Russia e rivoluzione nella teoria marxista - Parte I (Rivoluzione europea e area "grande slava")

Pubblicato: 2021-01-21 18:25:57

 

31. Forma asiatica addensata e rada

Il continente asiatico, essendo il più esteso e nello stesso tempo il più panciuto nella forma, dimodoché ha il minimo "raggio medio", ossia ha poco sviluppo di contorni (coste) relativamente alla superficie, vede aggravato il carattere delle vaste pianure distanti dai mari, che è il carattere negativo dell'area grande-slava, ultima esaminata in Europa. Ma tali pianure hanno caratteri opposti a nord e a sud, all'ingrosso, quanto a influenza dei massicci montani; e le influenze di questo tipo sul clima – e la feracità dei terreni – si sommano con l'effetto della latitudine. Vi sono infatti, nell'ombelico dell'immenso ventre di terra, i monti più alti del globo, e ne scendono naturalmente colossali fiumi.

I monti sono relativamente vicini alle coste meridionali, che non mancano di mediterranei o di mari interni aperti sull'oceano caldo, con arcipelaghi grandiosi. I fiumi hanno relativamente breve percorso e recano deiezioni e limi fertili dai complessi montani in disgregazione, e tutto ciò, aggiunto ai climi temperati e caldi e alla favorevole insolazione, rende le terre atte ad accogliere e nutrire popolazioni a densità altissime, che superano le stesse di Europa. Legano le vie fluviali coste calde e mari ben navigabili in tutte le stagioni, e tutto ciò ha facilitato l'insediamento dei popoli e la fine del nomadismo. La forma terriera di produzione ciclica e fissa che ne è derivata ha conservato, soprattutto in India, il primitivo comunismo di villaggio senza partizione di privati possessi, ad esso sovrapponendo un sistema di stato politico e di "società civile" generato nelle lotte per conservare le sedi contro mille invasioni di popoli in frenetico aumento demografico, con poteri locali e centrali, e con caste sociali, rendendo le comunità lavoratrici serve e tributarie del signore guerriero, e della gerarchia sacerdotale, con una precoce formazione di città grandissime abitate da miseri artigiani e semischiavi. Più volte ricordammo le idee di Marx sull'immobilismo storico di un tale sistema[59]: nella misura in cui l'originario "microcomunismo" della produzione rurale non si è risolto nella parcellazione delle aziende, si è allontanato lo slancio verso una produzione generalmente mercantile con ogni forma di scambi tra sedi non prossime; e sono queste le caratteristiche della "ricchissima" storia europea.

In Cina – ma non è oggi questo l'argomento –, con analoghe densità umane e abbondanza, in genere, di prodotti di consumo alimentare, si è giunti ad una forma più simile al feudalismo del medioevo europeo, con una classe di contadini servi ad esercizi familiari distinti tra loro assoggettati ai signori, e sotto una rete ampia di controllo di una burocrazia statale sia pure vagamente centralizzata. Le evoluzioni che ne sono sorte sono dunque oggi sulla soglia di una risoluzione rivoluzionaria in forme mercantili, quale quella che traversò l'Europa con le rivoluzioni dell'Ottocento e le relative lotte per stati-nazioni solidamente organizzati?

Qui ci importa dire delle diverse condizioni di ambiente fisico che si hanno nell'Asia del nord. I grandi monti sono qui lontanissimi dalla gelida costa artica: i fiumi dal lunghissimo corso abbandonano presto le utili sedimentazioni e corrono limpidi, ghiacciati e lenti senza poter servire né a fertilizzare le steppe sterminate né a facilitare le comunicazioni, mentre le foci ne sono inaccessibili e sconosciute. La Siberia con densità vicina a zero non sarà che una colonia dei russi europei; verso l'Asia centrale vivrà fino ad oggi la nomade armentizia come fondamentale forma produttiva: il capitalismo moderno, che rovesciandosi fuori di Europa ha fatto debordare le mature forme organizzate oltre i limiti e le barriere naturali, come ha tagliato gli istmi a Suez e Panama, e sorvola oggi con le linee aeree le calotte polari, con le mani dell'odierna Russia vuole dotare questo campo nord-asiatico addirittura di un grande mare interno, progetto più spinto ormai del rovesciamento del corso del gonfio Jennissei dal nord all'ovest verso il mare-lago di Aral, rivoluzionando così il clima delle aride sterili steppe centrali. Un analogo progetto, anche quando non si aveva l'energia atomica che dovrebbe essere usata in Asia, giusta i riferimenti, fu fatto molto tempo fa dai francesi per il Sahara, che divenendo un mare avrebbe sponde feraci, sfuggendo al destino desertico connesso appunto con la troppa distanza da frastagliamenti accentuati della crosta terrestre, per cui i fiumi sono addirittura inghiottiti dalla sabbia, non si diffonde il chimismo organico, e il tutto-potente spirito cade con ali miseramente tarpate tra le ossa calcificate dal sole di rari beduini.

32. Quattro itinerari del capitale

Le opere giganti non furono ignote a Stati antichissimi, cui furono possibili perché il dispotismo asiatico, avendo domata l'autonomia delle gentes comuniste, si accampava su territori abbastanza nutritivi da poter dare sussistenza a grandi masse senza doverle ridurre, come nella semi fertile e semitemperata Europa germanica, a miseri parcellari legati al cantuccio di gleba; senza di che sarebbero crepati di fame servi e signori. I Faraoni regolarono il Nilo con dighe e canalizzazioni possenti: i babilonesi e gli assiri fecero cose simili in un territorio analogo geograficamente, tra i grandi fiumi Tigri ed Eufrate, ricchissimi di acque fertilizzanti scese dai picchi del Caucaso e di altre catene immense. La grande Semiramide, che per i mezzi-colti è celebre come grande meretrice, è ricordata ai posteri in una ultramillenaria epigrafe – sia o meno stata lei come persona a disegnare non il volto di belletti ma i papiri di tracciati grandiosi – come quella che levò altissimi palagi, circondò Babilonia di mura sulla cui sommità correvano sette file di cocchi, domò i fiumi, prosciugò le paludi e irrigò sterminati deserti.

Roma, avendo ancora gli schiavi e i vinti, seminò le terre di strade, ponti, canali e acquedotti, oltre ai capolavori dell'edilizia monumentale. Ma i popoli e le storie di parcellari coltivatori del suolo nulla hanno eretto; sono gli artigiani dei centri, precorrenti coi Comuni le potenze borghesi moderne, che hanno nell'alto medioevo levato le grandi cattedrali, monumenti vòlti più allo spirito vagante fra due storie che alla naturale realtà fisica.

Perché le moderne costruzioni ed impianti sorgessero e allacciassero il pianeta intero con reti di cui il pensiero fa fatica a rappresentarsi la sintesi, dovette essere a disposizione il lavoro associato, la cooperazione subordinata di molte braccia a un ordine solo. Non essendovi più schiavi, comodi con popoli poco densi rispetto a un ricchissimo potere, e non bastando i servi, e neppure i loro diretti eredi, i contadini liberi piccoli-coltivatori, si dovettero attendere i salariati e il capitale che anticipasse le magre sussistenze per la loro offerta, mal definita libera, e soltanto gratuita, come per il taglio dell'istmo di Panama in cui ne morirono di febbre il cinquanta per cento.

Non il libero spirito ma la servitù del braccio ha reso possibili le vaste costruzioni che oggi ricoprono il mondo conosciuto: ed è soltanto la forma capitalistica di produzione che è suscettibile di andarle a fare, sol che lo voglia, da un capo all'altro dello sferoide. E così il capitale, e non lo zar, che taglia la Nordasia con la ferrovia transiberiana, la più lunga del mondo.

Ed abbiamo così – per risolvere il problema russo posto da Marx-Engels in teoria, da Lenin in teoria e nell'azione – tracciato quattro vie itinerarie, con cui la barbarie umana, schietta e comunistica, cerca di attingere la fase del capitalismo.

