Vita di Partito

Pubblicato: 2024-01-15 16:34:54

Riunione Generale di Partito. Grazie anche all'ottima organizzazione dei compagni locali, la Riunione Generale di Partito del 22-23/10, a Roma, s'è svolta in modo proficuo. Nel pomeriggio del 22 (riservato ai soli militanti), un breve rapporto iniziale ha ribadito come, a fronte di una situazione generale che procede nel senso da noi sempre individuato, i nostri compiti si facciano sempre più ampi e delicati, e vadano affrontati rafforzando la nostra pratica di lavoro collettivo: ciò vale per ogni aspetto della nostra attività, interna ed esterna, in particolare con riferimento al contatto con la classe proletaria. Si è anche sottolineato che, proprio di fronte alle dinamiche in corso (crisi economica, guerre, emergenza continua, ecc.), lo Stato, braccio armato della borghesia, porterà avanti il processo di irrigidimento delle proprie strutture di controllo e di repressione a tutti i livelli: e ciò impone oculatezza e responsabilità. Passando poi alla situazione attuale e alla guerra, si è ribadito una volta di più che è necessario tornare in maniera sistematica sulla complessa parola d'ordine del disfattismo rivoluzionario, evitando però ogni tentazione sloganistica, bensì precisandola sempre meglio e riempiendola di indicazioni operative. Di certo, con la guerra in Ucraina siamo in presenza di un progressivo aggravarsi della crisi e della preparazione di un conflitto inter-imperialistico generalizzato.

Sono seguite alcune informazioni su interessanti contatti internazionali e i rapporti dalle varie sezioni e compagni isolati, che testimoniano del buon lavoro che si sta facendo (e che va sempre migliorato!) sia in Italia che in Germania, nonostante oggettive difficoltà e limiti soggettivi. Si è passati infine a una breve riunione redazionale, volta a verificare i lavori in corso e a prendere accordi su quelli futuri, per ciò che riguarda tanto le pubblicazioni in lingua quanto il nostro sito.

La mattina del 23 (aperta a simpatizzanti e lettori e coincidente con il previsto incontro pubblico, con collegamenti anche via internet), dopo un'articolata introduzione relativa al senso e al metodo del nostro lavoro collettivo, s'è ripreso il testo “Chi aggredisce l''Europa'”, approfondendo e ampliando il tema. Il pomeriggio, dedicato a una serie di chiarificazioni con i compagni di lingua tedesca sulle modalità d'intervento a contatto con la classe, ha concluso i due giorni d'intenso lavoro.

