Africa gigante in marcia

Pubblicato: 2010-05-13 22:15:19

Sono qui riportati i titoli degli scritti sull'Africa del partito dal 1952 in avanti. Si tratta di sessanta anni di lavori che hanno interessato l'intero continenete africano dal Nord a al Sud in tutta la sua estensione, da quella che viene considerata la sponda Sud del Mediterraneo fino al Sud Africa, dai paesi del Golfo di Guinea fino al Madagascar, dal Corno d'Africa fin dentro al cuore dell' Africa, dall'area Subsahariana fino al Centr'Africa e all'Africa Equatoriale. In questi articoli viene tracciata la storia, l'economia, la società e le lotte della borghesia e del giovane proletariato dalle origini fino al XX secolo e poi dalla colonizzazione alla decolonizzazione del secondo dopoguerra. L'introduzione che anteponiamo permetterà di cogliere gli aspetti essenziali dell'evoluzione del gigante in marcia, delle rivoluzioni alla luce dialettica del marxismo rivoluzionario

La formazione degli attuali Stati “nazionali” africani ha avuto un processo travagliato. Prendendo come base di partenza la situazione nel 1914, tralasciando il periodo che mette l’Africa occidentale al centro della tratta degli schiavi neri diretti verso le Americhe tra il XVI e il XIX secolo, elemento fondamentale della nascita e dello sviluppo delle colonie europee prima del Sud e Centroamerica e poi anche del Nordamerica, troviamo l’Africa dall’estremo nord al sud divisa tra i paesi colonizzatori, Francia, Inghilterra, Germania, Belgio, Italia. Immense aree sono occupate e divise senza alcun criterio se non quello di disporre delle risorse e saccheggiarle. La divisione futura in Stati spezzerà poi in modo caotico, come fosse un evento sismico, popolazioni, gruppi etnici, organizzazioni tribali, nazionalità. Il concetto di colonizzazione come civilizzazione giustificherà ogni violenza sociale, culturale, politica sulle popolazioni e conquista come un annuncio di civiltà tutte le organizzazioni politiche sia di destra, che socialdemocratiche, sia laiche che religiose. La borghesia europea, la cui storia è fondata sulla violenza economica e politica nella sua ascesa rivoluzionaria, chiama al lavoro con una grande operazione di marketing progressista, sociologi, filosofi, politici, religiosi, scienziati per giustificare la sua presenza: garantisce grandi conquiste sociali, politiche ed economiche e nel frattempo diffonde idee di superiorità razziale, di civiltà superiore, di darwinismo sociale.  Si tratta di un lungo periodo di colonizzazione, pienamente borghese, espressione della carta dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che dall’impresa napoleonica in Egitto, attraverso il suo Codice civile si imporrà fino al primo conflitto mondiale e da qui fino al secondo, raggiungendo a quel punto il suo massimo di sviluppo, processo che si inverte rapidamente alla fine della guerra quando esplodono i contrasti con la giovane borghesia allevata sotto le sue ali.

Dal 1949 poi fino al 1960 è un susseguirsi di eventi, di lotte: la diffusione dei movimenti nazionalistici si fa rapida e investe tutte le aree dell’Africa tra violenze infinite della borghesia, che non riesce a bloccare il processo unite a patteggiamenti, compromessi. I movimenti rivoluzionari borghesi si orientano rapidamente nella loro concretezza sulla base delle divisioni già trovate e prodotte dai colonizzatori. Le ferite lasciate dal secondo conflitto sul territorio africano, l’impossibilità di mantenerne il controllo insieme all’accelerato sviluppo economico che si sta delineando in Europa dopo l’immensa distruzione della guerra, lasciano scoperto politicamente un decennio del dopoguerra alle forze nuove emergenti, che possono rapidamente, senza grandi sconvolgimenti, proseguire la lunga marcia.

Le due guerre si caratterizzano per un cambiamento di fase dello sviluppo capitalistico, già preannunciato teoricamente da Marx e visto da Engels, Viene alla luce l’Imperialismo, descritto e definito teoricamente da Lenin. L’epoca del saccheggio puro e semplice è finita, comincia un’epoca di dominio economico e finanziario delle grandi potenze. Comincia, come si dice, la decolonizzazione e si diffonde nel suo primo periodo e nell’entusiasmo generale il panafricalismo. Il passato si staglia netto davanti agli occhi delle popolazioni africane.

