La «replica» che pubblichiamo - da noi scherzosamente definita «L'anti-suino» (con tutto il rispetto per la nobile razza dei maiali) - e che risponde alla maialesca «Risoluzione della Conferenza dei rappresentanti dei Partiti Comunisti e operai», è stata letta alla nostra riunione di Roma del 4-5 marzo, e noi la pubblichiamo integralmente fin da ora.

 

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Nel novembre del 1960 si sono riuniti a Mosca, in occasione del 48° anniversario della Rivoluzione d'ottobre, i rappresentanti di 81 partiti facenti capo al movimento operaio internazionale, tra cui partiti sedicenti comunisti. Le tragiche condizioni storiche del proletariato mondiale e il contenuto clamorosamente opportunista del manifesto steso da questa conferenza, impongono al movimento rivoluzionario comunista una ulteriore e spietata denuncia, per il momento affidata alla sola arma della critica, di quello che possiamo definire come il manifesto-programma internazionale, di cui gli 81 sono i più qualificati rappresentanti.

 

Immutabilità dei principi marxisti

 

Il contenuto teorico e storico dell'opportunismo è rimasto invariato dal giorno in cui il suo principale esponente, Proudhon, lo redasse al fuoco di ben altre battaglie, di gran lunga meno degradanti di quelle cui si vorrebbe costringere il proletariato dei nostri giorni. Marx confutò e derise spietatamente questi «principi» piccolo-borghesi, portando alla luce i principi rivoluzionari comunisti che mai mutò o parzialmente sostituì, neppure quando altre ondate opportuniste si levarono in seno al movimento operaio, per accreditare nuove forme infettive sotto il falso pretesto di «mutate condizioni oggettive».

La battaglia storica dei nostri maestri scavalcò epoche diverse, vide sorgere il proletariato come classe e la borghesia combatterlo sanguinosamente dopo averne sciolta l'alleanza anti-feudale; vide nascere e prosperare la rivoluzione industriale capitalistica e diffondersi e dilagare nel mondo; ne cantò l'esordio rivoluzionario, in quanto sconvolgeva i rapporti sociali tradizionali e spingeva sulla scena delle lotte di classe il nuovo protagonista della storia moderna, il proletariato industriale; ne descrisse le sanguinose vittorie su pacifiche popolazioni tribali; ne predisse la catastrofe e la morte violenta.

Ogni forma dal 1789 al 1871 rivestì la borghesia che, su questo corso necessario, vergò con pugno marxista l'epigrafe tombale.

In meno di un secolo il capitalismo percorse tutta la sua orbita, creò e, secondo che gli conveniva, distrusse ogni forma politica: dalla dittatura aperta e violenta dell'assalto alle Bastiglie del dispotismo assolutista in unione col nascente proletario, fino alla instaurazione del proprio monopolio di classe su tutta la società; dalla creazione delle libere istituzioni parlamentari nello slancio ultimo dei suoi istinti economici, fino alla soppressione di ogni garanzia costituzionale col gonfiarsi smisurato dello Stato, all'imperialismo di Luigi Bonaparte, fascista ante litteram; dalle feconde guerre rivoluzionarie e napoleoniche contro le alleanze assolutiste, fino alle alleanze coi nemici di ieri contro l'eroica canaglia dei Comunardi parigini nelle radiose giornate della gloriosa Comune; dalla rivoluzione fino alla controrivoluzione; dalla nascita al trionfo del proletariato.

La dottrina marxista, metodo storico del proletariato moderno, tutto registrò e fuse in unico blocco.

In quali nuove esperienze poteva esso aver fede, se i protagonisti della lotta di classe avevano vissuto e combattuto ogni fase di trapasso fino alla sconfitta dell'uno e alla vittoria dell'altro contendente?

Quali leggi ormai dovevano provare «un'anima nuova» del capitale, quando prima ancora che l'universo fosse suo monopolio i Ricardo e gli Smith lo avevano denudato e nel suo vivo e palpitante corpo Marx aveva affondato il bisturi della critica rivoluzionaria?