Berlino. Il tema dell’incontro pubblico tenuto il 17 agosto dalla nostra sezione è stato "La posizione
storica del 'diritto di autodeterminazione delle nazioni' e il suo abuso opportunista da parte dell'imperialismo guerrafondaio, da una prospettiva marxista". Nella locandina, i nostri compagni hanno criticato l'attuale sostegno diffuso nella sinistra del capitale alla guerra imperialista a fianco dell'Ucraina e hanno citato, come esempio, la Quarta Internazionale trotskista, che vede punti di riferimento positivi in una presunta "lotta di liberazione nazionale degli ucraini" e considera la "costruzione di un'identità nazionale ucraina" oggi come un progresso storico. Questo ha attirato alcuni visitatori del milieu trotskista, che hanno posizioni presumibilmente contrarie e criticano correttamente il "regime ucraino infestato dal fascismo" come "tirapiedi dell'imperialismo occidentale".
Nella  presentazione introduttiva, i compagni si sono preoccupati di difendere la posizione marxista di base sulla questione nazionale contro la palude politica della “sinistra” che ha elevato il "diritto all'autodeterminazione" a categoria politica universale. Il riferimento nazionale della sinistra borghese "senza classi" si spiega da sé: per chi non ha come metro di giudizio il materialismo storico, non pensa in termini di classi e predica un'astratta libertà individuale, la nazione è una dimensione legittima e ovvia per stabilire l'"unità" sociale. La confusione nelle file degli pseudo-marxisti è causata dalla totale mancanza di comprensione delle epoche del capitalismo e del suo sviluppo storico e geografico, che Lenin ha chiaramente sottolineato. Questo li porta a praticare una politica antiproletaria e borghese utilizzando il vocabolario del marxismo. Alla base dell’esposizione è stato preso lo scritto di Lenin del 1914 "Sul diritto di autodeterminazione delle nazioni", in cui difendeva e applicava in modo esemplare la posizione marxista. Per il marxismo, la nazione non è un valore in sé, la questione nazionale non è metastorica. Non va quindi spiegata, come sottolineava Lenin, con "concetti giuridici generali", ma con uno "studio storico economico". Egli spiegò la nazione come condizione necessaria per il passaggio dello sviluppo capitalistico: "In tutto il mondo, l'epoca della vittoria finale del capitalismo sul feudalesimo è stata collegata ai movimenti nazionali. La base economica di questi movimenti consiste nel fatto che per la piena vittoria della produzione di merci è necessaria la conquista del mercato interno per la borghesia, è necessario il raggruppamento statale di territori con popolazioni della stessa lingua". Tuttavia, Lenin non fa di questa legge fondamentale dello sviluppo uno schematismo politico. "La conclusione di tutte queste osservazioni critiche di Marx è chiara: la classe operaia non deve assolutamente fare un feticcio della questione nazionale, perché lo sviluppo del capitalismo non risveglia necessariamente tutte
le nazioni alla vita indipendente".  Allo stesso tempo, Lenin sottolineava la non simultaneità geografica dello sviluppo storico generale e chiedeva che qualsiasi analisi tenesse conto "delle peculiarità concrete che distinguono questo Paese all'interno di una stessa epoca storica". Egli fa una distinzione fondamentale tra "l'epoca della formazione della società democratica borghese e dello Stato democratico-borghese, l'epoca in cui i movimenti nazionali diventano per la prima volta movimenti di massa" e "l'epoca degli Stati capitalistici pienamente formati, con un ordine costituzionale da tempo naturalizzato, con un antagonismo fortemente sviluppato tra proletariato e borghesia" (L'applicazione di queste epoche varia geograficamente: "Nell'Europa occidentale, sulla terraferma, l'epoca della rivoluzione democratico-borghese copre un periodo abbastanza definito, che va dal 1789 al 1871"). "In Europa orientale e in Asia l'epoca della rivoluzione democratico borghese è iniziata solo nel 1905". E finì - questo lo sappiamo oggi - nei decenni successivi alla rivoluzione borghese cinese, al più tardi alla fine degli anni Settanta del ‘900. In questo contesto, Lenin sottolineava  quasi con lungimiranza rispetto alle successive distorsioni antimarxiste  che, sebbene esistano diversi stadi di sviluppo capitalistico, esiste un solo capitalismo: "la comune natura capitalistica degli Stati moderni così come la loro comune legge di sviluppo sono fuori discussione".  