Dominio di classe nella Legge e nell’Ordine

Pubblicato: 2020-09-13 09:19:20

Le strutture dell’ordine sociale (lo Stato, le “forze dell’ordine”, le forme di governo) sono espressioni del “monopolio della violenza” borghese, che è tutt’uno con il modo di produzione capitalistico. Negli ultimi mesi, abbiamo avuto la dimostrazione pratica di quella che non è un’opinione, ma la realtà del dominio di classe: durante l’“emergenza pandemia”, quelle strutture d’ordine hanno pesato duramente sul proletariato, mentre a Minneapolis e poi in tutti gli Stati Uniti gli abusi della polizia sono stati al centro di una vera e propria mattanza di classe. In entrambe le situazioni, le “forze dell’ordine” hanno attaccato violentemente i movimenti di protesta nati spontaneamente.

 

Le manifestazioni di solidarietà tra gruppi etnici, generazionali e internazionali hanno dato poi alla lotta un respiro e un carattere di sollevazione generale: Amnesty International, nella sua ideologia progressista e piccolo-borghese, ha denunciato le dinamiche di “razzismo istituzionale”, rilevando l’uso “illegale” (?!) della forza nei confronti sia della popolazione afroamericana sia dei migranti, dei rom e delle persone senza fissa dimora, senza distinguere tra chi vive in insediamenti-ghetto, i rifugiati e i richiedenti-asilo. Ma non da oggi le masse proletarie (lavoratori, braccianti, disoccupati, migranti, giovani precari o esclusi dal mondo del lavoro, senza speranza di riscatto sociale, quotidianamente sottoposti al pugno di ferro poliziesco), con pietre e bastoni, barricate e incendi, battaglie di strada, hanno espresso la propria esasperazione: negli ultimi decenni, questi episodi, piccoli e grandi, si sono susseguiti negli USA, in Gran Bretagna, in Francia, un elenco che sarebbe davvero troppo lungo per ricordarli tutti, uno stato di rabbia permanente che sfocia in scontri e rivolte... E, ancor oggi, negli Stati Uniti, l’intimidazione e l’aggressione da parte delle polizie locali, federali e statali, contro proletari afroamericani e latinoamericani, sono considerate “semplici smagliature” dell’Ordine Pubblico, non atti reiterati di una repressione senza fine: armati di tutto punto, con mezzi di combattimento, elicotteri e droni, gli sbirri hanno pattugliato e pattugliano interi quartieri metropolitani, arrestando centinaia di dimostranti, subito condannati a pesanti pene detentive.

La rabbia proletaria ha portato alla luce i due aspetti dello scontro di classe: da un lato, la passione e l’entusiasmo della lotta contro un nemico di cui da tempo si subiscono le angherie e, dall’altro, l’ottusa e tracotante autoglorificazione della classe dominante. Purtroppo, la determinazione con cui un proletariato martoriato dalla crisi economica e ulteriormente oppresso dall’“emergenza pandemia” è sceso in strada viene poi deviata, da movimenti piccolo-borghesi e pacifisti come “Black Lives Matter”, verso obiettivi di rivendicazione “razziale”, con il paradossale esito di ghettizzare ulteriormente chi già è ghettizzato.

Tutti i maggiori paesi imperialisti hanno lasciato impresso, come marchio d’infamia nella loro “memoria storica”, la violenza coloniale e “razziale”, e quell’impronta riempie di sé la realtà dei cinque secoli trascorsi: bersaglio istintivo di generazioni dopo generazioni di proletari e proletarie, in attesa che si ripresenti sulla scena mondiale l’ondata rivoluzionaria destinata ad affasciare tutti gli oppressi di classe, senza distinzioni e ghettizzazioni. Allora, si perderanno sullo sfondo i fattori di razza e nazione ed emergerà, nel conflitto sociale, la sola e unica storia, quella della guerra di classe fra proletariato e borghesia sul piano mondiale.