In virtù di quale mai predestinazione il socialismo millantato dai mille giullari del tradimento dovrebbe essere il «Sole dell'avvenire», se questo avvenire non fosse già stato scritto?

La rivoluzione proletaria aveva vinto ancor prima che i suoi combattenti la vedessero trionfare, perché ne avevano scoperte le leggi. Se la borghesia non ebbe sicura coscienza della sua vittoria prima che mettesse le ali, lo dovette alla sua natura di classe che celava in seno l'altra vocazione controrivoluzionaria: quella contro il proletariato che necessariamente nutriva e allevava nel suo seno.

Il proletariato non alleva altra classe subordinata; in ciò sta il suo carattere rivoluzionario integrale, che lo schiera contro tutte le altre classi e semi-classi della società.

 

Le "scoperte" (sempre le stesse) dell'opportunismo.

 

Ad oltre un secolo dalla nascita della prima battaglia proletaria che ruppe l'incantesimo dell'unione nazionale tra operai e borghesi per merito dei fucili di Cavaignac; a neppure un secolo dall'apparizione del primo Stato proletario nella Comune di Parigi, gli assalti ai principi si sono susseguiti sull'onda del deflusso rivoluzionario, generatore di ulteriori ripresa della produzione capitalistica.

Ogni ondata opportunista, quindi, ha di «nuovo» solo la veste esteriore. Il contenuto è sempre il solito, sebbene chiamato con nomi diversi, ma la sua caratteristica peculiare è proprio la pretesa di «arricchire» la dottrina marxista, di «rinnovarla» nelle sue parti «caduche» sostituendo le logore con altre «fresche», appena uscite dalla fabbrica delle novità come una delle tante merci della putrida industria borghese.

I fenomeni sociali non sono mai allo stato puro, e ciò per la presenza di altre classi oltre la borghesia e il proletariato, che confondono i terini della lotta con la loro natura equivoca. E' il caso della piccola e media borghesia rurale e urbana, generatrice del capitalismo, ma che il capitalismo a sua volta in una certa misura rigenera. La piccola borghesia è la riproduzione agamica del capitalismo.

L'oscillare degli strati piccolo-borghesi fra i due estremi del proletariato e della borghesia, rispettivamente nelle fasi di ascesa e di rinculo della rivoluzione, caratterizzano il prevalere o meno dell'opportunismo in seno al movimento operaia. Che l'opportunismo sia una ideologia piccolo-borghese è tesi di Marx e di Lenin, prima che di noi.

Ogni ondata, così, ha la sua «scoperta». Nell'epoca d'oro della fine del secolo scorso, la «scoperta» di Bernstein fu che il socialismo si conquista ogni giorno nelle lotte quotidiane, e che l'essenziale per i proletari è il movimento incessante, l'attività continua, non il fine.

Il rifiorire della produzione capitalistica sembrava ridare una patente di eternità al capitalismo, e la piccola borghesia, infingarda e vigliacca, non voleva saperne di affiancare il proletariato in una lotta storica in cui, in quel momento, avrebbe rischiato tutti i vantaggi economici, sociali e politici che invece una tacita alleanza col grande capitale le offriva.

La posizione intermedia della piccola-borghesia facilita la trasmissione al proletariato del suo pessimismo e della sua indecisione, attraverso e mediante gli strati operai meglio retribuiti e socialmente privilegiati per la loro posizioni particolare nella produzione. Lenin chiamò questi strati i «luogotenenti del capitalismo annidati nella classe proletaria».

Per l'opportunismo, è agevole propagandare lo slogan che il socialismo è bensì necessario, ma i principi che presiedono alla sua conquista mutano col mutare degli avvenimenti e delle situazioni. Ciò significa che essi mutano col mutare degli interessi particolari di questi strati perennemente instabili e precari, in quanto continuamente sospinti dal grande capitale verso la proletarizzazione.