Ma perché la classe operaia dovrebbe sostenere i movimenti nazionali borghesi? Le ragioni principali sono due. La prima è la considerazione storica delineata (la nazione come condizione di sviluppo del capitalismo e quindi anche del proletariato). La seconda è una considerazione politica. Si tratta dell'unità della classe operaia contro lo sciovinismo e della dinamica rivoluzionaria proletaria che può essere generata da una "doppia rivoluzione". Il nostro unico punto di partenza nel considerare la questione nazionale sono le condizioni di sviluppo della lotta di classe proletaria. Lenin ha così descritto questa posizione proletaria: "Riconoscendo l'uguaglianza dei diritti e l'uguale diritto a uno Stato nazionale, essa valorizza e pone al di sopra di tutto l'unificazione di tutti i proletari di tutte le nazioni, valutando ogni richiesta nazionale, ogni slogan nazionale dal punto di vista della lotta di classe dei lavoratori". Egli difende qui la posizione di Marx, che presenta utilizzando l'Irlanda come esempio. Partendo dalle condizioni di sviluppo del proletariato inglese e dai compiti rivoluzionari della borghesia irlandese, "Marx aveva creduto che a liberare l'Irlanda non sarebbe stato il movimento nazionale della nazione oppressa, ma il movimento operaio della nazione oppressa. [...]
Le circostanze si organizzarono in modo tale che la classe operaia inglese cadde per lungo tempo sotto l'influenza dei liberali, ne divenne la discendente e si decapitò attraverso una politica operaia liberale.
Il movimento di liberazione borghese in Irlanda si rafforzò e assunse forme rivoluzionarie. Marx rivede il suo punto di vista e lo corregge. [...] La classe operaia inglese non si libererà finché l'Irlanda non sarà liberata dall'oppressione inglese". L'apparente pragmatismo tattico del marxismo sulla questione nazionale è in realtà la posizione proletaria che lo trascende. "Non possiamo garantire per questo o quel percorso di sviluppo nazionale; perseguiamo il nostro obiettivo di classe attraverso tutte le strade possibili". (S.416) Qual è la situazione della questione nazionale oggi, nell'ultima epoca del capitalismo? Il capitalismo ha prevalso in tutto il mondo, non c'è più nulla da sviluppare in modo borghese-rivoluzionario su scala mondiale. Esiste un fronte mondiale tra proletariato e borghesia, che non consente più una dinamica rivoluzionaria di quest'ultima (ma significa piuttosto una controrivoluzione immediata). Sì, ci sono ancora residui irrisolti della questione nazionale, ma possono essere risolti solo dalla rivoluzione proletaria mondiale. Qualsiasi tentativo di applicare le ricette politiche dell'epoca dello sviluppo capitalistico, delle rivoluzioni democratico-borghesi e delle doppie rivoluzioni, nel
capitalismo sviluppato porta al tradimento della posizione della classe proletaria. Già Lenin, scrivendo in quel periodo, si scagliava contro coloro che "perpetuano il punto di vista di Marx da un'altra epoca" e
quindi "contrappongono la lettera del marxismo allo spirito del marxismo".  La discussione che è seguita alla relazione, soprattutto con i presenti del gruppo "Rivoluzione permanente", ha riguardato la valutazione della guerra in corso. In questo caso, i trotskisti concordavano con la necessità del disfattismo rivoluzionario, ma rifiutavano l’espressione “guerra imperialista”, poiché la "Russia post-sovietica, ora capitalista"
non era presumibilmente uno Stato imperialista. Partendo dalla spiegazione teorica dell'Unione Sovietica come "Stato operaio burocraticamente degenerato" (anche la Cina di oggi è uno "Stato operaio burocraticamente degenerato" per questi trotskisti!), che confonde il socialismo con l'interventismo statale capitalista, questi trotskisti continuano a cercare di costruire diversi capitalismi oggi, aprendo così potenziali possibilità di connessione politica. Ad esempio, i presenti hanno sostenuto il "diritto all'autodeterminazione della regione a maggioranza russofona del Donbass", ma rifiutato la guerra di aggressione di Putin chiedendo allo stesso modo il "diritto nazionale all'autodeterminazione dell'Ucraina" – vertiginose piroette di "realpolitik"!
In un altro contributo alla discussione, un partecipante proveniente dall'ambiente comunista ha sottolineato la posizione storicamente e materialisticamente fondata e politicamente chiara di Lenin, che "all'epoca della prima guerra mondiale era più corretta di quella di Rosa Luxemburg", anche se la posizione antinazionale della Luxemburg era quella corretta ora. Concordiamo con lui che il "diritto all'autodeterminazione delle nazioni" non è più un punto dell'attuale programma della rivoluzione proletaria, ma sottolineando che è importante una chiara comprensione della metodologia marxista di base,
anche per poter valutare i residui esistenti  di questa questione (Kurdistan, Palestina...) e per respingere l'uso improprio imperialista.

