Terrorismo padronale e statale, terrorismo del capitale

Pubblicato: 2010-07-17 19:13:17

Quando si minacciano i proletari, quando li si ricatta con la minaccia del licenziamento, quando si attenta direttamente alle loro condizioni di vita e di lavoro, si fa del terrorismo aperto. E le vittime di questo terrorismo aperto – i proletari affamati, spremuti, dileggiati, mutilati fisicamente e psicologicamente, e le loro famiglie (che subiscono direttamente fame, disperazione, tragedie di ogni tipo) – sono centinaia e centinaia di migliaia, sono milioni, sono l’enorme esercito proletario mondiale che, in tempi di espansione economica paga duramente lo sfruttamento micidiale esercitato per gonfiare i profitti e “sostenere lo sforzo economico nazionale” e in tempo di crisi economica subisce l’attacco diretto e indiretto, dentro e fuori le fabbriche e i luoghi di lavoro, con il pretesto che “si deve salvare l’azienda, si deve salvare l’economia nazionale”.

La recente vicenda di Pomigliano d’Arco (e le centinaia, migliaia, di altre situazioni simili in giro per il mondo, e quelle che sempre più si verificheranno, se la classe operaia non saprà rialzare la testa e tornare a combattere) è la dimostrazione di questo continuo, incessante terrorismo, teorizzato e praticato contro i proletari di ogni nazione, al pari di quello (ancor più sanguinario e spietato) contro gli immigrati e i migranti, contro le masse proletarizzate di intere aree del mondo, contro tutti quei proletari che vengono trattati alla stregua di carne da macello in guerre inter-imperialistiche, in contese nazionali di ogni tipo. Non c’è gerarchia di gravità nel terrorismo padronale e statale, nel terrorismo del capitale.

Per decenni, i proletari di tutto il mondo sono stati illusi che potessero esserci altre vie per “riformare” quello che veniva (e viene) loro presentato come “pur sempre il migliore dei mondi possibili”. Partiti e sindacati, strettamente abbracciati al capitale, sono stati gli strumenti di questa tremenda illusione, che va a pezzi di fronte alla realtà spietata della crisi economica. Ma le illusioni sono dure a morire, riaffiorano di continuo. Tocca a noi comunisti combatterle tutte, mostrandone la vera natura, mostrando ai proletari l’abisso d’inganno e tradimento in cui sono stati precipitati da quei partiti e sindacati. Noi sappiamo che non esistono “padroni buoni” e “padroni cattivi”, esattamente come non esistono “governi amici” o uno “Stato al di sopra delle parti”: lo Stato è sempre e comunque lo strumento regolatore e repressivo del capitale, e il governo la sua espressione tecnica. I proletari non devono aspettarsi nulla da quelle parti, se non zuccherini (che alla lunga rovinano l’organismo) e soprattutto bastonate (sempre più diffuse, sempre più violente). Al contrario, devono riconquistare nella lotta una propria identità e autonomia di classe, buttando a mare tutte quelle forze politiche e sindacali che per decenni li hanno illusi e traditi, e ricostituendo un rapporto di forze favorevole grazie a un antagonismo diffuso e organizzato. Soprattutto, devono riprendere la strada del partito rivoluzionario, del partito comunista internazionale, che in tutta questa lunga fase controrivoluzionaria ha mantenuto salda la rotta del comunismo, unica via d’uscita realistica dal disastro del capitalismo.

Scrive Marx nel Capitale:

all’interno del sistema capitalistico, tutti i metodi per elevare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese dell’operaio individuale; tutti i mezzi di sviluppo della produzione si capovolgono in mezzi di dominio e sfruttamento del produttore, mutilano l’operaio riducendolo a un frammento d’uomo, lo avviliscono a semplice appendice della macchina, distruggono col tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui la scienza viene incorporata a quest’ultimo come potenza autonoma, deturpano le condizioni nelle quali egli lavora, lo assoggettano durante il processo lavorativo al dispotismo più meschinamente odioso, trasformano il suo tempo di vita in tempo di lavoro, gettano sua moglie e i suoi figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale. Ma tutti i metodi di produzione del plusvalore sono nello stesso tempo metodi di accumulazione, e inversamente ogni estensione dell’accumulazione diviene mezzo allo sviluppo di quei metodi. Ne segue perciò che, nella misura in cui il capitale accumula, la situazione dell’operaio, qualunque sia la sua mercede, alta o bassa, deve peggiorare. La legge infine che tiene la sovrapopolazione relativa o esercito industriale di riserva in costante equilibrio col volume e l’energia dell’accumulazione inchioda l’operaio al capitale più saldamente di quanto i cunei di Efesto inchiodassero Prometeo alla sua roccia. Essa determina un’accumulazione di miseria corrispondente all’accumulazione di capitale. L’accumulazione di ricchezza ad un polo è quindi nello stesso tempo accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, abbrutimento e degradazione morale al polo opposto, cioè dal lato della classe che produce come capitale il suo proprio prodotto[1].

A queste frasi non abbiamo nulla da aggiungere. Esse sono contemporaneamente la condanna definitiva e l’epitaffio di un modo di produzione. Lasciamo agli ingenui, agli imbecilli, ai vigliacchi e ai rinnegati di trastullarsi con decine di piani (tutti eguali, tutti minestre riscaldate) per mantenere in vita questa carogna. A noi tocca di seppellirla un volta per tutte.



 

[1] K. Marx, Il capitale, Libro Primo, Cap.XXIII: “La legge generale dell’accumulazione capitalistica”, UTET, pp.820-821 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°4 - 2010)