Non meraviglia perciò il fatto che anche la perdurante ondata opportunista, che prende nome dal defunto Stalin, ribadisca il primo ed eterno articolo di fede del tradimento opportunista che i principi per raggiungere il sempre agognato Socialismo mutano di volta in volta. Ma i vantati «principi» opportunisti non sono che dei volgari espedienti per allungare la sopravvivenza del capitalismo, senza di cui lo stesso opportunismo non avrebbe ragion d'essere.

Per l'opportunismo, tutti i principi sono buoni purché non tendano a mettere in movimento le masse sul terreno della lotta di classe, a lanciare il proletariato mondiale contro lo stato capitalista, a sfruttare tutte le particolari condizioni dell'avversario capitalista per collegare, unificare e potenziare gli sforzi della classe operaia, per rinvigorirne le lotte incessanti provocate dalle contraddizioni interne del capitalismo e trasformarle in vere e proprie lotte politiche per la distruzione dello stato e la conquista del potere.

Quello che per il marxismo è ormai storicamente superato fin dalla Comune di Parigi - la necessità nell'occidente capitalistico di guerre democratico-nazionali, cui il proletariato debba offrire il suo appoggio di classe appunto per aiutare la borghesia a liberare le forze produttive dagli impedimenti di forme pre-capitaliste della produzione, è antistoricamente ripreso dall'opportunismo che ne fa una questione di principio assoluto, diffondendo nel proletariato mondiale, poco importa in quale settore geo-politico si trovi, la parola d'ordine apertamente reazionaria della difesa dell'indipendenza nazionale e della patria.

 

Difesa dell'indipendenza nazionale?

 

Il partito comunista rivoluzionario non ha mai rifiutato il suo appoggio alla borghesia nazionale, quando questa poneva all'ordine del giorno la rottura violenta di forme di produzione antiquate che ne impedivano o ritardavano lo sviluppo. Ma al tempo stesso ha sempre proclamato la assoluta indipendenza del movimento rivoluzionario dalle sorti della borghesia e della media e piccola borghesia radicale, ed ha preparate le masse proletarie ad affrontare le future, inevitabili battaglie di classe contro l'alleato di ieri.

Sostituire a questo principio marxista, collegato dialetticamente in modo indissolubile al movimento rivoluzionario mondiale che non può prescindere dalle tappe inferiori della rivoluzione, l'angusto obiettivo, reso stoltamente valido per tutti i tempi e per tutti i luoghi, della difesa e dell'indipendenza nazionale, della pace e del disarmo, è in aperto contrasto e coi principi e con gli scopi della lotta rivoluzionaria del proletariato.

Ecco invece come pone il problema il Manifesto suino degli 81; «Gli obiettivi dei comunisti corrispondono agli interessi superiori della nazione. La volontà dei circoli reazionari di distruggere il fronte nazionale col pretesto dell'«anticomunismo» e di isolare i comunisti, che costituiscono la parie più avanzata del movimento di liberazione, indebolisce le forze del movimento nazionale, è in contrasto con gli interessi nazionali dei popoli e mette in pericolo le conquiste nazionali...

«I nuovi rapporti di forza che si sono stabiliti su scala mondiate aprono ai partiti comunisti ed operai muove possibilità per risolvere i problemi della lotta per la pace, l'indipendenza nazionale, la democrazia e il socialismo.

«Già prima della vittoria completa del socialismo in tutta la Terra, pur sussistendo il capitalismo in una parte del mondo, sorgerà la possibilità reale di eliminare la guerra mondiale dalla vita della società. La vittoria del socialismo in tutto il mondo eliminerà definitivamente le cause sociali e nazionali dello scoppio di qualsiasi guerra...

«Difendendo i principi della coesistenza pacifica, i comunisti si battono per giungere alla totale cessazione della «guerra fredda», allo scioglimento dei blocchi militari, allo smantellamento delle basi militari, al disarmo generale e completo sotto il controllo internazionale, alla soluzione delle controversie internazionali mediante negoziati, al rispetto dell'uguaglianza fra gli Stati, della loro integrità territoriale, della loro indipendenza e sovranità, della non ingerenza reciproca negli affari interni, ad un ampio incremento dei rapporti commerciali, culturali e scientifici tra i popoli».