Con la via asiatica da cui vogliamo cominciare, l'agricoltura fissa, fonte di tutta la ricchezza (ricchezza è massa disponibile di sussistenze per stomaci subordinati), è gestita in forma non individuale ma di villaggio: coi prelevati tributi si regge la signoria di Stato o la teocrazia e si armano soldati, o si organizzano schiavi nelle opere pubbliche: come questo mondo si avvia verso il possesso diviso della terra, la produzione di merci, la manifattura in grande e l'industria, è trattato a suo luogo.

Con la via classica antica, liberi coltivatori prendono a coltivare lotti di terra. Proprietari di schiavi, organizzati in uno Stato politico giuridico perfetto e centrale, gestiscono grandi terre, ed anche notevoli commerci e manifatture in grande: artigiani della città e coloni delle terre sono liberi cittadini delle antiche democrazie. Ricchezza creata dallo schiavo e dal plebeo è a disposizione del patrizio, del mercante e dello Stato. La partenza del processo non è il soggiogamento di libere gentes, ma il loro spontaneo spartirsi la terra. Il suo arrivo è il decadere dello schiavismo, forma di troppo consumo perché lo schiavo non è gratuito e, in una popolazione fitta, è passivo; lo spezzarsi della unità statale; il rattrappirsi delle imprese imperiali nelle isole chiuse di produzione-consumo agrario del medioevo.

Con la via germanico-feudale, connessa alla cristiana soppressione dello schiavismo, le comunità egualitarie nomadi e fisse di popoli venuti dai margini dell'impero si trasformano in gruppi di servi, accomandati al signore guerriero, il cui sistema gerarchico si sposa a quello della nuova chiesa: prevale la piccola azienda agraria familiare, che deve al feudatario lavoro e prodotti: il prelievo sociale è modestissimo, la pubblica economia deficiente, lo Stato centrale lontano e assente, la manifattura misero complemento del lavoro familiare. Classicamente questa forma si svolge nel mercantilismo e nel capitalismo, con lo sviluppo del lavoro artigiano, del commercio interno ed estero, di una agricoltura industriale a grandi aziende, che disperde finalmente il giogo, la palla di piombo, del parcellamento contadino; e infine della grande industria.

Con la via russa, o grande slava, si presentano certe difficoltà nel riapplicare il nostro schema che così bene collega i tipi umani: despota, schiavo e comunità serva in Asia – patrizio schiavo e cittadino in Roma – nobile e servo in Europa – capitalista e salariato nel moderno mondo bianco.

Lo sciogliersi del comunismo primitivo agricolo nella forma romana del perfetto possessore personale e privato del suolo, o nella forma germanica di soggezione personale del servo della gleba al signore – indiscutibile momento propulsore di tutto il processo che condurrà al mercantilismo generale, al privato industrialismo, al capitalismo infine, e al socialismo, in quanto saranno gli ultimi prodotti sociali, i salariati proletari, ad afferrare la direzione della società –, forse in tale area non si verificherà?

Forse i contadini, comunisti nel rapporto reciproco, servi nel rapporto col signore, come in Germania, e di più nel rapporto col già nato possente Stato centrale militare sacerdotale burocratico, senza divenire proletari, scateneranno la rivoluzione socialista? E nel farlo diverranno proprietare, secondo i vari Tkaciov, saranno insieme proprietari e rivoluzionari?

Diciamolo subito: in questa nostra trattazione, mentre si ammettono e seriamente si considerano le particolarità storiche e sociali, fin qui tratteggiate, del campo grande slavo, noi andiamo alla decisa risposta: NO. Una rivoluzione comunista senza salariati come classe sociale di base – salariati del capitalista privato o statale non cambia nulla – la storia non l'ha vista, né la vedrà.

33. La comunità rurale e la Russia

Allorché Engels, come abbiamo preso ad ampiamente riferire, prende in esame le cose sociali della Russia, egli è colpito dal fatto che tutti i russi che si sono vòlti alla teoria socialista sorta in Europa, e sono nello stesso tempo avversari del regime zarista e attenti osservatori delle lotte di classe in occidente, si richiamano ad un elemento di socialismo che è presente nella arretrata Russia, ove i proletari delle città (parliamo del 1875) non mostrano di avere ancora un compito proprio, ma fremono nelle campagne i contadini contro lo Stato dispotico e i boiardi, in difesa dei diritti delle loro numerosissime comunità locali di lavoro agrario.

Noi per utile esposizione di punti essenziali abbiamo generalizzato il problema alle primissime comunità delle genteindipendenti, che precedettero la proprietà privata del suolo; ma, venendo più direttamente alla Russia, è il caso di vedere come Engels definisce il già svolto corso fino al 1861, anno della riforma semiborghese, che eliminò in certo modo almeno giuridicamente la servitù, e dopo gli effetti di quella emancipazione legale che in sostanza
condusse ad una ulteriore depressione economica per la massa contadina lavoratrice.

Quel residuo storico del comunismo primitivo aveva infatti già incorporato una serie grandissima di impurità, su cui Engels porta la sua attenzione nell'intento di applicare alla Russia il metodo marxista con scientifica sicurezza, e nello stesso tempo di non disprezzare la generosa posizione di chi allora voleva evitare il trapasso attraverso il capitalismo, che anche nel rigore marxista può essere trapasso obbligato e in questo senso affrettato, ma non, come oggi si direbbe, apologizzato, magnificato come una tappa eccelsa di conquiste umane.

Ritorneremo dunque alle citazioni ed ai commenti.

«L'artel'» dice Engels nel testo già richiamato, «che il signor Tkaciov ricorda soltanto di sfuggita, ma di cui ci occuperemo qui perché, dai tempi di Herzen, occupa un posto misterioso nella ideologia di molti russi, è una forma di associazione largamente diffusa, la stessa forma più semplice di cooperazione volontaria che si ritrova fra i popoli cacciatori nell' esercizio della caccia. Sia il nome che la cosa sono di origine non slava, ma tartara, e ricorrono fra i lapponi, i samoiedi ed altri popoli finnici [Asia artica] da un lato, fra i kirghisi, i jakuti [Asia centrale] ecc., dall'altro»[60].

Non solo dunque la verità storica o anche preistorica ci porta fuori dell' asfissiante lode alla coltivazione individualistica della terra, e ci mostra che la prima forma stabile di produzione degli alimenti fu per gli uomini comunista, ma ci mostra che anche le attività non stabili, le forme di raccolta di alimenti da consumare non precedute da «coltivazione», come la pesca e la
caccia, furono all'inizio esercitate in forma collettiva: tutti cacciavano insieme e insieme consumavano la selvaggina. Se già il popolo agricoltore impara a mangiare ad ore fisse, queste prime comunità cacciatrici o piscatorie lavorano sempre, e quando l'orso o la foca cadono loro preda fanno una poderosissima spanciata comune: gli stessi cani a gran diritto vi prendono parte. La civiltà in scatolette non è ancora nata.

Il cacciatore singolo presto morirebbe, data anche la primitività dell'attrezzatura, mentre riesce a vivere l’artel' di cacciatori. Un simile fatto è del più grande interesse, non per propaganda etico-utopistica, ma come arma di lotta contro l'addormentamento dei moderni rivoluzionari con l'inno alla santa proprietà personale e familiare, che i comunisti di tipo russo odierno vomitano senza posa.

Engels dà un'interessante spiegazione dell'uso della parola artel' per ogni altra specie di associazione a tipo cooperativo che in Russia si è sviluppata mentre nell'Europa di occidente sorgevano le prime cooperative operaie di produzione, come le filature del Lancashire e tante altre. Se in tutti i testi del marxismo (vedi perfino l'Indirizzo inaugurale della I Internazionale[61]) si mostra largamente come queste non abbiano nulla a che vedere col socialismo, qui Engels mostra che gli artel' restano ancora di gran lunga indietro. Vi erano artel' di lavoratori dello stesso mestiere, di facchini, etc., e perfino artel' per gestire imprese manifatturiere.

Ma questi organismi non hanno mezzi, non hanno sedi, sono presto vittime di strozzini, e si affittano quando svolgono attività industriali al privato capitalista che dà loro la sede stabile e qualche anticipo per spese e sussistenze, cadendo nell'orribile sfruttamento del famoso trucksystem[62] d'Inghilterra.