Sardegna.  Dopo la manifestazione del 16 ottobre a Capo Frasca contro le basi militari, la sezione di Cagliari, che era presente con la nostra stampa, ci ha inviato il seguente rapporto.

Il contesto. Chi ha indetto la manifestazione. Che cosa chiedono

“La Sardegna rappresenta uno dei più grandi insediamenti militari in Europa, dove interforze Nato e forze militari israeliane simulano giochi di guerra [1]. Già dalla fine degli anni '60, movimenti di base, associazioni e comitati, gruppi politici, antimilitaristi ed ecologisti – seppure rappresentino una esigua minoranza – chiedono una drastica riduzione della presenza dell’esercito nell'isola, nonché la fine delle attività militari. La loro pia illusione sarebbe: distribuiamo le basi anche tra le altre regioni e limitiamo le attività alla difesa della pace, come nella Costituzione… In un’isola con un altissimo tasso di disoccupazione, la gran parte della popolazione subisce il ricatto economico derivante dalle ricadute sul territorio in termini occupazionali, e quindi accetta la presenza militare pur con tutte le sue drammatiche conseguenze.

“Alla fine degli anni '90, l'emergere del rischio ambientale e il moltiplicarsi di malattie, malformazioni tra neonati e morti legate alle attività militari, anche per l’utilizzo di uranio impoverito e materiale radioattivo, provocarono una reazione più ampia contro l'occupazione del territorio e le pratiche militari. L'incidenza di Linfoma di Hodgkin, leucemia, cancro alla tiroide e malattie autoimmuni tra il personale militare e i civili, rivitalizzò le azioni collettive. Due processi, durati anni, che mettevano sotto accusa i vertici militari per omicidio colposo e l’avvelenamento del territorio e delle acque, sono arrivati di recente a sentenza con l’assoluzione piena dei generali, tra cui gli ex capi di Stato Maggiore… Come era naturale aspettarsi per chi come noi conosce la natura e il ruolo della giustizia borghese! 

“Nel settembre 2014, a Capo Frasca, nell’Oristanese, in conseguenza di un incendio causato dall’aeronautica tedesca durante un’esercitazione, migliaia di persone si mobilitarono spontaneamente contro il poligono. Nel 2016, gli attivisti antimilitaristi si sono riuniti in assemblea e hanno creato un coordinamento delle varie organizzazioni: nasce così ‘A Foras’ (‘Andate fuori’), con lo slogan è ‘A foras Sa Nato de sa Sardigna!’ (‘Fuori la Nato dalla Sardegna’). ‘A Foras’ è composta da comitati, collettivi, associazioni, realtà politiche indipendentiste e singoli individui che si oppongono all’occupazione militare della Sardegna. Gli obiettivi dichiarati sono: il blocco delle esercitazioni, la completa dismissione dei poligoni, il risarcimento delle popolazioni da parte di chi ha inquinato e la bonifica dei territori compromessi.

“In seguito, si sono tenute numerose iniziative e mobilitazioni popolari, in parte coordinate da assemblee, in parte frutto della volontà di gruppi singoli: tra queste, il blocco, per alcune ore, della Trident Juncture, nel Poligono di Teulada, la più grande esercitazione militare dal secondo dopo guerra a oggi.

“Di fronte ai recenti sviluppi dello scontro imperialistico in Ucraina, A Foras ha indetto una manifestazione, il 16 ottobre u.s., nei pressi del poligono militare di Capo Frasca. Riportiamo le parole del loro comunicato: ‘Leggiamo dalla stampa come, nelle ultime settimane, a causa della situazione internazionale, gli apparati militari siano passati a un nuovo livello di mobilitazione: si tratta del warfighting. Come riporta un documento prodotto dallo stato maggiore della difesa «tutte le attività addestrative dovranno essere orientate al Warfighiting, uno stato di allerta che precede quello di guerra. In merito, viene disposto il rinvio di tutte le esercitazioni che non siano specificatamente indirizzate al mantenimento delle capacità operative». Ovviamente il centro di tutto sono i poligoni sardi. Le attività a Quirra, a Teulada e a Capo Frasca sono state intensificate. Se nella disposizione dello stato maggiore della difesa si legge che devono essere rinviate tutte le esercitazioni ‘superflue’ è evidente che quelle che si stanno tenendo in questi giorni siano indispensabili per l’aria di guerra che si respira in questi giorni. […] torniamo a manifestare a Capo Frasca, in una piattaforma comune con l’organizzazione corsa Core in Fronte, contro la Nato, contro l’uso della Sardegna e della Corsica in funzione della guerra, per un Mediterraneo di pace e per la sovranità popolare nelle nostre isole. Non possiamo permettere che in Sardegna vengano preparate le guerre che infiammeranno lo scenario internazionale. Non vogliamo essere complici del sangue che verrà versato’.

