La classe operaia coreana in lotta

Pubblicato: 2009-12-01 17:03:35

Lo sciopero alla fabbrica automobilistica Ssangyong Motor Company di Pyeongtaek (Corea del Sud) si è concluso mercoledì 5 agosto, dopo una lotta di 77 giorni, debitamente cancellata dalle notizie di tutti gli organi mondiali della cosiddetta “libera stampa” [1]. Nel corso della settimana precedente, senza gas, acqua ed elettricità e con poco cibo, 5-600 operai, che controllavano ormai soltanto il reparto vernice (il resto della fabbrica era stato rioccupato dalla polizia e dai crumiri), hanno affrontato i ripetuti assalti della polizia. Gli elicotteri non hanno fatto altro che roteare sopra le loro teste, facendo rumore tramite gli altoparlanti per impedir loro di dormire e scaricando una gran quantità di gas lacrimogeno misto a elementi tossici urticanti; poi, reparti scelti sono scesi sul tetto del reparto e hanno combattuto contro gli operai, picchiandoli spesso duramente. Il 5 agosto, l’assalto finale. Dopo la resa, il presidente del sindacato dei metallurgici (la Korean Metal Workers Union, KMWU), che aveva partecipato all'intera occupazione, ha negoziato un accordo (apparentemente) conclusivo: il 52% dei 976 operai che hanno occupato la fabbrica sarà riammesso in fabbrica, dopo una sospensione di un anno senza paga, alle condizioni economiche precedenti; il 48% sarà congedato con un “pensionamento anticipato”, equivalente a cinque mesi di assegno di disoccupazione; 66 operai, fermati dalla polizia, potrebbero incorrere in serie conseguenze legali. Lunedì 10, i 5000 (dei 7000) operai ai tempi dell'occupazione (il 22 maggio), compresi 1000 tecnici e il personale direttivo, hanno ripreso la produzione nel resto dello stabilimento.

 

Chiuso lo sciopero con la forza, la politica e la legge borghese hanno esteso l’attacco di classe con altri mezzi, cosiddetti legali: la vendetta è in atto. Il governo sta addebitando agli operai le pesanti spese legali contro (almeno) 66 scioperanti e sta multando il sindacato per una somma enorme: la legge coreana permette infatti di citare individualmente i singoli operai per i danni incorsi durante lo sciopero...

 

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I 77 giorni di lotta si sono svolti in un crescendo di azioni e reazioni che ha coinvolto una grande massa di lavoratori. Da aprile, gli operai dell’impianto hanno risposto prima con scioperi contro i licenziamenti, poi con lo sciopero generale e infine, quando è stata annunciata la lista degli operai da eliminare, con l’occupazione (1700 operai, il 27 maggio). Lo sciopero si è concentrato su tre richieste principali: 1) niente licenziamenti; 2) certezza dell’occupazione per tutti; 3) nessuna delocalizzazione. Volendo spingere i 1700 operai al pensionamento anticipato, l’azienda ha subito “messo in libertà” 300 precari. A partire da metà giugno, il numero degli occupanti si riduceva a un migliaio, mentre le mogli e le famiglie provvedevano per il cibo. Circa 500 operai, non in lista per il licenziamento, restavano a casa, e un migliaio di individui del personale di sorveglianza facevano i crumiri, mentre nessuna automobile veniva prodotta. Il governo è stato preso in contropiede dalla profondità dell’indignazione, evidente nelle dimostrazioni che sono arrivate a mobilitare fino a 1 milione di persone: dopo l’inizio dello sciopero, infatti, l’azione della polizia ha suscitato uno sdegno crescente e spinto molti lavoratori a protestare nelle strade. Il 16 giugno, un grande raduno antisciopero di più di 1500 persone si è tenuto fuori dei cancelli della fabbrica, con la partecipazione di 1000 guardie di sorveglianza, 200 teppisti assunti dal padronato, 300 operai non sulla lista di licenziamento e in disaccordo con lo sciopero; a essi, si sono poi aggiunti 400 poliziotti in tenuta antisommossa. Durante il raduno dei sorveglianti, circa 700-800 operai dalle fabbriche vicine, come l'azienda Kia Motor, sono venuti a difendere l’impianto di Ssangyang, in parte in risposta a un appello del KMWU.

 

Gli operai occupanti hanno elaborato programmi di difesa armata contro ogni tentativo della polizia di riprendere l’impianto, immagazzinando tubi di ferro e bottiglie molotov. Come ulteriore programma di riserva, hanno deciso di concentrarsi nel reparto vernice, dove i materiali infiammabili avrebbero dissuaso la polizia dallo sparare candelotti di gas lacrimogeno, rischiando così di causare una conflagrazione.

