Regolarizzazioni e sanatorie capitalistiche

Pubblicato: 2020-09-13 09:30:45

La “regolarizzazione”, voluta dal governo Conte, delle condizioni di lavoro dei lavoratori “extracomunitari”, braccianti, migranti, colf, badanti e rider, ma anche lavoratori della logistica, edili, ecc. è – così dicono – un “passo storico” per “migliorare” (?!) l’attuale condizione di vita del precariato delle campagne e delle città. Dal 12 maggio, la discussione nel governo, incentrata sui “permessi di lavoro”, si è accesa allo scopo di far emergere con misure straordinarie i rapporti di lavoro irregolari. La dimensione di questi fenomeni è visibile soprattutto nelle campagne, insieme alle condizioni di lavoro altrettanto miserabili: lavoro nero e caporalato.

 

La “messa in regola” degli immigrati, africani e asiatici, provenienti dai luoghi più lontani (la famosa legge 189 del 30 luglio 2002, nota anche con il nome di Legge Bossi-Fini), è stata riproposta ancora una volta. Nel 2002, il Governo Berlusconi (in carica dal 2001 al 2005) aveva “sistemato” (?!) le carte di 647mila lavoratori delle più varie forme di precariato. La legge di regolarizzazione viene, dunque, riconfermata oggi, ancorando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Prevede anche una “sanatoria a tempo” per i migranti senza lavoro, un “permesso di soggiorno” temporaneo di 6 mesi per chi si trova irregolarmente in Italia. Anche questo termine, nel Decreto Rilancio viene ripreso, a riconoscimento della persistente validità della legge Bossi-Fini. A questa stessa legge, sono connesse anche le richieste di regolarizzazione del datore di lavoro, che, usufruendo di manodopera non regolare, saranno rigettate se quest’ultimo negli ultimi cinque anni ha subito una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia o dall’Italia o per il reato di avviamento alla prostituzione o per l’uso di minori in attività illecite o per attività di intermediazione allo sfruttamento del lavoro. La lotta al caporalato e al lavoro nero, quindi, restituirà – scrivono – “dignità” (?!) a braccianti e migranti. Le domande di sanatoria potranno essere inviate dal 1 giugno al 15 luglio, restando aperti due canali: 1) quello tradizionale: la richiesta congiunta del lavoratore e del datore di lavoro e 2) la concessione, a chi ne fa richiesta, di un permesso temporaneo di 6 mesi per motivi di lavoro per tutta la durata del contratto. Affinché non diventi, tuttavia, una semplice “sanatoria”, c’è un limite di tempo: bisognerà avere un permesso (universitario, turistico o una richiesta d’asilo) scaduto al 31 ottobre 2019.

Nel Decreto Rilancio, è scritto che potranno presentare domanda almeno 220 mila persone con 94 milioni di euro di incasso per lo Stato, frutto dei contributi che verranno versati per l’emersione dei lavoratori stranieri migranti, oggi impiegati in nero. Il Decreto porterà soldi nelle casse dello Stato. Due canali anche qui saranno aperti: la richiesta da parte del datore di lavoro, che paga all’Inps un forfait di 500 euro, e quella dei migranti, previo pagamento di 160 euro, ma solo provando di avere svolto, prima del 31 ottobre 2019, quella data attività nei settori previsti. Si stima una presenza di circa 600mila lavoratori in Italia con contratti in questi settori.

Per poter accedere alla regolarizzazione, il migrante deve esibire una documentazione proveniente da organismi pubblici, che dimostri l’ingresso in Italia prima del 20 marzo 2020, di essere stato sottoposto al rilievo delle impronte digitali, di aver soggiornato in Italia dall’8 marzo al 21 maggio, di possedere un visto sul passaporto, un certificato rilasciato dal pronto soccorso di un ospedale, o l’iscrizione a una scuola o all’Università. La “sanatoria” permette di includere decine di migliaia di immigrati che hanno fatto domanda, poi respinta dalle commissioni. Un conto è allungare il tempo del permesso di lavoro a chi ha già un contratto e un altro è sanare indiscriminatamente chiunque dica di essere in Italia prima del 8 marzo 2020.