Tale dimostrazione mira a questo concetto: un'isola comunista locale poteva nella preistoria essere un vero comunismo, poiché era tanto lontana da altri gruppi umani da non essere sfruttata: abbiamo poco fa usato il termine di microcomunismo.

Ma può sopravvivere una comunione di famiglia o di villaggio, e ad essa sovrapporsi lo sfruttamento tributario del despota, dello Stato: andiamo allora ancor più lontano dal comunismo nel senso nostro: non vi sono classi di proprietari e non-proprietari nell'isola o villaggio, ma ve ne sono nella società. Essendo per noi socialismo o comunismo la società senza classi, e nello stesso tempo senza isole chiuse, non avrà mai a che fare col nostro programma ogni gestione collettiva solo perché limitata, ieri alla famiglia o al villaggio, oggi all'azienda o all'impresa[63].

Basarsi quindi su un sistema di artelsfruttati, o anche di cooperative presenti nel campo del mercato moderno generale, per fondarvi una società comunista, è assunto privo di senso, anzi pericolosamente opportunista.

34. Engels e la filosofia del mir

Il solito Tkaciov si dà a vantare che il popolo russo, malgrado la sua ignoranza (non certo i marxisti gli imputano tale ostacolo), è penetrato dai princìpi della "proprietà comunista". A questa stregua è comunista anche il condominio di un fabbricato: i giuristi infatti chiamano comunisti i possessori dei singoli appartamenti. Il governo zarista sarebbe stato allora dedito ad inculcare nei contadini russi l'idea della proprietà individuale «con le baionette e il knut». Insomma, «il popolo russo… è molto più vicino al socialismo che i popoli dell'Occidente europeo».

«In realtà», Engels gli replica, «la proprietà comune della terra è un’istituzione che si ritrova, a un basso grado di sviluppo storico, presso tutti i popoli indoeuropei, dall'India all'Irlanda, e perfino tra i malesi che subirono nella loro evoluzione l'influenza indiana, per esempio a Giava [Engels vuol notare che sono di razza mongola]. Ancora nel 1608, la sopravvivenza della proprietà comune nell'Irlanda del Nord da poco assoggettata fornì agli inglesi il pretesto per dichiarare "senza padrone" la terra e, quindi, confiscarla a favore della Corona»[64].

I lontani gaelici non erano ancora stati raggiunti dal diritto romano, che non ammetteva la res nullius, la cosa di nessuno (in cui res vuoi dire immobilee che si sposò tanto bene con l'economia mercantile borghese, come ricordammo in Proprietà e Capitale coi due famosi motti francesi: L'argent n'a pas de maître – Nulle terre sans seigneur[65].

La comunità rurale era generale in Germania, e ne sono un resto le terre collettive, che si spartiscono periodicamente tra i singoli coltivatori nella forma moderna (ricomposizione, anche nei territori ex-austriaci d'Italia). Tale forma di proprietà divenne presto un impaccio alla produzione e fu tolta via anche in Polonia e Piccola Russia. Ma nella Russia propriamente detta sopravvisse, e offriva la prova che la produzione agricola e i rapporti sociali che le corrispondono nelle campagne «si trovano tuttora a un grado decisamente inferiore di sviluppo – come stanno le cose in realtà [scarsa fertilità, bassa densità di popolazione]»[66].

Qui Engels fa di una società fondata sul mir una critica fondamentale, e suscettibile di ampi sviluppi. «Il contadino russo vive tutto immerso nella sua comune: il resto del mondo esiste per lui solo in quanto interferisce in essa»[67].

Ritorna qui il concetto marxista su cui abbiamo tanto lavorato: l'isola chiusa di lavoro e consumo, che si ha tanto in un microcomunismo di villaggi soggetti ai nobili o allo stato dispotico, quanto nella servitù feudale che tiene un mosaico di minimi campicelli familiari sotto un unico signorotto, e vieta ogni' evasione delle persone e delle famiglie, è un sistema premercantile, ma per ciò stesso è un sistema chiuso non solo allo scambio delle merci, ma anche a quello di ogni sovrastruttura sociale, sia della cultura che preoccupa i borghesi, sia del senso di classe che interessa noi rivoluzionari e che ci soddisfa anche se è nel singolo un semplice istinto, divenendo teoria nel partito che unisce la classe sopra tutte le isole, da quelle di villaggio e di campanile a quelle nazionali.

«Ciò è tanto vero che, in russo, la parola mir significa nello stesso tempo "il mondo", o "l'universo", e "la comune", veš mir (il mondo intero), l'assemblea dei membri della comune. Se quindi il signor Tkaciov parla della "concezione del mondo" dei contadini russi, è evidente che ha tradotto male il russo mir.

«Un isolamento reciproco così assoluto delle comuni rurali, che genera in tutto il paese interessi bensì eguali, ma tutt'altro che comuni, è la base di partenza del dispotismo orientale; e questa forma sociale, dovunque è prevalsa, dall'India fino alla Russia, l'ha sempre prodotto, vi ha sempre trovato il suo coronamento. Non solo lo Stato russo in genere, ma la sua forma specifica, il dispotismo zarista, lungi dall'essere sospeso in aria [Tkaciov aveva preteso che lo Stato fosse presente nei paesi capitalistici, dove vi sono precisi interessi di classe, non in Russia, dove non vi era borghesia e lotta economica fra le classi: la risposta di Engels è importante per la questione del capitalismo statale e dello Stato di classe in rapporto alla definizione statistica di una classe come settore della società[68]; gli stalinisti potrebbero oggi dire che non si può definire capitalista lo Stato di Mosca perché ciò equivarrebbe a sospenderlo in aria]è il prodotto logico e necessario delle condizioni sociali russe»[69]. Nulla quanto la suggestiva identità della parola che indica allo stesso tempo il mondo sociale e fisico e quel "microcosmo" che era il villaggio russo primitivo, e comunista in senso assai largo, può servire al confronto fra i compiti storici cui possono assurgere da una parte il contadino (e tanto peggio se, da membro del mirè ulteriormente decaduto a coltivatore molecolare, come in Occidente) e dall' altra il lavoratore salariato sia dell'industria, sia delle campagne coltivate in grandi aziende moderne.

È questione dell'orizzonte sociale che nei due casi si apre. Quello del contadino si chiude a una spanna dal suo occhio, e poco o nulla contiene di diverso da ciò che è immediata sua personale esperienza, sua soggettiva condizione. È orizzonte limitato alla breve cerchia del natio villaggio: dal quale non si può in genere mai allontanare, sia esso servo della gleba, sia componente del mir, sia proprietario coltivatore; legato in ogni caso alle sue condizioni di lavoro (la terra comunale, o peggio la schiappa del suo possesso familiare) con catene che avvincono la fisica sua persona.

Il lavoratore salariato moderno ha all'opposto un orizzonte di esperienza e di vita che diviene sempre più vasto. Non è legato a una località, a un'azienda e nemmeno a una nazione. Man mano che il capitalismo lo rende nullatenente, per collocarlo al lavoro non gli chiede nessuna "scorta" nemmeno minima di mezzi d'opera, nulla oltre il suo braccio e il suo corpo; e la fluttuazione delle condizioni di impiego rende sempre più probabile e facile il suo spostamento dall'uno all'altro dei luoghi di lavoro. Ed anche quando resta nella stessa fabbrica o azienda (sia pure questa una conduzione rurale) egli non si vede affiancato solo da esseri che fanno gli stessi suoi gesti, gli stessi suoi sforzi, dalla zappatura al raccolto, ma constata tra sé e i suoi compagni una varietà sempre più estesa di compiti di lavoro. Anche fuori dell'orario di fabbrica i suoi rapporti sociali sono di una ricca eterogeneità in confronto a quelli secolarmente immobili del contadino; mentre in una sola generazione l'ingranaggio sociale e aziendale muta tante volte di forme e di rapporti, da fargli percorrere tutta una gamma di svariate posizioni nel lavoro e nella vita.

