Francia: contro ogni opportunismo tornerà a combattere il proletariato rivoluzionario

Pubblicato: 2009-11-08 14:07:24

 

Mentre una parte del grande capitale francese si interroga sulle effettive possibilità di manovra, anche sul piano militare, nel quadro dello scontro interimperialistico internazionale, un’altra deve mantenere un occhio di riguardo alle vicende interne, che appaiono agitarsi in modo crescente. Rimettendo in discussione, nel novembre 2007, i precedenti ordinamenti sul trattamento pensionistico; peggiorando le già cattive normative sulla tutela della salute dei lavoratori (mediamente, le spese sanitarie sostenute dal lavoratore sono comprese tra 240 e 400 € all’anno); varando un sistema di tassazione sui generi di prima necessità che si somma a un pauroso aumento dei prezzi degli stessi generi (pane, benzina, affitti), la borghesia francese non fa altro che allinearsi alle misure antiproletarie di tutta Europa e crea nuovi elementi di tensione sociale. I grandi scioperi che hanno paralizzato la Francia nel corso dell’autunno dello scorso anno nei settori dei trasporti si erano aggiunti a quelli nel settore aeronautico e poi a quelli nella funzione pubblica; recentemente, le lotte si sono estese al settore della grande distribuzione, che rimane uno dei settori a fortissimo tasso di estrazione di plusvalore, relativo ed assoluto. In risposta a tutto ciò, la borghesia francese varava, nell’estate dello scorso anno (prima misura della neonata presidenza Sarkozy), una legge mirante a limitare il diritto di sciopero (esattamente come succede altrove in Europa), imponendo l’obbligo individuale di dichiarare la partecipazione a uno sciopero, e di annunciare uno sciopero con un anticipo fino a 11 giorni dalla sua attuazione, oltre a riconoscere al padronato la possibilità di ricorrere a sindacati che non partecipano allo sciopero di organizzare una consultazione al fine di contestarne la validità, ben sapendo che si troveranno sempre masse proletarie che, per paura o necessità, si schiereranno a fianco dei propri padroni.

Negli ultimi 30 anni, la Francia, come tutti i paesi europei, ha conosciuto una profonda trasformazione nel suo apparato produttivo, distributivo e nel settore terziario. Gli impiegati nell’industria sono scesi da 6 a 4 milioni, mentre nel terziario si è conosciuto un aumento da 10 a 17 milioni. Tutto ciò, come ovunque in Europa, è stato possibile solo grazie alla flessibilità dei contratti, e quindi alla precarietà assoluta del posto di lavoro.

Come stupirsi allora se negli ultimi anni la conflittualità sociale è andata sempre più crescendo, assumendo tutta una serie di forme che, dallo sciopero classico organizzato e gestito da parte sindacale, sono via via passate alla resistenza passiva sul posto di lavoro, all’interruzione spontanea dell’attività, all’assenteismo man mano che l’intensificazione dei ritmi produttivi, la tensione nervosa, e spesso le condizioni di pericolo entro le quali si è costretti ad operare raggiungono il massimo della follia produttiva? Come sorprendersi se le periferie delle metropoli conoscono improvvise, violente rivolte, quando si tratta di ambienti spesso malsani, privi delle strutture minime necessarie per l’educazione scolastica e la sanità pubblica, e la tubercolosi ha un indice di incremento nelle comunità di immigrati 13 volte superiore a quello registrato nella media della popolazione francese? E quando l’incidenza degli infortuni mortali sul lavoro è solo di poco inferiore a quella italiana, a dimostrazione che il capitale non ha frontiere? Come meravigliarsi, se dopo decenni di tradimento delle lotte rivendicative, si moltiplicano azioni individuali di sabotaggio nell’industria e nei trasporti, con un intensificarsi di incendi di cavi, danni a carrelli e al sistema di frenaggio dei treni? Che, infine, la parte più risoluta del proletariato, senza direttive politiche chiare ma per puro istinto di classe, cerchi di aprirsi qualche sbocco di lotta anche fuori e, se è il caso, contro i vari sindacati, organi esplicitamente al servizio dello stato borghese?

E’ chiaro: l’esasperazione sociale che cresce in Francia come altrove nel mondo, sebbene ancora contenuta a episodi isolati e di breve durata, deve passare anche attraverso queste forme di lotta sia pure violenta, ma non organizzata, priva di reali obiettivi di classe, talvolta mirante a qualche forma di vendetta personale. Tutto ciò non può sorprendere né tanto meno scandalizzare, perché rappresenta una fase primitiva nel tortuoso processo di ripresa della lotta rivoluzionaria. La tappa successiva potrà solo essere quella dell’estensione delle lotte a strati via via più larghi del proletariato, al di fuori dei limiti imposti dal proprio orizzonte lavorativo, per una reale solidarietà di classe. A ciò evidentemente non si potrà giungere attraverso forme di consultazione aziendale o d’altro tipo, nelle quali la metà più uno dei votanti (che sempre rappresenta la parte del proletariato più esposta alla propaganda borghese della collaborazione di classe) riuscirà a impedire una reale formazione di coscienza di classe. Ogni sforzo va fatto perché i limiti angusti del posto di lavoro, della fabbrica, della categoria nella quale per decenni i lavoratori sono stati ingabbiati da una politica sindacale ferocemente antiproletaria, siano spezzati. Mentre per le borghesie europee si aprono scenari futuri di crescenti contrasti, al proletariato non resta che prendere coscienza che gli obiettivi della lotta sono comuni in tutti i paesi e che si deve imporre, a una politica nazionale comune alle varie borghesie, una politica internazionale del proletariato. Ma per spezzare i limiti aziendali, locali, regionali e nazionali delle lotte, è indispensabile e urgente che il proletariato rompa ogni legame con l’azienda e con lo stato, e che riconosca la necessità di tornare agli antichi metodi di lotta, sotto la guida del suo partito di classe.

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2008)