 

Il KMWU sembra avere il controllo dello sciopero, nel senso che sostiene le azioni illegali di occupazione dell’impianto e di preparazione della sua difesa armata. Dall’altro lato, sul piano economico, si concentra sulla richiesta dei “non licenziamenti” e della gestione delle richieste di “sicurezza dell’occupazione per tutti” e contro la delocalizzazione. L'occupazione dell’impianto è portata avanti da 50 o 60 gruppi di 10 operai ciascuno, che a turno scelgono un delegato per l’azione coordinata: l’operaio più combattivo e più cosciente.[2]

 

Tutto sembra sospeso nell'aria a qualche mese dalla conclusione. Lo sciopero, cadendo in una fase di crisi profonda dell'industria automobilistica mondiale e più in generale dell’economia mondiale, trarrebbe giovamento da un clima politico momentaneamente favorevole, che ha messo il governo coreano in ginocchio. L’impianto vicino, della Kia Motor Company, è pure esso nel bel mezzo di trattative critiche per misure di crisi e la GM-Daewoo è sotto il colpo della riorganizzazione mondiale della GM. La strategia dell'azienda sembra essere nel migliore dei casi un logorio lento (già dal 2006) o addirittura una vera e propria chiusura dell’impianto. La lotta della Ssangyong Motor poteva quindi appiccare un incendio all'industria automobilistica coreana o, più probabilmente, essere strangolata nel suo attuale isolamento, come poi in effetti è avvenuto.

 

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Ma, a differenza di quanto si legge sul bollettino dell’associazione culturale Pon Sin Mor, questo non è esattamente uno sciopero sconfitto, cui dedicare un epitaffio. Al contrario, la coraggiosa classe operaia coreana continua a dar prova della propria tradizionale e tenace volontà di lotta, in difesa delle condizioni di vita e di lavoro, e con mezzi eccezionali che nell’Occidente, letamaio di democrazia, nemmeno ci si sogna più da lungo tempo. E questo – che lo sciopero rientri o venga chiuso a forza – non è una sconfitta. La lotta riconferma se mai anche la tattica invariante delle organizzazioni sindacali del mondo intero: quella di additare nell’azienda e negli imprenditori (e, per carità!, non nell’intera classe borghese e nel suo modo di produzione) i responsabili dei licenziamenti, chiudendo gli operai dietro un paraocchi micidiale, per impedire che il loro sguardo si estenda oltre il carcere in cui sono reclusi.

Anche così, la classe non è sconfitta: certo, paga un duro prezzo, ma il suo reparto coreano ha dato il meglio della propria combattività, in una situazione mondiale ancora avara di grandi lotte e di una chiara prospettiva di classe, che solo il partito rivoluzionario di classe, oggi estremamente minoritario, può trasmettere. Noi ci auguriamo che la sua determinazione e il suo coraggio possano trasmettersi ovunque nel mondo; che la forma di organizzazione interna per resistere agli attacchi della polizia vada riconosciuta come prova di grande esperienza acquisita in campo (la lotta istruisce, la lotta crea l’organizzazione); che la solidarietà di classe ricevuta dagli operai della Kia Motor vada riconosciuta come segno di qualcosa che travalica il legame professionale, andando nel senso della solidarietà classista: perché l’unità di classe, così come si costituisce spontaneamente nella lotta, altrettanto spontaneamente crea attorno a sé l’unità della classe avversa, con le sue bande armate di poliziotti, sorveglianti e crumiri. I proletari in lotta debbono saperlo anticipatamente e tenerne conto. Anche da questo punto di vista, la lotta degli operai coreani è un insegnamento che non deve andare perso!

 

 
Note

 

1. Leggiamo dal bollettino dell’associazione culturale Pon Sin Mor, che ha diffuso in rete resoconti dettagliati sullo sciopero (vi abbiamo attinto per questa nota): “L'azienda è stata rilevata tre anni fa dalla China´s Shanghai Automotive Industry Corporation, che ne detiene la proprietà del 51%. A quel tempo, l’impianto di Pyeongtaek aveva 8700 addetti; ora ne ha 7000. In febbraio l'azienda ha chiuso per fallimento, proponendo una ristrutturazione ed offrendo l’impianto di Pyeongtaek come garanzia di ulteriori prestiti per riemergere dal fallimento. La corte ha approvato il piano fallimentare, in attesa di licenziamenti sufficienti a rendere l'azienda nuovamente in grado di far profitti”. [back]

 

2. Gli operai di Ssangyong, organizzati nel KMWU, hanno lavorato in fabbrica ormai per una media di 15-20 anni. Un operaio regolare percepisce una paga base di circa 30.000.000 di won (attualmente circa 25.000 $) l’anno; uno occasionale, circa 15.000.000 per lo stesso lavoro. In Corea, la paga base è l’unica parte del salario, che, per l’operaio regolare, comprende notevoli ore straordinarie pagate a una tariffa più alta (spesso 10 ore in una settimana) e accettate, dalla maggior parte degli operai, come necessario supplemento al magro salario. [back]

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2009)