Il piccolo agricoltore non esce dal suo guscio se non per la esperienza militare e, peggio, di guerra, che gli mostra altri paesi ed altre relazioni, tuttavia a loro volta uniformi e rigide, per poi, se superstite, rimpiombarlo nel suo angolo oscuro. E ciò che è limitatezza di orizzonti nello spazio, lo è anche nel tempo: il contadino che non guarda oltre la sua ristretta cintura non vede nemmeno mutamenti dell'ordine sociale e della storia, non può arrivare a rivendicazioni e programmi per una rinnovata struttura sociale. Lo stesso fenomeno della emigrazione dovuta alla indigena miseria, quando non lo vietino antichi e moderni impedimenti, non è che un momento della proletarizzazione che di colpo lancia nuovi diseredati nel vortice dell'economia capitalistica e nella sua bufera infernale che rotea su continenti e mari: eppure, il più delle volte, per anni e decenni egli non sogna che di tornare a rinchiudersi nell'avita e fredda cellula da cui partì.

Tutto questo insieme di differenze e di antitesi, lumeggiate da classici passi del marxismo e dalla famosa definizione del contadiname come una classe di primitivi barbari rimasta incapsulata nella società attuale, di cui subisce tutta l'infamia sommandola con la limitatezza e l'oscurantismo dei regimi che l'hanno preceduta, sta a dimostrare quanto sia insensata l'idea di togliere dalla mano del moderno salariato la fiaccola della rivoluzione sociale, per affidarla a quella impacciata e anchilosata del contadino.

35. Snaturarsi storico della comunità

«Anche qui, l'ulteriore evoluzione in senso borghese della Russia distruggerebbe a poco a poco la proprietà comune, anche a prescindere dall'intervento del governo per accelerare questo processo servendosi "delle baionette e del knut". Ciò avverrebbe tanto più, in quanto [nel 1875] i terreni comunali in Russia non sono già più coltivati in comune, in modo che soltanto il prodotto venga ripartito, come accade tuttora in certe zone dell'India, ma, al contrario, il suolo viene periodicamente distribuito fra i singoli capifamiglia, ognuno dei quali coltiva in proprio l'appezzamento ricevuto [e ne consuma con i suoi il prodotto]»[70].

Occorre riflettere su questo passo fondamentale. Due caratteri del comunismo primitivo si sono perduti. Uno è quello che la comunità non debba versare all'esterno tributo alcuno (di denaro, prodotto, o forza di lavoro) e lo abbiamo illustrato più sopra. Tale carattere è perduto anche in India; esso si perde non appena nella vecchia società barbara senza poteri appare la prima forma di Stato, a territorio più o meno esteso, e con esso nascono la divisione in classi e l'appropriazione di sopralavoro.

Quel carattere di autonomia e ugualitarismo interno totale della gens, come altra volta vedemmo[71], si conservò ancora dopo che le gentes, troppo avvicinate rispetto alla terra libera, si fecero guerra: questa si concludeva col fisico sterminio di una delle due, non coll'assoggettamento a tributo o a schiavitù, ridivenendo adeguato il rapporto tra superficie e popolazione. Forma barbara: ma migliore forse quella della guerra odierna, che fa correre fiumi di sangue e tuttavia fa aumentare la miseria generale per tutti?

Il secondo carattere che si è perduto è quello veramente comunista, sia pure microcomunista, per cui ogni singolo e ogni gruppo familiare (la gens originaria è appunto, anche nei vincoli di sesso e sangue, unica famiglia) non mette il suo consumo in relazione col suo sforzo di lavoro. Il lavoro è dato in comune, e indistinto; il consumo è anche in comune e al più con una spartizione pro capite dei risultati dei raccolti. Nessuna lottizzazione quindi dell'area di terra coltivabile su cui la comunità è insediata.

Tutto cambia quando invece, in partenza di ogni ciclo stagionale, si tracciano tanti campicelli entro i quali si svolge opera lavorativa e raccolto singolo. Ritornando allo schema che abbiamo premesso (solito paziente nostro metodo per raggiungere il nocciolo vero delle questioni, tralasciando finezze erudite e ingombro di particolari non essenziali sfruttabili dai soliti imbonitori e intorbidatori avidi di scappatoie) ben potremmo dire che nel tipo romano la comunità si spezza decisamente con la lottizzazione tra campi non più suscettibili di "rifusione", nello stesso tempo che assumono moderna forma i rapporti di famiglia monogama e successione ereditaria. Si realizza tra i possessi parcellari una totale continua e definitiva indipendenza: di più alle origini di vera democrazia (tuttavia schiavista perché con la terra possono possedersi ed ereditarsi schiavi) il cittadino piccolo agricoltore non versa tributi a nessuno. Le imposte per lo Stato, nella forma sviluppata, non sono ancora tanto uno sfruttamento di classe, quanto un compenso alle distribuzioni statali di terra conquistata ai nemici. Presto il "libero" contadino sarà sottoposto ad angherie di funzionari, strozzini, mercanti e così via. Teoricamente nel regime di diritto romano si salta dalla libera gens comunista alla proprietà individuale irrevocabilmente spartita: gli stessi rigidi confini chiudono la piccola azienda e la piccola proprietà.

Anche nel tipo germanico libero, l'esercizio in comune della terra comune della tribù cede il passo a tanti esercizi isolati, anche liberi: solo che i lotti vengono ogni anno riformati di uguale importanza; tale misura, finché resiste, in genere tende a mantenere la parità di consumo e tenore di vita fra tutti i componenti della tribù: è impedita quella che si potrebbe chiamare l'accumulazione dei prodotti e anche dei mezzi di esercizio, ottenuta sia pure con un primo tipo di astinenza. Questa forma libera diventerà soggetta con la feudale accomandita: il signore preleverà tributi, si assumerà di rendere stabile il confine esterno, si arrogherà il diritto di spartire tra i suoi servi la terra da esercire: piccole aziende di lavoro, unica giurisdizione feudale, che non è proprietà della terra (in grande) nel senso latino, ma è diritto personale su un dato gruppo di famiglie legate alla gleba.

In Russia al momento della riforma del 1861 le comunità originarie sono del tutto degenerate. Hanno perduto l'autonomia perché sono (la metà circa) tributarie di nobili alla maniera feudale, ovvero direttamente tributarie allo Stato amministrativo centrale (tipica caratteristica del modello grande slavo). Hanno abbandonato la comunione vera di lavoro e di consumo poiché, anche alla maniera germanica, hanno smistato la grande azienda comune in tante piccole aziende familiari, tutte serve o del boiardo, o dello Stato, o di istituti religiosi.

Benché in origine tutto il tributo sia pagato in natura o in tempo di lavoro, ha inizio in questi rapporti la forma monetaria mercantile, e come era sparita da secoli l'indipendenza economica, così si disperde sempre più l'uguaglianza economica.

36. La discesa sociale del mužik

Torniamo ad Engels per la descrizione del fenomeno, già noto agli studiosi al tempo in cui scriveva, e noto alle masse fuori di Russia dal tempo delle rivoluzioni che posero questo problema al mondo, da quando poterono contare sulle prime gloriose avanguardie dei proletari delle grandi città, più che non avessero potuto farlo intellettuali filantropi e letterati anche insigni.

«Fra i membri della comune può quindi generarsi – e si genera in realtà – una profonda differenziazione economica e sociale: quasi dappertutto esistono contadini ricchi – qua e là perfino milionari – che praticano lo strozzinaggio e dissanguano la massa dei coltivatori diretti».

Lo stesso Tkaciov scrive nel suo opuscolo in lingua russa: «Nella massa dei contadini si sta formando una classe di kulaki, compratori e affittuardi terre contadine e nobiliari, un'aristocrazia campagnola»[72].

Sono le forme mercantili borghesi che, sotto lo stesso regime zarista, monopolizzatore finora dello sfruttamento del mužik insieme al nobile, affiorano e cominciano anche in loco a tessere la trama dell'accumulazione sperequatrice.

Il testo prosegue:

«Il colpo più duro venne alla proprietà comunale, ancora una volta, dall'abolizione delle corvéesLa nobiltà [con la riforma del 1861, e in cambio dell'antico diritto di far lavorare per sé i servi, in dati giorni, senza compenso] ricevette la parte più grande e migliore dei terreni; ai contadini non restò che il sufficiente, e spesso neppure sufficiente, per vivere [sia pure in forma di proprietà e senza obblighi di tributo in lavoro e di decime; tuttavia, mentre i nobili pagavano imposte per 15 milioni di rubli sulla loro mezza Russia, i contadini "liberati" ne pagavano allo Stato per 190 milioni].

