Al contrario, in date condizioni storiche favorevoli, sono essi i primi a incitare il proletariato alla violenza di classe per abbattere il regime nemico se tutta la struttura capitalistica della società è fondata sull'estorsione violenta di sopra-lavoro, il proletariato dovrà necessariamente usare la sua forza viva per affrancarsi da questo regime totalitario e tirannico.

Si può dunque scorgere un’altra linea di demarcazione fra opportunismo e comunismo nella caratteristica dell'uno di teorizzare i momenti di stasi del moto rivoluzionario, immancabili dopo ogni assalto proletario mancato, e in quella dell'altro di ricercare in ogni situazione i motivi di lotta di classe del proletariato e ritrovarne la congiungente per imprimere loro la prospettiva comunista.

Non nuovo, questo atteggiamento, neppure quando sì sviluppa in motivi di trito utopismo quali la pretesa di un «disarmo generale», - vera ricetta, per l'opportunismo, per «eliminare la possibilità stessa di condurre le guerre tra i paesi». Per esso, «le controversie ideologiche e politiche fra gli Stati non devono essere risolte con la guerra». Ciò è comune non solo alle aspirazioni della piccola borghesia e della aristocrazia operaia, ma anche, nei momenti di ripresa capitalistica e di minaccia di una prossima crisi di regime, al capitalismo in generale, che a giusta ragione intravvede in certi atteggiamenti dei partiti che monopolizzano il movimento operaio la garanzia che, quali che possano essere le soluzioni agli eterni problemi della produzione capitalistica, il proletariato sarà frenato o almeno costretto negli angusti limiti politici della società attuale. Il disegno opportunista, pur vecchio di oltre un secolo, è tuttavia ancora suscettibile di galvanizzare le masse lavoratrici, che non riescono a scorgerne l'inganno.

E' vero l'esatto contrario, che cioè le «controversie ideologiche», in quanto presuppongono contrasti di classe, in tanto divengono politiche, e implicano l'unica soluzione che la storia renda possibile: il prevalere dell'una classe sull'altra.

Finché vi saranno classi, la lotta fra loro é lotta violenta. Principio basilare del marxismo è non tanto l'aver scoperto la lotta di classe, già precedentemente riconosciuta da non-marxisti, quanto l'averne individuato il carattere violento e dittatoriale.

Perciò l'opportunismo svela la sua natura idealistica anche riducendo i contrasti di classe a mere disquisizioni ideologiche, teoriche e propagandistiche.

Una volta ancora si conferma che l'infezione democratica è la peggiore che il proletariato conosca. La sua violenta espulsione dal corpo storico della classe operaia è essenziale al trionfo del socialismo.

 

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