Enti di formazione professionale

Pubblicato: 2009-08-09 17:04:38

Il 19 ottobre u.s., s’è svolta a Cagliari una manifestazione regionale organizzata dai sindacati confederali e dagli enti di formazione professionale, che hanno chiamato i lavoratori a protestare contro il governo regionale, chiedendo in particolare il rifinanziamento del settore: una vertenza che interessa 2700 lavoratori. Il governatore Soru è stato l’oggetto dei loro strali. La Regione a sua volta denuncia la poca chiarezza e le furberie degli Enti – corsi fantasma, bilanci gonfiati, enti controllati dai sindacati… Come sempre sono i lavoratori, stretti in questa morsa, a pagare le conseguenze: precarizzazione, 500 licenziati, stipendi in arretrato, nessuna certezza per il futuro.

La lotta, al solito, nonostante i toni duri di facciata, viene imbrigliata nella pratica della concertazione e sembra seguire il copione già scritto: dopo la manifestazione- farsa, i lavoratori vengono condotti alle porte dei palazzi istituzionali e qui si ha la benevolenza di concedere loro un tavolo di trattative; i sindacati presentano la cosa come una conquista e si procede a un accordo al ribasso, alle concessioni minime possibili per impedire l’esplosione delle tensioni sociali. Nel caso particolare, 254 lavoratori ottengono l’impegno della Regione a garantire l’accompagnamento alla pensione, altri 250 potranno entrare nella pubblica amministrazione, ma i fondi che dovrebbero coprire gli stipendi sono ancora incerti, e comunque si tratterebbe di contratti temporanei. Per tutti gli altri: “arrangiatevi!” Naturalmente, sindacati, enti di formazione e Regione non si sono espressi in questo modo, ma i lavoratori hanno già sperimentato i risultati della concertazione. A seguito della precedente vertenza del 2004, identica a quella in corso, si è avuto un aumento delle ore lavorate e della precarizzazione di contro a una diminuzione dello stipendio. E anche questa esperienza ha contribuito al finale a sorpresa della manifestazione. Dopo la prassi appena descritta, infatti, i sindacati si preoccupano di rimandare tutti a casa, buoni e tranquilli. Ma questa volta la rabbia dei lavoratori ha dato luogo a un’inaspettata esplosione di collera: una ventina di lavoratori aspettano il governatore, circondano l’automobile su cui si trova, la prendono a calci, costringono Soru a scendere dall’auto, lo strattonano, gli rifilano qualche calcio, gli urlano in faccia la propria disperazione. A questo punto, naturalmente, tutti – sindacati, partiti d’opposizione ed enti di formazione, che fino ad allora avevano lanciato accuse molto dure – indietreggiano davanti alla rabbia dei lavoratori e fanno quadrato con la maggioranza. E’ un coro unanime di solidarietà con il governatore, di condanna senza appello della violenza, a difesa della democrazia e della pace sociale, con tutte le armi della retorica più bieca: “Vigliacca aggressione”, “condannare e isolare i violenti”, “atto di stupidità, non giustificabile”.

Due commenti in particolare ci sembrano eloquenti. Il primo, del segretario regionale CISL: “Si tratta di un gesto di pochi facinorosi che non hanno niente a che vedere con la storia, le tradizioni e la cultura del movimento sindacale del nostro paese”, involontaria ammissione di sottomissione al capitale. Il secondo, sulla prima pagina de L’Unione Sarda del 20 ottobre 2006: “La disoccupazione, la cassa integrazione, i licenziamenti che ogni giorno si aggiungono ad una lista già infinita, hanno portato la Sardegna ad un altissimo livello di esasperazione. Stare senza lavoro è la mazzata più pesante che possa arrivare nella vita di uomini e donne, di migliaia di famiglie. Slogan, cartelli: tutto lecito, tutto legittimo. Quello che invece non è lecito né legittimo è che la protesta diventi violenza. Chi ha ragione deve usare tutti i mezzi democratici per far valere i propri diritti”. I nostri nemici pretendono dunque di indicarci le armi con cui è “legittimo” combatterli: l’appello ai diritti democratici, gli slogan e i cartelli, le sfilate che sembrano sempre più dei cortei funebri... Ai lavoratori, che nei fatti hanno dimostrato quanto può valere la pace sociale di fronte all’autentica disperazione, noi invece diciamo che, se anche prendere a calci Soru (o chi per lui) può essere fonte di una certa soddisfazione, tale soddisfazione oggi è purtroppo solo personale e momentanea. Quella sana rabbia, quel sano odio, quell’energia e quella voglia di lottare vanno rivolte a un obiettivo più importante e concreto: l’organizzazione e l’unità dei proletari, la riconquista dei metodi e degli obiettivi della lotta di classe, nell’abbandono una volta per tutte dei paralizzanti pregiudizi democratici e legalitari, al fine di riuscire a difendere con decisione le proprie condizioni di vita e di lavoro, e soprattutto al fine di soddisfare i propri interessi di classe, immediati e storici. E tutto ciò non è questione di diritto democratico, ma di forza messa in campo!
Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2007)