«Inoltre, i boschi essendo stati attribuiti ai nobili, oggi il contadino deve acquistare la legna da ardere [genere, in Russia, di prima necessità], da opera e da costruzione [in paesi di case in legno], che prima poteva abbattere liberamente [nei boschi del comune]: non ha più, quindi, che la casa e la terra nuda senza i mezzi per coltivarla, e in media dispone di una superficie che non basta [la fame di terra!] a sostentare lui e la sua famiglia da un raccolto all'altro. In queste condizioni, e sotto il giogo delle imposte e dell'usura, la proprietà comune non è più un dono del cielo; diventa una catena, e spesso i contadini l'abbandonano, con o senza famiglia, per sfamarsi come lavoratori nomadi e piantare in asso la terra»[73].

Va notato come questa tendenza dei contadini spinti dalla disperazione a rompere il tradizionale orizzonte e a liberarsi dalla eterna aspirazione al possesso del lembo di terra sia, in effetti, il vero lievito rivoluzionario che mina le basi della vecchia società: per i marxisti tutto il vario e petulante movimento per riportare il contadino alla terra e fissarvelo con nuove lottizzazioni, con requisizioni delle terre dei nobili, quando riportato alla scala generale e non considerato come un fattore contingente di crisi e sommovimento alle svolte rivoluzionarie, vale alla fine come un coefficiente di controrivoluzione e conservazione. A tale stregua vanno giudicati i tentativi di legare lavoratori al suolo agrario nei vari paesi contemporanei con le riforme fondiarie che non tendono a fondare una tecnica agraria moderna ma al pullulare di miriadi di piccolissime aziende. In sostanza sono ispirati alla stessa direttiva i russi cholchoz, che a lato di una attività di produzione in comune conservano come fondamentale risorsa di vita l'attribuzione di piccoli lotti individuali a ciascuna famiglia associata, il che non è, alla fine, che un nuovo sistema di prelievo di tributo sociale dal lavoro nelle campagne: se in misura aumentata o con migliorato rapporto tra i vari fattori, non ancora è il luogo di discutere[74].

37. Passato e futuro della coltura collettiva

Siamo alla fine dell'analisi di questo aspetto comunistico della società russa, assunto da quelli che ne volevano fare uno scalino al socialismo generale. Si è trattato, prima, di stabilire quanto erano scaduti i caratteri collettivistici della forma esaminata. Ora si vedrà che possibilità hanno di nuovi sviluppi, e a quali condizioni storiche.

«Insomma, in Russia la proprietà comune si è lasciata da tempo alle spalle il suo periodo d'oro, e tutto lascia presagire che vada incontro ad uno sfacelo completo. Esiste tuttavia innegabilmente la possibilità di sollevarla ad un piano superiore, se questa forma sociale si mantiene abbastanza a lungo perché le condizioni necessarie a tal fine maturino, e se si dimostra capace di evolvere in modo che i contadini coltivino la terra non più singolarmentema in comune; di sollevarla a questo piano superiore senza che i contadini russi
debbano attraversare lo stadio intermedio della proprietà parcellare borghese»[75].

È marxisticamente proprietà borghese non solo ogni proprietà privata, ma quella in cui il ciclo lavoro-consumo non è più locale, e tutti i prodotti anche del suolo hanno forma di merci.

Chiudere il ciclo lavoro-consumo nell'ambito personale-familiare non significa superare la forma borghese, ma restarvi indietro: restano infatti lettera morta le conquiste della divisione tecnica del lavoro e della collaborazione nei diversi momenti produttivi.

Può andare oltre la forma borghese un ciclo, in una prima forma anche territorialmente ridotto, di lavoro-consumo in cui produrre e consumare siano atti compiuti in comune, anche se le mansioni tecniche siano diverse. Comunque il passo dalla piccola alla grande azienda è sempre passo in avanti, anche se il ciclo diretto lavoro-consumo diviene lavoro-moneta-consumo. Il vecchio Engels chiedeva comunisti e non colchosiani!

Tecnicamente, socialmente, politicamente, quale sarà la figura del colchosiano? Prevarrà in lui il carattere del lavoratore partecipante con mille altri ad una delle tante gamme della produzione organizzata con tutte le risorse tecniche, o quello del "tutto fare" che si dimena nei limiti angusti del campicello assegnatogli, e vi fa con pari impegno e limitatezza tutti i mestieri, spinto ad immolare le ore del riposo, e dello sguardo oltre quel misero orizzonte, dall'incentivo di un boccone di più sul suo desco?

Sarà per questo tipo sociale un vantaggio non essere divenuto un chiaro salariato agricolo di una vasta azienda agrario-industriale, gestita da un capitalismo privato o da un capitalismo statale?

Arriverà egli mai ad essere rivoluzionario e comunista? Alla data di oggi possiamo rispondere di no.

Alla data di ottanta anni addietro Engels riproponeva la condizione, non realizzata, del balzo dei proletari europei alla testa della storia:

«Ma ciò può avvenire unicamente se, prima della decomposizione totale della proprietà comunale russa, nell'Occidente europeo trionfi una rivoluzione proletaria che fornisca al mužik le condizioni preliminari indispensabili di questo trapasso, quindi anche i presupposti materiali che gli sono necessari non foss'altro che per la trasformazione completa dei metodi di coltura ad esso indissolubilmente legata.

«È dunque pura millanteria sostenere, come il signor Tkaciov, che i contadini russi, sebbene "proprietari", siano "più vicini al socialismo" che i lavoratori nullatenenti dell'Europa occidentale. È vero proprio il contrario. Se qualcosa può salvare la proprietà comune russa e permetterle di svolgersi in una forma nuova e veramente vitale, questa è una rivoluzione proletaria nell' Occidente europeo»[76].

Tale non fu il succedersi degli eventi. "È dunque una pura millanteria" quando, dal cuore dell'occidente, il signor Palmiroff[77], per convincere i proletari a divenire il primo scudo della Costituzione repubblicana – e proprietaria –, racconta loro che il socialismo ha trionfato in tanta parte del mondo, che ciò è avvenuto senza che essi gli camminassero avanti ad aprirgli la via, e che perfino debbono oggi astenersi dal metterglisi in coda, perché ciò turberebbe la pace, la sicurezza e la convivenza degli imbonitori di occidente e di oriente.

38. Il bilancio 1875 di Engels

Al termine dello studio del 1875, che esprime – talvolta frase a frase – lo stesso giudizio storico di Marx, allora vivente e che conobbe certamente lo scritto prima della pubblicazione, noi troviamo la sintesi della valutazione del socialismo internazionale ed europeo sullo sviluppo della Russia.

A quella data, come sappiamo, in tutta l'Europa occidentale e centrale la rivendicazione storica della rivoluzione antifeudale è raggiunta, e la borghesia capitalista è al potere: non dovunque vi è giunta per la classica via della interna guerra civile, come in Inghilterra e in Francia, ma le guerre del '59, '66, e '70 hanno compiuto la sistemazione.

La sola grande potenza rimasta al di là è la Russia: essa, se ha cessato di avere la funzione di baluardo reazionario del feudalismo in Europa, per Marx ed Engels conserva tuttavia, come largamente abbiamo mostrato, la squisita funzione storica controrivoluzionaria di intervenire ogni qualvolta il proletariato di nazioni europee abbia a levarsi per abbattere la borghesia, sola classe dominante ormai in tutto l'occidente. La caduta di questa potenza interessa dunque ai fini internazionali in sommo grado: se il dispotismo zarista e il potere della nobiltà sono abbattuti in Russia, e anche in questa la borghesia organizza uno stato liberale, la vittoria della lotta finale socialista sarà avvicinata.

Fin qui la parte negativa del bilancio. La parte positiva consiste nell'analisi delle forze sociali interne di quel paese immenso.

