Egitto: continua la lotta dei tessili di Mahalla (Il programma comunista, n°6, 2007)

Pubblicato: 2009-08-24 20:35:09

 

 

Nel numero scorso di questo giornale, avevamo dato un certo risalto alla vittoria dei lavoratori tessili della fabbrica di Mahalla, a nord del Cairo, alla fine di una lunga lotta durata più di un anno. Avevamo concluso scrivendo: “Ma non ritirino la guardia i lavoratori! Si aprirà da questo momento la risposta politica dello Stato: diffamazione, controlli, arresti individuali e di gruppo. Ricordino i lavoratori più combattivi che l’organizzazione della lotta di difesa economica, indipendente dai padroni e dallo Stato, è solo una prima parte del compito. Senza l’organizzazione in Partito la classe non potrà consolidare la vittoria che oggi ha ottenuto”. Puntuali sono arrivati, contro i lavoratori combattivi, prima azioni continue di disturbo, con la collaborazione attiva dei sindacati di Stato, poi i licenziamenti, come riferisce il Manifesto del 8/11: “Me lo aspettavo, dice uno dei leader della lotta, si stanno vendicando, gli aumenti promessi sullo stipendio base e il bonus di produzione pari a 90 giorni lavorativi sono arrivati con il contagocce”. Per la difesa delle condizioni di vita (di vera miseria: 50 euro mensili), la lotta non può che riprendere. Non resta che tornare in strada a manifestare, confermano gli operai, che si preparano per metà dicembre a uno sciopero a oltranza, a un anno dalle prime sollevazioni. Ma la situazione è priva di prospettive concrete, non si potrà resistere a lungo, le organizzazioni sindacali statali si stanno già preparando a controllare e sabotare qualsiasi forma di lotta. L’unico sostegno concreto è quello dei lavoratori del vicino polo industriale di Kafr Dawar. La pressione intanto si fa sentire in forma pesante con l’annuncio che presto la fabbrica sarà privatizzata. Raccontano gli operai che diverse industrie europee hanno fatto la spola all’interno dei reparti e si fa circolare la notizia che la privatizzazione implicherà massicci licenziamenti, per cui mettersi in pensione è l’unica alternativa rimasta prima della tempesta. Che la situazione sia arrivata a un punto critico per le industrie di Stato è ormai chiaro ai 27000 tessili di “Gazl Mahalla”, il fiore all’occhiello dal tempo di Nasser, i cui macchinari “sfornano abiti, che la popolazione locale e gli operai stessi non possono permettersi, in quanto occorrerebbe un quarto del salario per comprarne uno (10-11 euro)”. Meglio partire, dicono, ma andare in Italia costa 2600 euro, gli usurai (islamici !) stanno facendo un sacco di quattrini, solo facendo diversi lavori e lavorando 14-15 ore al giorno è possibile pensare di pagare una simile cifra. Oggi, la “politica liberista egiziana” è in piena sintonia con il Fmi e della Banca mondiale, è già stato venduto o messo in vendita tutto ciò che era possibile cedere. La crescita del 7% conferma il processo di aggressione alle condizioni di lavoro, gli investimenti dall’estero in 5 anni (dal 2002) sono passati da 450 milioni di $ a 11 miliardi. La polarizzazione in alto della ricchezza ha spinto la povertà dal 16% al 19% (coloro che vivono con 1$ al giorno), la miseria (coloro che vivono con 3-4$ al giorno) è passata invece dal 30 al 40 % della popolazione. L’inflazione ufficiale dell’8% (in realtà al 25%) divora qualunque aumento di salario e abbassa le già ridotte condizioni di esistenza. Cresce anche la disoccupazione: la politica di privatizzazioni e di tagli dei rami secchi, in tre-quattro anni, ha portato alla perdita di 650.000 posti di lavoro. Giunga ai proletari di Mahalla la nostra solidarietà di classe, nell’attesa che il fronte di classe si allarghi non solo in Egitto, ma soprattutto nelle metropoli imperialiste.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2007)