E si potrebbe andare avanti all'infinito.

Questo falso obiettivo storico proposto al proletariato del super-industrializzato Occidente capitalista, e indifferentemente alla giovane e debole classe proletaria degli stati da poco usciti dal regime coloniale, serve soltanto a indebolire il fronte proletario mondiale e il suo nucleo più forte ed agguerrito, rappresentato dai paesi ad alto potenziale produttivo e ad alta concentrazione economica; e di converso rafforza il fronte controrivoluzionario capitalista; diffonde in seno alle masse proletarie la sfiducia nel partito rivoluzionario comunista, nelle sue tradizioni di lotta e di vittoria, nelle sue superiori capacità di condurre al successo finale la lotta di classe. Parallelamente, impedisce alle stesse lotte di liberazione nazionale e alle rivoluzioni democratico-borghesi nelle colonie di maturare fino al punto di costituire punti di applicazione della lotta rivoluzionaria del proletariato e punti di innesto di obiettivi schiettamente comunisti.

Quello che la Rivoluzione di Ottobre insegnò a questo proposito viene completamente svisato o taciuto: che cioè la vittoria del proletariato fu possibile in quanto il suo partito rivoluzionario, il partito bolscevico, non si limitò a condurre una rivoluzione antizarista, ma spinse le masse operaie oltre i limiti imposti da una borghesia codarda, e verso la conquista violenta del potere politico.

Ancor più reazionario è proporre una coesione tra forze eterogenee di classi multiformi, che per la loro diversa dislocazione storica e quindi per i loro diversi obiettivi storici si troverebbero a dover combattere un'unica battaglia per la pace, la democrazia e l'indipendenza, di schietta natura piccolo-borghese. In tal modo dovremmo assistere all'ibrido schieramento del proletariato tedesco, massimo esempio di potenziale storico di classe, con la quasi inesistente piccola borghesia tedesca e per il raggiungimento di obiettivi democratici, cioè piccolo-borghesi, quando invece le strutture capitalistiche della Germania sono notoriamente di avanzatissimo capitalismo di stato, come Lenin mostrò fin dal 1918.

 

Soprattutto in Occidente, compito storico immediato del proletariato è già da sessant'anni la Rivoluzione comunista: ogni altro obiettivo è reazionario e, se il proletariato lo dovesse perseguire ingannato ancora dalle quinte colonne opportuniste, ciò significherebbe  ritardare per altri lunghi decenni l'avvento della dittatura proletaria e il trionfo del socialismo.

 

Lotte per le "idee"?

 

La lotta per il socialismo é stata sostituita, dall'opportunismo nella sua più recente versione di ispirazione moscovita, dalla lotta per le «idee».

Dice il Manifesto:

«O coesistenza pacifica tra Stati con diverso regime o guerra devastatrice, questo è oggi il dilemma».

La lotta di classe diverrebbe così non guerra di milioni di proletari per la distruzione di forme inadeguate di produzione e di vita, ma lotta «ideale» per la conquista delle «coscienze» di «tutti» gli uomini, indipendentemente dal loro schieramento sul fronte storico di classe. Siffatto modo di concepire la lotta per il Socialismo riconduce alle false posizioni assunte dalla socialdemocrazia 1918, e peggio, al «socialismo della cattedra», per cui la Rivoluzione sarebbe stata possibile solo quando tutti i proletari ne avessero imparati i principi.

Come contro questa versione etica, scolastica, e idealistica, del socialismo combatterono i nostri maestri, e i militanti che ci precedettero in questa storica battaglia, così va ribadito che il socialismo non dipende dalla coscienza delle masse, ma dall'indefettibile schieramento del partito di classe sulle posizioni ortodosse dei principi marxisti rivoluzionari e dalla sua capacità di collegarsi al fuoco delle vive lotte di classe con il crescente movimento proletario mondiale.