Schematicamente, si è trovato questo:

Nobiltà terriera, che tuttavia controlla solo una parte del suolo e della produzione agraria.

Stato dispotico centrale, centralizzato, con cui in sostanza, oltre all'esercito, il clero è tutt'uno, e che socialmente ha il controllo diretto dell'altra metà del suolo e dei servi.

Borghesia che timidamente appare nelle città come forza sociale, e soprattutto consiste nell'influenza indotta dalle borghesie estere progredite (e si suol dire anche da noi, per speditezza di discorso, dalle "idee" occidentali).

Proletariato in pratica assente, essendo l'industria all'inizio (e non perché quel poco si vada organizzando dallo Stato), e ancora non sensibile l'influenza su di esso del movimento operaio occidentale.

Infine il fattore, in un certo senso, originale: i contadini servi e appena emancipati, e la forma della comunità agraria di villaggio, finora tributaria dei boiardi, dei conventi e dello Stato, che non si è, ancora risolta in proprietà e gestione parcellare e nemmeno in aziende grandi di proprietà privata nel senso borghese.

Dinanzi al quesito se una tale forma possa costituire un punto di partenza per una economia socialista nelle campagne, la conclusione è che tale forma di comunismo primitivo è già in via di scadimento. La dottrina che da essa possa partire un tipo di rivoluzione sociale che prescinda dal proletariato industriale e dal salariato rurale, e quindi da uno svolgimento capitalista, che sarebbe così saltato, ha questa risposta: NO, se i contadini russi devono fare questa rivoluzione da soli. FORSE, se si verifica nell'Occidente capitalistico la rivoluzione PROLETARIA, contemporanea o immediatamente successiva all'abbattimento dello zarismo. Questa è la sola ipotesi per la quale possa evitarsi che allo zarismo succeda in Russia un potere borghese capitalistico.

In Russia non meno che altrove una rivoluzione originale contadina non è una possibilità storica. I contadini possono essere classe ausiliaria della rivoluzione borghese, come in Europa sono stati, e come è stato in Europa anche il primo proletariato. Che possa sopravvivere la comunità rurale non può essere risultato di una lotta nazionale degli agricoltori comunisti contro il potere statale che li tiene soggiogati, ma effetto soltanto di una vittoria del proletariato salariato in campo internazionale.

Tuttavia, anche se resterà una rivoluzione borghese, la rivoluzione russa sarà un grandioso passo in avanti: essa ben venga. Tale la conclusione.

39. Emesso il verdetto

Dopo una descrizione della crisi interna della società e dell'amministrazione russa, così viene formulata la condanna a morte della Santa Russia zarista, come può essere dal marxismo affermata in anticipo di ben quarant'anni, e sullo sfondo che abbiamo testé riepilogato nei grandi tratti:

«Sono qui riuniti tutti i presupposti di una rivoluzione; una rivoluzione iniziata dalle classi superiori della società, forse dallo stesso governo, ma che sarà portata innanzi, e rapidamente spinta al di là del suo primo stadio costituzionale, ad opera dei contadini; una rivoluzione che avrà un'importanza enorme per tutta l'Europa, non foss'altro perché abbatterà d'un sol colpo l'estrema e finora intatta riserva della reazione paneuropea. Questa rivoluzione è in sicuro cammino. Due avvenimenti soltanto potrebbero differirla: una guerra vittoriosa contro la Turchia e l'Austria (per la quale, tuttavia, occorrerebbero quattrini e alleanze fidate), o un tentativo insurrezionale prematuro che risospingesse nelle braccia del governo le classi possidenti»[78].

Non possiamo credere, lettore, che Engels sonnecchiasse (quandoque bonus dormitat Homerus[79]) proprio nello stendere il passo finale di un così impegnativo studio, e nel saggiare le previsioni degli eventi futuri. Il commento deve quindi superare qualche stupore dinanzi alla rivoluzione fatta da classi alte e dal governo stesso, mentre poi l'amplesso tra le prime e il secondo sarebbe la sanzione della controrivoluzione.

Questo controllo delle profezie è un compito di prima importanza per stabilire che noi "ortomarxisti", a dispetto di tutte le diarree di traditori, siamo ben decisi a non andarci a riporre.

Un articolo di commento a un recente libro di Santonastaso: Il socialismo francese da Saint-Simon a Proudhon[80] vuole criticare la netta contrapposizione tra socialismo utopistico e socialismo scientifico, assumendo che secondo i marxisti ogni socialismo utopistico sia non marxista e ogni posizione marxista sia esente da utopismo. Viene citato Engels appunto, ma al solito la questione è mal posta, con la solita pretesa che Marx abbia sempre aborrito dal disegnare schemi del futuro (contagiata da untore ad untore fino a Stalin[81]). Il marxismo è, in sostanza, proprio una previsione del futuro. L'utopismo nel giusto senso non è una previsione del futuro ma una proposta di plasmare il futuro. Il marxismo fa tutto il lavoro di previsione mediante la spiegazione dei fatti del passato e del presente e la ricerca di leggi storico-sociali, e attribuisce la possibilità di raggiungere la giusta spiegazione degli eventi dati, e la previsione di quelli che verranno, ad una classe e al suo partito. L'utopismo è dettato – o almeno dice di esserlo – solo da generosa volontà e da intelligente razionalismo di un riformatore, ma sempre (ad esempio sono moltissimi i passi di Marx ed Engels in lode a Saint-Simon) risente del contemporaneo scontrarsi di interessi e di classi e anticipa in misura più o meno grande le conclusioni "scientifiche".

Per il sistema utopistico il mancato avvento della società migliore non è una prova cruciale: sarà la prova che gli uomini sono cattivi, sordi o … scalognati. Per il marxismo sono invece proprio le sue previsioni la prova del fuoco, e altro senso non ha la parola (d'accordo che, per la battaglia di propaganda di un partito che in ogni rigo vive per Marx ed Engels, occorre tagliare netto con formulazioni recise) scientifico. Se abbiamo sempre mal preveduto, andiamo pure a spasso e lasciamo campo libero ai gran politiconi del vento che tira.

Prendiamo il passo di Engels dalla coda. Guerra con la Turchia. Si verificò due anni dopo (quello di Plewna e del tifo di Carlo Marx denunziato dalla moglie); mancò poco che vi intervenisse l'Austria, e la Russia ne uscì male, o almeno non vittoriosa. Forte ancora tanto da far pesare la sua volontà nel congresso di Berlino: il che spiega che lo zarismo "durasse". "Quattrini e alleanze fidate" lo stato russo ne ebbe: i primi largamente dalle banche del capitalismo internazionale, le seconde soprattutto dalla democratica Francia. Vi fu finalmente solo nel 1914 la guerra con l'Austria (e la Germania), sia pure, per i nostri testi, in ritardo a quella stazione della storia. Ma le alleanze, che furono sufficienti per far cedere alla fine gli austrotedeschi nel 1918, non evitarono la catastrofe militare nel 1917 e la rivoluzione che già la precedente disfatta col Giappone aveva avvicinata nel 1905.

La finale allusione nel testo engelsiano al tentativo prematuro di insurrezione ha di mira i metodi insufficienti del terrorismo individuale e di piccola setta che in altro passo Engels ammira nel coraggio, ma critica come sterili: solo quindi allorché a queste forme di azione rivoluzionaria ne succederanno ben altre, lo zarismo soccomberà.

La previsione del compito antizarista delle classi alte è prudente in quanto limitata alla sola Pietroburgo: infatti non ancora si ravvisa una borghesia dell'industria, del commercio, della finanza, nelle varie città, di peso notevole, e queste classi si delineano, più che altro, in minoranze dei ceti intellettuali e professionisti.

Di qui la significativa frase "dallo stesso governo". In Russia, come lo Stato predomina sulla nobiltà in una funzione parallela, così è da attendere che la funzione storica della classe borghese sarà, ove questa come aggregato di persone difetti, assunta da uno Stato-capitalista. Così è andata.

Partita di lì, da una capitale che non può ormai non organizzarsi come tutte le capitali borghesi, da un centro di potere che da feudale deve divenire capitalistico, questa futura rivoluzione borghese sarà «portata rapidamente innanzi, e spinta al di là del suo primo stadio costituzionale» (come era già avvenuto nella Francia della Grande Rivoluzione) «dal contadiname».