Il permesso di lavoro, dopo l’accordo sottoscritto dal sindacato dei lavoratori agro-alimentari della Flai-Cgil, dunque, riguarderà tutti coloro che erano illegalmente presenti alla data del 31 ottobre 2019, permesso per chi ha già svolto lavoro nei campi dalla richiesta di regolarizzazione.

Nell’inchiesta del quotidiano Il Manifesto del 15 maggio, i lavoratori spiegano le condizioni di miseria e le contraddizioni contenute in questa regolarizzazione: “La durata di 6 mesi è troppo breve ed è totalmente legata al contratto di lavoro, ma non prevede un permesso per la ricerca di una nuova occupazione […] Ci sono tanti braccianti che vivono in Italia da 5,6,7 anni ed ogni volta ottengono al massimo un permesso di 3 o 6 mesi. Con un tale tipo di documento è impossibile avere un lavoro decente. Se non si ha un permesso sufficientemente lungo non ci si può difendere e si deve accettare qualsiasi offerta di lavoro. In queste condizioni non si riesce mai ad ottenere un buon contratto. E se non si ha un buon contratto non si può migliorare la condizione di vita. […] Queste persone hanno moglie e figli che non vedono da anni. Non possono uscire dall’Italia perché sono appesi a questi permessi di soggiorno di breve durata. Sono bloccati nelle campagne, dove vengono sfruttati […] Durante l’epidemia molte persone sono rimaste senza lavoro. […] Se si guarda all’aspetto umanitario della condizione di questi lavoratori della terra il governo dovrebbe dare un permesso di soggiorno di almeno due anni, un documento che permetta di integrarli. […] Il numero dei braccianti africani nell’area di Trapani è destinata a crescere con l’avvicinarsi di settembre, allorché si aggira su circa 1500 presenze; prima la stagione delle olive, poi più avanti la raccolta degli agrumi. Nel periodo estivo questi lavoratori fanno gli ambulanti. Durante l’emergenza del coronavirus i braccianti rimasero confinati nelle baracche, in zone senza elettricità e senza acqua per lavarsi”!

L’allargamento ad altre categorie, oltre ai braccianti, richiede anche il riconoscimento per centinaia di migliaia di persone. Si stima un numero dalle 500 mila alle 600 mila persone coinvolte: 300 mila braccianti e poco meno di colf e badanti. Nell’edilizia si pensa ad altri 300 mila lavoratori e altri 200 mila nella logistica. Poi, da non dimenticare, gli invisibili: i migranti non censiti, ultimi fra gli ultimi, difficilmente stimabili. All’inizio M5S e Iv spingevano per i voucher e per far lavorare nei campi anche i percettori di reddito di cittadinanza, il che portava diritti ad una guerra tra poveri, e poiché la pandemia richiedeva sacrifici si pensava ad un abbassamento delle condizioni salariali ma anche ad un innalzamento degli stessi o ancor meglio si pensava di dare una svolta sull’immigrazione a partire dall’abolizione dei “Decreti Salvini”.

Oggi la norma sull’emersione del lavoro dispone di una regolarizzazione in senso stretto e non si rivolge ovviamente a tutti i lavoratori presenti in Italia. Regolarizzazione, tuttavia, significa impedire il caporalato e contrastare il lavoro nero, effettuare controlli sanitari e proteggere le condizioni di salute, soprattutto in questa fase di emergenza sanitaria. Per sottrarre i braccianti ai caporali, a chi fa richiesta occorreva un permesso temporaneo per la ricerca di lavoro, convertibile in un permesso per motivi di lavoro per la durata del contratto.

