Memoria di classe: De profundis ai Campi Elisi

Pubblicato: 2022-01-01 15:07:06

Sessant’anni fa, mentre la guerra condotta dalla Francia contro il movimento indipendentista algerino stava per concludersi dopo quasi un decennio di repressioni sanguinose con numeri elevatissimi di vittime civili nelle principali città di Algeri, Orano e Costantina, a Parigi la sera del 17 ottobre 1961 una grande manifestazione di algerini (uomini e donne, bambini e anziani) veniva attaccata in maniera selvaggia dalla polizia. L’ordine di reprimere la manifestazione pacifica per le vie della Ville Lumière proveniva direttamente dal prefetto Maurice Papon – quello stesso Papon che, dopo aver fatto una brillante carriera militare e politica (ah, la continuità!), essere stato insignito della Legion d’Onore proprio in quel 1961 e aver operato come Ministro delegato al bilancio in ben due governi fra il 1978 e il 1981 – risulterà poi, a seguito della pubblicazione nel 1981 di alcuni documenti riservati, uno dei principali collaborazionisti durante il governo filonazista di Vichy, responsabile del rastrellamento e della deportazione di 1600 ebrei nei campi di concentramento. Nel 1997, dopo un processo durato sei mesi, Papon verrà condannato a dieci anni di reclusione: fuggito in Svizzera e ricatturato, morirà nel 2007.

Il massacro della sera del 17 ottobre 1961 fece qualcosa come 200 vittime tra i manifestanti, abbattuti da raffiche di fucile e di mitra, colpiti da furibonde manganellate, torturati nei locali clandestini della polizia intorno a rue de la Goutte d’Or, gettati feriti o moribondi nelle acque della Senna (per qualche tempo, sul parapetto a fianco del Ponte Saint-Michel, non lontano da dove oggi, quasi invisibile al passante e poco leggibile, una targa ricorda gesuiticamente il fatto di sangue, campeggiava la scritta a mano “Qui si annegano gli algerini”).

A pochi giorni di distanza da quel massacro, su queste stesse pagine, comparve il breve ricordo che ripubblichiamo qui sotto: scritto a caldo e con passione, deve restare nella memoria dei proletari e dei comunisti.


 

Mercoledì, 18 ottobre 1961. La violenza è scatenata a Orano e a Parigi. Decine di migliaia di uomini, donne, ragazzi, proletari e sottoproletari, ragazze-madri coi loro bambini, fuori dalle bidonvilles e dai tuguri, si fanno schiacciare coi loro stracci, coi loro corpi, con tutta la loro vita, sotto le palme della incantevole città coloniale, in mezzo ai boulevards della città della luce. Muovono all'assalto, dai sotterranei infernali su cui sono eretti i pilastri d'acciaio della civiltà, muovono all'assalto del cielo, vogliono soltanto vivere e morire, morire e vivere, e l'assalto di questa massa nuda unisce infatti in un solo gesto disperazione e volontà, vita e morte. Gli eserciti dell'onore, le polizie dell'ordine, i gruppi dei piccoli borghesi amanti della famiglia, sparano, massacrano, corrono bestiali per le vie e per le piazze, esaltano la loro personalità, si ubriacano del loro Io. I partiti di sinistra, gli intellettuali del progresso, i professori, i tecnici, i giornalisti, si accaparrano voti, organizzano cocktails, visitano mostre di arte astratta, firmano manifesti contro la censura, leggono relazioni sul progresso tecnico. Si stampano molti libri: sull'Algeria, anche; sugli Algerini, anche. Raccolta di calze, di maglie di lana, di firme, vengono organizzate. Incontri ad alto livello sono avvenuti in Svizzera, dove algerini e francesi hanno discusso di questioni delicate protetti dalla polizia di due o tre paesi. Uomini ben vestiti, arrivati di lontano, da un meraviglioso Palazzo di Vetro, si sono occupati di questioni così spinose. Strumenti perfezionati hanno scoperto una cosa strana e preziosa, nel deserto: il petrolio.

Ma questi uomini, queste donne, questi paria, queste carni nude e straziate, mentre vengono schiacciati, mentre muoiono abbandonati nelle strade e nelle piazze della civiltà e della luce, non sanno nulla di tutto questo, disprezzano, odiano tutto questo, odiano tutta la sporca, infame civiltà e cultura che li uccide, e domani esporrà i loro cadaveri nelle vetrine, nei musei, sui giornali, al cinematografo, sul video.

L'affare è fatto. Altri cadaveri sono entrati nella produzione, sono stati trasformati, saranno venduti. Si impressionano le pellicole, girano le rotative, rimbombano gli altoparlanti. La carne dei morti viene venduta a peso: non chiede un salario, come la carne dei vivi. I corpi dei morti non vedono, non sentono, non parlano, non possono aprire la bocca per sputare in faccia a voi, poliziotti, preti, intellettuali, uomini politici: non possono gridare ciò che hanno visto, ciò che hanno capito, mentre venivano uccisi.

Essi, nell'atto supremo della morte, hanno riconosciuto nel volto di questi carnefici il volto di tutta questa civiltà e di tutti i suoi rappresentanti, essi hanno capito che tutti coloro che dicono di aiutarli, che scrivono di loro, li stavano in realtà uccidendo per poter commerciare coi loro cadaveri. Essi, mentre correvano per le strade, mentre si sentivano circondati e presi in trappola, perduti senza scampo, sono ritornati col pensiero, agli squallidi tuguri che recingono la città della luce, ai quartieri operai che circondano Parigi. E hanno compreso quali erano i loro fratelli, chi poteva aiutarli – le centinaia di migliaia di operai parigini e francesi, nudi come loro, come loro senza riserve, senza patria, senza civiltà. E certo, in cuor loro, hanno gridato la loro invocazione: “Perché non ci aiutate, compagni?”.

Ora, il loro sangue ha macchiato la “gloria della Francia”, i Campi Elisi. Perché non ci aiutate, compagni? Raccolgano i proletari italiani, francesi, tedeschi, africani, dell'Asia, dell'America, il grido muto di questi loro fratelli. I Campi Elisi sono stati macchiati, ancora una volta, di sangue proletario. Giorno verrà che i Campi Elisi verranno distrutti.

(da “il programma comunista”, n.20, 1 novembre 1961)