I contadini non sono una classe da cui la rivoluzione possa partire. Possono solo essere attraversati[82] dalla rivoluzione di un'altra classe, e in genere dalla rivoluzione borghese. Si ferma con questo termine che adottiamo, nel suo senso passivo, il teorema marxista: mai il contadiname classe rivoluzionaria che firma una rivoluzione storica.

Questa rivoluzione dovrà rapidamente superare la prima fase costituzionaleNon si legga che debba divenire proletaria e socialista. Deve divenire repubblicana, e tagliare a sua volta la testa del monarca, con che il livello storico borghese non è superato ancora. Solo allora essa «avrà un'importanza enorme per tutta l'Europa», annichilendo la riserva della reazione.

Tale punto era notevole, di fronte alla posizione dei russi liberali che si appagavano di un parlamento e di uno statuto giurato dai Romanov, e alle dubbie posizioni già ricordate del bakuninismo col suo "zar dei contadini".

Le condizioni e i caratteri della rivoluzione russa, quali si sono nel fatto realizzate, corrispondono al "modello". È seguita alle guerre e alle disfatte militari. Non ha avuto a protagonista una borghesia dai drastici profili, ma si è iniziata in seno ad un manovrante (e affittato alla borghesia di occidente) governo a velleità costituzionali, presto disperse. È facilmente passata attraverso i contadini. Dallo statalismo agrario, non al socialismo, ma allo statalismo industriale.

Indubbiamente ha avuto poi altro formidabile attore: il proletariato, che dal 1875 al 1917 si era sviluppato in ragione del crescere dell'industria. Ma perché questo fosse il definitivo protagonista è mancata l'altra condizione: la vittoria proletaria in Occidente.

40. Vent'anni dopo

Engels è, nel 1894, alla fine della sua vita, quando aggiunge allo scritto la già richiamata appendice; nulla egli deve in sostanza mutare delle precedenti conclusioni, ma solo darei atto della mutata posizione di avanzamento di due forze su cui il quesito si era concentrato: la comunità contadina nelle campagne, l'industria capitalista nelle città.

Il nuovo bilancio si riassume facilmente: la prima ha perduto ulteriormente vitalità; la seconda ne ha poderosamente acquistata[83].

Tuttavia anche nel 1894, pure essendo al corrente della importante diffusione del marxismo teorico in Russia, e del sempre maggior legame tra socialismo europeo e rivoluzionari russi, Engels ancora non porta in avanscena la classe operaia.

Circa la comunità rurale russa, Engels accentua le conclusioni pessimiste. Uno dei primi esaltatori di questa "originale" forma nazionale russa fu lo Herzen, democraticone russo in parallelo ai vari Blanc, Mazzini, Garibaldi e altri radicali europei, cui si riporta il citatissimo Tkaciov. Engels lo chiama «letterato panslavista dalle pretese rivoluzionarie[84]. In una nota aggiuntiva al VI cap. del I tomo del Capitale (redatta per una delle edizioni tedesche del volume), Marx l'aveva già definito un «bellettrista semi-russo e totalmente moscovita», auspicante «il ringiovanimento dell'Europa… mediante il knut e l'infusione obbligatoria di sangue calmucco»[85].

Ma l'uno e l'altro tennero in ben diversa considerazione lo scrittore Černyševski, che aveva con serietà studiato la differenza tra la tradizione slava e quella super-individualista di occidente (e forse ancora nel 1920 i bolscevichi russi non tennero conto di questo maggior nemico, con cui non avevano nella loro epica lotta avuto a che fare abbastanza). Mentre infatti Marx respingeva l'accusa di condividere coi liberali russi l'idea che non vi fosse nulla di più urgente che «distruggere la proprietà comune nelle campagne e tuffarsi in pieno capitalismo», Engels dà maggiore importanza alle considerazioni del suddetto autore; questi, parlando dei cosacchi degli Urali, presso cui dominava ancora la coltivazione in comune del suolo con successiva ripartizione del prodotto fra le singole famiglie, dice: «Se questo popolo resisterà con le sue attuali istituzioni fino al momento in cui la cerealicoltura verrà meccanizzata, potremo salutare con gioia il fatto ch'esso abbia mantenuto un regime di proprietà tale da permettere l'impiego di macchine che presuppongono unità economiche di enormi estensioni, con centinaia di ettari»[86]. Un marxista non può non trovare qui la tesi economica della grande gestione rispetto a cui è retrograda quella parcellare.

E nel campo storico non è meno marxista, in quel pensatore, la critica della esaltazione della "persona": «Nell'Europa occidentale, l'introduzione di un ordine sociale migliore è resa estremamente difficile dall'allargamento senza confini dei diritti della persona singol[…]. Non è facile rinunziare nemmeno ad una piccola parte di ciò di cui si è abituati a godere; e, nell'Europa occidentale, l'individuo si è ormai abituato all'illimitatezza dei diritti privati […]. Un ordine economico migliore è legato a sacrifici e, quindi, trova difficoltà a realizzarsi […]». Ma «ciò che laggiù sembra un'utopia, da noi […] esiste già nei vigorosi costumi popolari della vita contadina»[87].

Quindi né Marx, né Engels disprezzano il voto di poter saldare comunismo primitivo e socialismo generale "procedendo senza i dolori dell'inferno capitalistico". Si tratta di vedere come si vanno connettendo le effettive fasi storiche.

Ora, nei venti anni trascorsi altri passi irreversibili sono stati fatti verso la risoluzione delle terre del mir in possessi singoli. «Mai e in nessuno luogo il comunismo agrario tramandatosi dalla società gentilizia ha prodotto da se stesso altro che la sua dissoluzione»[88], ha insegnato la storia.

Presto questo comunismo cede il posto alla "conduzione per singole famiglie" – negazione del nostro modello. E allora «la proprietà comune non si manifesta più che in nuove spartizioni del suolo, a intervalli molto diverse a seconda delle località. Basta che queste spartizioni cadano in desuetudine o vengano abolite per decreto, ed ecco bell'e pronto il villaggio di contadini parcellar[89].

Ciò che a noi fa orrore, e invece manda il comunismo staliniano in sollucchero. Ma anche il fatto che in Occidente si sia sviluppata in pieno la produzione capitalistica e si pongano le condizioni dell'impiego dei mezzi di produzione come proprietà sociale – «questo semplice fatto non può conferire alla comune russa la capacità di svolgere dal suo grembo tale forma sociale nuova»[90].

«Tutte le forme di società gentilizia nate prima della produzione di merci e dello scambio individuale hanno questo in comune con la società socialista futura: che certe cose, mezzi di produzione, sono in possesso collettivo e in uso comune di determinati gruppi. Ma questo carattere comunitario non abilita la forma sociale inferiore a produrre da se stessa la futura società socialista, questo prodotto ultimo e specifico del capitalismo»[91].

Dunque niente sviluppo "autoctono" del comunismo di villaggio russo in socialismo.

Invece, possibile accelerazione del processo sempre con la ribadita condizione, enunciata nella prefazione al Manifestodella vittoria proletaria nei paesi compiutamente industriali.

Questo era stato detto nel 1882 da Marx ed Engels. Ma dopo?

 

[59] Idee espresse in particolare negli scritti sull'India e in ampi excursus del Capitale. Cfr. Marx-Engels, India, CinaRussia, op. cit. sopratt. a pp. 86-104, 307-320.

[60] Cfr. F. Engels, Le condizioni sociali in Russia (o, secondo la traduz. letterale del testo tedesco, Cose sociali di Russia) nel già citato India, Cina, Russia, pp. 222-223. Ricordiamo al lettore che il 1861, citato più sopra, è l'anno della cosiddetta "emancipazione dei servi della gleba" ad opera di Alessandro II, con cui venivano soppressi dietro indennità i diritti feudali, consistenti sia in tributi in natura, sia in erogazione di giornate di lavoro sui fondi padronali, che gravavano sui servi, e si assegnavano alle comuni agricole dei lotti di terra da distribuire periodicamente tra le famiglie in modo tale «da garantire ai contadini la vita e l'adempimento da parte loro degli obblighi verso lo Stato e i padroni», cioè il regolare versamento delle somme stabilite per il riscatto degli appezzamenti ricevuti. In che cosa si sia poi risolto il tanto celebrato "Atto di abrogazione" del 5 marzo 1861, si spiega nelle pagine seguenti.