Il compito primo, di conseguenza, del Comunismo internazionale non è di «salvare l'umanità» dagli ipotetici e ricattatori genocidi dell'imperialismo in una eventuale guerra atomica; ma di far trionfare la Rivoluzione proletaria. Solo la vittoria della Rivoluzione è garanzia di pace, perché distrugge tutte le cause della guerra, insite nel modo di produzione capitalista. Ogni altra posizione allontana la Rivoluzione, disarma il proletariato artefice della rivoluzione, e prepara obiettivamente lo scioglimento della crisi del sistema capitalistica con la guerra imperialistica.

 

Pace, Democrazia o Socialismo?

 

La pace sociale non è una conquista, ma uno stato di acquiescenza del proletariato al capitalismo, il quale ha tutto l'interesse a mantenere unite alla sua sorte le masse diseredate, per meglio aggiogarle alla sua produzione di classe, al suo sistema sociale di sfruttamento della forza-lavoro.

Fare quindi della lotta per la «pace, la democrazia e il socialismo» «le posizioni di principio del movimento comunista internazionale», secondo la vergognosa versione dell'opportunismo, significa capovolgere gli stessi principi del comunismo, come furono formulati e seguiti dal marxismo rivoluzionario, e applicati vittoriosamente dal bolscevismo internazionale nell'Ottobre Rosso.

L'opportunismo ultima versione assomma tutti i motivi di lotta anti-marxista condotti dalle precedenti ondate revisioniste.

L'opportunismo si comporta verso Marx come gli epigoni idealisti si comportavano verso Hegel, che consideravano un «cane morto».

Del revisionismo esso ha ereditato il principio informatore sulla caducità di «alcune» parti del marxismo, e sul criterio dei «nuovi dati dello sviluppo economico», ammette chiaramente l'impossibilità della teoria delle crisi e del crollo del regime capitalista, accreditandogli la possibilità di difendersene con «concessioni» al proletariato, il quale avrebbe perciò tutto l'interesse di accoglierle per «progredire» verso condizioni migliori. Ha di nuovo perseguito la pratica scandalosa del ministerialismo entrando - come Millerand, socialista francese, nel '99 nel ministero borghese a fianco del generale Galiffet, boia della Comune di Parigi - nei governi di coalizione borghese a fianco dei peggiori nemici della rivoluzione, e continuando a sostenere il «principio nuovo» dell'accesso del proletariato, insieme coi partiti del capitalismo «onesto» o «progressista» e della piccola e media borghesia, alla «direzione del Paese nell'interesse di tutti».

Alla stessa stregua della defunta II Internazionale, esso considera il parlamentarismo forma della lotta di classe e più vergognosamente attribuisce al parlamentarismo stesso una funzione di «costruzione» del socialismo, una volta che i partiti sedicenti operai dovessero «legalmente» conquistare il potere.

Come la II Internazionale, l'opportunismo capeggiato dalla Russia attuale non lancia la fatidica parola d'ordine leninista di «guerra alla guerra», ma disperde le reazioni proletarie in mille episodi isolati come quelli partigiani a fianco delle grandi centrali dell'imperialismo mondiale sotto il pretesto della guerra anti-fascista e contro la «barbarie tedesca», precisamente come il capitalismo francese e inglese e italiano avevano mobilitato le masse proletarie nella I guerra imperialista.

 

I corteggiamenti della piccola e media borghesia

 

 

 Della II Internazionale, condannata all'infamia dall'instancabile denuncia rivoluzionaria della sinistra marxista internazionale, il Manifesto suino degli 81 accoglie tutta la fraseologia subdola e capziosa, tendente a solleticare i pruriti della piccola borghesia, ad ingigantirne la posizione storica, sociale, economica e politica, ad attribuirle funzioni demagogiche e patenti di spirito  rivoluzionario, quando invece tutta la tradizione genuinamente marxista rivoluzionaria ha sconfessato queste tendenze, ribadito il carattere reazionario della piccola proprietà e della piccola e media produzione, riconoscendole appunto il compito principale di mosca cocchiera della produzione capitalistica e della controrivoluzione borghese. Sotto il pretesto del «movimento per la pace», il «Manifesto suino» propone alla classe operaia di rinunziare al suo programma a favore di un ibrido schieramento esteso «a persone dalle convinzioni politiche e dalle fedi religiose più diverse, appartenenti a differenti classi sociali, ma unite dalla nobile aspirazione [sentite che untuosa fraseologia ginevrina e democristiana?] di non permettere nuove guerre e di assicurare una pace stabile». E' il sogno dei borghesucci e intellettuali di… sinistra!