Parlare di gruppi nazionali e di nazioni prima della decolonizzazione è un non senso, non si era in presenza di classi sociali moderne in senso stretto; le forme mercantili e monetarie che caratterizzano l’epoca precapitalista sono state introdotte dall’esterno e non da poco tempo,  i rapporti di produzione più moderni si caricano delle forme sociali molto più antiche  e primitive cui è stato imposto un travaglio violento di trasformazione. Si tratta di strutture familiari e tribali, di civiltà antiche e antichissime, di Stati senza nazione, di organizzazioni regolate da nessun diritto normativo che non sia quello consuetudinario, di nessuna forma consolidata di proprietà privata, se non istituita con la forza dai colonizzatori. Le nazioni europee si sono formate all’uscita del feudalesimo, hanno impiegato per decantarsi almeno quattro o cinque secoli, hanno attraversato l’epoca di transizione mercantilistica, di accumulazione primitiva, della sottomissione formale del lavoro al capitale.

Non parliamo qui propriamente del NordAfrica, luogo di intersezione delle civiltà greca, romana e araba, il cui lascito ha fatto da lievito allo sviluppo precapitalistico e poi capitalistico, non parliamo dei gruppi etnici che si affacciavano sull’Atlantico, al nord e sud del Golfo di Guinea, che hanno maggiormente avuto contatti con gli europei costeggiando l'Africa o attreversando l'Atlantico alla scoperta dell’America, né dell’area che dal Golfo Persico e dall’istmo di Suez, che protendendosi verso l’Oceano Indiano, aveva già intrapreso le vie mercantili. In particolare la civiltà del Corno d’Africa ben prima della colonizzazione aveva un’economia molto avanzata. Altre economie come quella del SudAfrica e del Botswana avevano condizioni economiche già sviluppate.

La rapidità con cui si avvia la decolonizzazione con i suoi eroi nazionali, con le sue organizzazioni panafricane, meraviglia “gli studiosi” perché non si riesce a comprendere quale sia stato il fattore unico, la causa prima degli eventi che portarono all’indipendenza, ma si fa fatica a capire anche perché l’Africa sia scivolata verso un sistema di povertà devastante.

Il nostro partito quando mise al centro della sua posizione gli eventi rivoluzionari che stavano avvenendo in Asia, in Africa e in Medioriente vide giusto nel proporre la stessa tattica della doppia rivoluzione, fu generoso nei confronti del giovane proletariato africano che entrava sulla scena della storia, si augurò che gli effetti dello stalinismo non riuscissero a fermare l’istinto di lotta e il sentimento di classe che si andava diffondendo. Sapeva che non era possibile che il proletariato potesse intraprendere un salto della portata di quello della Russia, senza l’aiuto del partito di classe. La storia confermò che il proletariato poteva fornire l’energia per il salto storico, anche se non poteva essere guida del processo di liberazione e sviluppo. Le giovani forze della borghesia intellettuale, che si erano formate nelle metropoli capitaliste, che avevano attinto dalla rivoluzione d’Ottobre la necessità della lotta ad oltranza contro i colonizzatori, che avevano studiato anche il marxismo della socialdemocrazia europea e che avevano appreso dallo stalinismo la via nazionale che porta, non al socialismo ma alla rivoluzione borghese, erano già state istruite dalla storia. Lo stalinismo è la forma che consegna lo sviluppo alla decadenza.  Il processo rivoluzionario si dimostrava molto più arduo di quello attraversato dalla Russia di Lenin. Nessuna grande vittoria della borghesia avrebbe potuto esserci senza l’attività del proletariato in lotta sul campo. Si confermava che le rivoluzioni borghesi non sono state fatte propriamente dai borghesi, ma dalle masse contadine e proletarie, dalla plebe, dai miserabili, quelli che lottarono con i Buonarroti e i Blanqui nella rivoluzione francese. Queste masse tuttavia non potevano condurre una “rivoluzione veramente popolare”, la doppia rivoluzione, fino a spingerla al suo obiettivo socialista, possibile solo se diretta dal partito di classe.


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