La svolta dell’immigrazione avrebbe dato dignità ai migranti, ma qui si sarebbe aperto il grande canale di ingresso al meccanismo dei flussi migratori. La platea potenziale di questa tipologia era di meno di 200 mila persone. Al di sotto dei piccoli contadini, schiacciati dal ricatto della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) dei Supermercati con un giro di affari di 83 miliardi nel 2017, che sovrastava sugli imprenditori agricoli, stavano i miserabili della terra, i braccianti e i migranti alloggiati nelle baracche. Lo spiega il segretario della Flai-Cgil in una Conferenza stampa, misure che avrebbero posto fine alla vergogna dei ghetti con un Piano Triennale contro il caporalato.

La situazione nella raccolta di frutta e verdura, di pomodori estesa per chilometri nei campi è disperata. A Terracina, ad esempio, i titolari di una azienda agricola si sono resi protagonisti di una azione violenta nei confronti di un lavoratore che chiedeva di poter lavorare in sicurezza e che, per aver chiesto “i dispositivi di protezione individuali contro il Covid-19, il permesso di soggiorno per tutti e l’iscrizione all’anagrafe per aver riconosciuto il medico di base”, è stato alla fine licenziato, oltretutto senza pagamento delle giornate lavorate e per giunta con le minacce e con un vero e proprio pestaggio. Le indagini hanno portato a scoprire nell’azienda dei due proprietari un sistematico sfruttamento dei lavoratori, tutti braccianti e migranti, condizioni di lavoro non regolari in termini di salute e sicurezza, orari di lavoro di 12 ore al giorno per una paga di 4 euro l’ora…

Episodi di questo genere, che si ripetono in una vasta area e in tutta la penisola, dimostrano quanto sia aggressivo il fenomeno dello sfruttamento e del caporalato e quanto vivano spesso sotto ricatto i lavoratori stagionali. La cosiddetta regolarizzazione dei braccianti, piegati nei campi, tra i filari delle vigne e nei frutteti, non riuscirà mai a contrastare l’azione di ricatto subita dai lavoratori, la loro vulnerabilità e la miseria delle loro condizioni di vita e di lavoro. La storia della lotta di classe nelle campagne, le condizioni di sottomissione e sfruttamento dei braccianti dimostrano che la repressione, la violenza e le minacce non avranno mai tregua nella società capitalista. In sintesi costituisce indice di sfruttamento: 1) la continua diminuzione della retribuzione rispetto ai contratti collettivi, la sproporzione relativa alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la continua violazione della normativa dell’orario, dei periodi di riposo, del riposo settimanale,  dell’aspettativa obbligatoria, delle ferie;  3) la violazione  delle  norme  in  materia  di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottomissione del lavoratore a  condizioni  di  lavoro,  metodi di sorveglianza e condizioni abitative degradanti; 5) l’uso di uno o più lavoratori reclutati minori in età non lavorativa; 6) l’esposizione dei lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, in riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Quanti potrebbero essere i lavoratori interessati? Un dato indicativo è che dal 31 ottobre 2019 al 14 maggio 2020 all’Inps risultano scaduti all’incirca centomila contratti di lavoro. Se ci si limita ai collaboratori delle famiglie e del settore agricolo, però, sono molti di meno. Quale sarà l’impatto nelle campagne? Secondo la Coldiretti saranno al massimo 2.500 i lavoratori agricoli interessati. La stragrande maggioranza dei 370mila lavoratori stagionali ufficiali, che mancano nelle campagne, sono infatti regolarmente rientrati in patria tra novembre e dicembre e ora mancheranno perché bloccati dal Covid-19. Soltanto i romeni sono più di centomila, tredicimila i polacchi, undicimila i bulgari. Inoltre ci sono 18mila extracomunitari che ogni anno arrivano con il decreto flussi e rispettano rigorosamente le regole del rientro a casa. Tutti questi lavoratori sono difficilmente sostituibili. Un conto sono i braccianti, altro i lavoratori specializzati abituali che oggi vengono richiesti dalle aziende, dice la Confagricoltura. Poi ci sono colf e badanti. A fronte di 850mila lavoratori e lavoratrici in regola, si stima che ce ne siano oltre 1 milione che lavorano in nero, quasi tutti stranieri arrivati in Italia con permessi turistici, di studio, o religiosi.