In siffatto modo l'opportunismo, fin dal suo nascere, ha costantemente blaterato di socialismo affidandone la realizzazione storica, piuttosto che al proletariato, al «popolo lavoratore», ibrida congerie di eterogenee spinte di classe, contraddittorie e di segno contrario. Ha creato, su questa falsa concezione dei principii e dei fini, tutta una liturgia socialistoide fondata sulle classiche categorie dell'economia capitalistica così da conciliare l'economia socialista con forme mercantili, monetarie ed aziendali proprie del modo di produzione capitalistico. Esempio, questo, clamoroso di invarianza delle forme e del contenuto piccolo-borghese dell'opportunismo, perfettamente anticipato dallo stesso Proudhon, e vigorosamente denunciato e combattuto da Marx, Engels e da tutta la sinistra marxista, la quale gli vibrò un colpo decisivo in dottrina e in teoria dichiarando senza equivoci che le forme della futura società socialista saranno antimercantili, antimonetarie e antiaziendali, ancor prima di assurgere ad integrali forme socialiste di produzione e di vita.

Degradazione ancor più vergognosa ha assunto l'attuale ondata di tradimènto proclamando, all'unisono con l'altrettanto vergognoso manifesto dei socialdemocratici tedeschi, sia l'insostituibilità della legge del valore, che opererebbe pure e comunque nella economia socialista, che la forma-merce dei prodotti, e distruggendo il principio basilare della critica marxista così come fu formulata da Marx e difesa dai suoi seguaci, i quali rivendicarono appunto al socialismo la distruzione, insieme col capitalismo, della forma feticista della merce.

Camuffando trite posizioni anarchiche di molecolarismo economico e sociale, l'opportunismo ha preteso di svuotare l'autorità dello Stato, affidandone le funzioni alla periferia sociale, ad istanze inferiori quali i governi federali, i parlamenti regionali, le singole aziende, o i sindacati di mestiere, sotto il pretesto di considerare questa pratica come perfettamente in linea con la nota tesi marxista dello svuotamento dello Stato.

Ha voluto ravvisare la discriminante fra socialismo e capitalismo nella superiore produttività del lavoro, negli incrementi e ritmi economici superiori, come pure in una ipotetica e demagogica pianificazione economica ancorata a tutti i principii dell'economia politica volgare, quali il benesserismo, - variante opportunista del «capitalismo popolare» d'oltre Oceano e di ispirazione americana.

Il manifesto degli 81, dando questa traditrice consegna al proletariato mondiale, ha smascherato la propria completa sfiducia nella rivoluzione proletaria e nel suo unico protagonista storico, il proletariato, avanzando la pretesa, tipica del più bieco tentativo contro-rivoluzionario che si conosca, di costituire una reazionaria unione di stati a piccolo e medio potenziale economico al servizio dell'imperialismo mondiale, nel supremo tentativo di difenderne le basi dall'immancabile assalto del proletariato.

In questo triste e infame disegno vanno inseriti tutti i progetti - definiti qui come «obiettivi concreti» - di disarmo internazionale, di coesistenza pacifica fra stati di diverso peso economico e politico, di giuridico egualitarismo tra stati, di democrazia pura e universale, di taumaturgici incontri e accordi fra i vertici delle grandi potenze capitalistiche, di inconcludenti divieti e restrizioni di armi atomiche, di istituzione di una polizia internazionale al fine di salvaguardare il privilegio capitalistico contro ogni insorgente forza eversiva, come pure di fare dell'ONU, tipica organizzazione rappresentativa del capitalismo mondiale, un consesso di libere nazioni, un parlamento supernazionale, atto a dirimere controversie e discordie, insanabili per principio con gli strumenti e nell'ambito delle forme politiche attuali.

 

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