“La manifestazione del 16 ottobre.

Abbiamo partecipato alla manifestazione del 16 ottobre con la diffusione del nostro giornale e distribuito un volantino con il testo integrale dell’editoriale comparso sul n. 4/2022 di questo giornale: ‘Preparare il disfattismo rivoluzionario contro la guerra imperialista’. La manifestazione, svoltasi principalmente in una piccola frazione vicino alla base militare, è stata incentrata soprattutto sui discorsi dei rappresentanti delle singole minuscole organizzazioni che costituiscono il comitato A Foras, ognuno desideroso e preoccupato di presentare la propria organizzazione, davanti a un uditorio costituito quasi esclusivamente dai quadri delle altre organizzazioni, a parte un gruppo di giovani anarchici. Discorsi incentrati su democrazia, nazione sarda, popolo sardo, contro i colonialisti… Quanto alla futura guerra mondiale, è stata citata solo di sfuggita! Chiusi nel localismo non si vede nemmeno la tendenza attuale alla guerra: eppure, eravamo sicuri di essere a una manifestazione contro le basi militari, in un contesto di scontro tra imperialismi in atto!

“Colorita la presenza per lo sventolio di bandiere: Potere al popolo, Rifondazione comunista, indipendentisti vari, sardi e corsi, ognuno con la propria bandiera - Sardigna Nazione, Liberu, A Foras, movimento delle madri… circa 150 i partecipanti, che si sono presentati come ‘internazionalisti’ per avere un programma comune con gli indipendentisti nazionalisti della Corsica... L’internazionalismo sarebbe, secondo loro, l’unione dei nazionalismi! Nessuna presenza di proletari spinti alla lotta. Nessun richiamo al superamento di tutte le nazioni.

“I metodi di lotta proposti per raggiungere i loro obiettivi: l’elevazione delle coscienze, l’educazione, la crescita del movimento grazie alla sensibilizzazione su queste tematiche, attraverso campagne di informazione e la conquista di visibilità sui mass media. Ripetiamo: 150 i presenti! La lotta di classe? Assente!

“Il nostro giornale ha avuto una buona diffusione: gli unici che ci guardavano con ostilità e l’hanno rifiutato sono stati i più radicali tra gli indipendentisti – che negano per se stessi la definizione di nazionalisti (sic!) - e i giovani anarchici.

“Dopo una mattinata intera di discorsi sul popolo sardo, la nazione sarda e la sua riscossa, tra le urla dei giovani anarchici ormai stufi di sentire discorsi autoreferenziali, e che mostravano invece il desiderio di scontrarsi con la polizia, i presenti si sono incamminati verso un ingresso secondario della base… poiché l’avvicinamento all’ingresso principale era stato precluso dal prefetto. Qui hanno trovato la polizia schierata, ma la loro combattività si è e sciolta dopo un paio di fumogeni e la manifestazione si è velocemente dispersa, senza nessun disturbo alle esercitazioni militari. Lo Stato borghese e la Nato possono continuare con le loro attività militari, ben sicuri che da questi pacifisti non verranno problemi: al limite, lo Stato borghese e la Nato valuteranno se risparmiare la spesa per gli elicotteri che volteggiavano sulle nostre teste per tutta la mattinata e per la giornata di lavoro di tutti i vari agenti di polizia. Che pena!”

 

[1] Ci siamo occupati di questo problema in altri nostri lavori: “Uranio impoverito e miseria della politica borghese”, il programma comunista, n.1, gennaio-febbraio 2001; “Sardegna, un paradiso terrestre…con frutti avvelenati”, il programma comunista, n. 5-6, ottobre-dicembre 2018; “Dalla Sardegna: Pane e bombe”, il programma comunista, n. 2-3, marzo-giugno 2020.