[61] Cfr. K. Marx, Indirizzo inaugurale e statuti provvisori dell'Associazione internazionale degli operai, in Marx-Engels, Opere scelte, ed. cit., p. 760.

[62] Il sistema, diffusamente descritto da Marx, soprattutto alla fine del Capitolo IV del I Libro del Capitale, per cui il lavoratore, essendo pagato alla fine della settimana o del mese, era in pratica costretto a compiere i suoi acquisti giornalieri a credito presso lo spaccio gestito dal padrone.

[63] La critica delle concezioni che vedono il superamento del modo di produzione capitalistico nella gestione della produzione da parte o di comunità autonome di produttori (concezioni anarchiche, ma anche "autogestionarie"), o dei sindacati operai (sindacaliste) o dei consigli di azienda (aziendiste, operaiste), e il cui errore "immediatista" consiste, come sempre, «nello scorgere il miraggio di una società in cui i proletari abbiano, sì, avuto partito vinta sui padroni, entro la comune, entro il mestiere ed entro l'impresa, ma siano rimasti imprigionati nelle maglie di una sopravvivente economia di mercato, senza accorgersi che questa è la stessa cosa del capitalismo» (critica che, ovviamente, vale oggi allo stesso titolo per le mistificazioni gorbacioviane), è svolta in particolare ne I fondamenti del comunismo rivoluzionario, già in "Programma Comunista", nr. 13-15 del 1957, ora in volumetto omonimo di nostra edizione, 1969, insieme al cit. Tracciato di impostazione.

[64] Citazioni da F. Engels, Le condizioni sociali in Russia, nel già cit. India, Cina, Russia, p. 225.

[65] Cfr. Proprietà e capitale, in Prometeo, a. III, n. 12 gennaio-marzo 1949, p. 530. Ora in volume a sé con lo stesso titolo, ed. Iskra, 1980, p. 32.

[66] Cfr. F. Engels, Le condizioni sociali in Russia, in India, Cina, Russia, ed. cit., p. 226.

[67] Ibidem, p.226.

[68] Il punto teorico fondamentale che l'esistenza del modo di produzione capitalistico non è affatto smentita dall'assenza – almeno a prima vista – di una classe borghese statisticamente definibile, tanto più se il capitalismo ha raggiunto nel dato Paese (nella fauispecie l'Urss) la forma estrema del capitalismo di Stato, si trova già svolto, proprio in riferimento alla Russia staliniana, nel più volte citato Proprietà e capitale (cap. XIV, ediz. Iskra, pp. 145-146) e troverà ampio sviluppo nella seconda parte di Struttura economica e sociale della Russia d'oggi. Esso vale a demolire non solo la pretesa stalinista che in Russia si sia costruito non capitalismo, ma socialismo, bensì anche l'errore di quei gruppi che, nell'impossibilità o incapacità di scoprire negli interstizi della società sovietica la figura statisticamente e anagraficamente definita del borghese classico, si sforzavano e tuttora si sforzano di colmarne il vuoto con quella del burocrate d'alto livello: «Mano mano – si legge in quel testo – che l’azienda e l’impresa borghese divengono, da personali, collettive e anonime, e infine pubbliche, la borghesia […] diventa una "rete di sfere di interessi che si costituiscono nel raggio di ogni intrapresa"» e i cui veri esponenti fisici sono spesso difficilmente individuabili perfino nei Paesi capitalistici classici, figurarsi poi in quelli che non hanno dovuto rifare punto per punto il percorso che, al posto dei proprietari o banchieri o azionisti, ha visto sempre più concentrarsi le leve dell'economia nelle mani di «affaristi, consulenti economici, business-men» e, in genere, brasseurs d’affaires. tanto più potenti, quanto meno operanti alla luce del sole (alla quale, del resto, in Russia oggi stanno uscendo, all’insegna della perestrojka).

[69] F. Engels, Le condizioni sociali in Russia, in India, Cina, Russia, ed, cit., p. 226.

[70] Ibidem, p. 226 (corsivi di Engels, salvo il periodicamente).

[71] Tema svolto, fra gli altri, in Avanti, barbari!, della serie "Sul filo del tempo", nel nr. 22/1951 di «Battaglia Comunista».

 

[72] Ibidem, p. 226.

[73] Ibidem, p. 227.

[74] Sarà invece il luogo di trattarne, e a lungo, in Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, cap. 21-40 della Parte III, pp. 494-517 dell'ediz. cit. e, prima ancora, in Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia, ivi, pp. 41-47, dove quella particolare forma di associazione cooperativa privata agricola (contrabbandata come "collettiva") che è il cholchos viene esaminata in tutti i suoi aspetti (usufrutto perpetuo e gratuito del suolo di proprietà statale, disposizione di una parte del prodotto esitabile sul mercato, lotti in proprietà familiare trasmissibile agli eredi ceduti in libera conduzione ai cholchosiani al di fuori degli impegni di lavoro sulle terre del cholchos, ecc.) e denunziata come "rivincita dell'egoismo rurale". Si veda anche l'articolo La nuova costituzione sovietica: un passo avanti nella confessione della natura capitalistica dell'Urss, apparso ne "Il Programma Comunista" n. 17 (18 luglio)/1977.

[75] Ibidem, p. 227 (corsivi di A.B., salvo i primi se).

[76] Ibidem, pp. 227-228 (corsivi di A.B.).

[77] Occorre precisare che l'allusione è a Palmiro Togliatti e alla politica democratica, riformista, legalitaria, insomma codista nei confronti del regime esistente, svolta dal suo «partito nuovo»?

[78] Ibidem, p. 230 (corsivi di A.B.).

[79] "Sonnecchia talvolta il buon Omero".

[80] Cfr. Santonastaso, Il socialismo francese da Saint-Simon a Proudhon, ed. Nuova Italia, Firenze, 1954.

[81] Per i rapporti fra utopismo, come progetto ideale e proposta volontaristica del futuro, e marxismo, come previsione scientifica dell'avvenire e predisposizione di forze di classe operanti nella sua direzione, cfr. fra l'altro il cap. XVII («Utopia, scienza, azione») di Proprietà e capitale, ed. Iskra, pp. 147 e segg.

[82] Lo spunto è fornito qui all'estensore di queste pagine dall'errata traduzione, nell'edizione Avanti!, del durch tedesco in «attraverso» anziché «da, ad opera di». Resta comunque il senso fondamentale di una rivoluzione che non parte dai contadini, ma li trascina nel suo moto vorticoso, e ne è spinta a sua volta – ma entro limiti ben definiti – a radicalizzarsi.

[83] Già nel '92-93, scrivendo all'economista e statistico populista N. Daniel'son, Engels aveva espresso seri dubbi sulla possibilità che la comune contadina russa sopravvivesse agli sviluppi della grande industria: «temo – concludeva il 17/X/1893 – che questo istituto sia destinato a deperire». Ma aggiungeva: «D'altra parte il capitalismo schiude orizzonti nuovi e nuove speranze. Una grande nazione come la vostra sopravvive ad ogni crisi. Non vi è grande male storico senza il compenso di un progresso storico… Que les grandes déstinées s’accomplissent!». Cfr. Marx-Engels, India, Cina, Russia, cit. p. 272 (ma vedi anche le pagine precedenti da 264 in poi).

[84] Poscritto di Engels a "Le condizioni sociali in Russia" in India, Cina, Russia, ed. cit., p. 273.

[85] Ivi, p. 281.

[86] Ivi, p. 275.

[87] Per il passo di Černyševski, cfr. ibidem, pp. 274-275 (corsivi di A.B).

[88] Ibidem, p. 277.

[89] Ibidem, p. 277 (corsivi di A.B.).

[90] Ibidem, p. 277.

[91] Ibidem, p. 278 (corsivi di AB.).