Ormai da anni è un susseguirsi di scontri sociali che, durante le crisi economiche di sovrapproduzione, finiscono per sprofondare la società sempre più in un abisso: un percorso senza scampo verso la catastrofe. La stampa borghese democratica e progressista ha insistito sulla necessità che fossero garantite le “promesse di revisione” dei sistemi di polizia, gli “scioglimenti dei dipartimenti”, le richieste di “smilitarizzazione”, il “controllo” degli apparati repressivi, l’“isolamento” e la “neutralizzazione” della teppaglia reazionaria, la “sospensione” degli agenti sospettati di “inclinazione razzista”, il “risarcimento” di chi ha subito le offese, la “fine degli episodi di discriminazione”... C’è da ridere per non piangere, a leggere queste lacrimevoli lamentele, queste piagnucolose preghiere: il riformismo sociale ha continuato a macinare ideologie morte e sepolte e un giornale di pretesa “sinistra” (Il Manifesto del 16 giugno) presentava, nell’articolarsi di nuovi e impossibili cambiamenti di rotta, ulteriori soluzioni riformiste, mentre il percorso della ripresa della lotta di classe non potrà non scontrarsi con uno stato di militarizzazione ancor più violenta, dentro una realtà di paura, di miseria crescente e di oppressione.

Al tempo stesso, questa non è soltanto una “storia americana”. I “sistemi di polizia” non sono più semplici espressioni locali del dominio della classe borghese: da tempo si sono pienamente integrati nelle strutture degli Stati, non solo sul piano nazionale ma anche su quello internazionale. I “sistemi di polizia” vengono presentati dal democraticume riformista come “corpi neutrali”, di “pacificazione sociale”, e non come strumenti di difesa della proprietà borghese e del potere della classe dominante.

In Italia, c’è stata una lampante dimostrazione di ferocia militare nel luglio del 2001, quando, in occasione delle dimostrazioni contro il G8 a Genova, si susseguirono il pestaggio a sangue per le strade della città dei “giovani antagonisti” accorsi, l’omicidio di Carlo Giuliani a opera degli sbirri e l’irruzione nella scuola Diaz di reparti anti-sommossa protagonisti di una vera e propria mattanza di gruppo, completa di tortura e trattamenti disumani e degradanti nella caserma di Bolzaneto (1).   Una vera regia politica permise alla polizia di presentare uno spettacolo terribile di straordinaria efficacia, non perché “fascista”, ma perché borghese totalitaria, espressione della forza, della violenza e della dittatura di classe.

Quegli episodi non ebbero nulla a che vedere con il razzismo, non furono il prodotto della discriminazione razziale. Dimostrarono piuttosto (ed è di questo che bisogna far tesoro per il futuro) che la rivolta spontanea da sola non paga, che la presenza di una direzione politica rivoluzionaria comunista è il fondamento primario della vittoria proletaria. Non si chiese allora di tagliare i fondi alla polizia locale, non si chiese un “miglior reclutamento” della polizia (poliziotti buoni) e una loro selezione culturale (una laurea?), né un approfondimento costituzionale (“i diritti del cittadino”). Al cuore di quella lotta in Italia, dilagò all’inizio l’illusione che la “zona rossa” a Genova si potesse abbattere: non si comprese che la semplice riduzione della violenza e della repressione poliziesca e statale sarebbe stata possibile solo con un radicale attacco del proletariato organizzato, e non delle classi medie (o dei suoi surrogati, come i gilet gialli francesi), in una vera guerra di classe pronta a imporre la sua dittatura.

Nel corso degli scontri in varie città statunitensi, si è ripetutamente levata la richiesta di un ridimensionamento e addirittura smantellamento delle “forze dell’ordine”: ma ciò è impossibile senza la distruzione dello stato di cose presente. Lo Stato del Capitale è Legge e Ordine: rappresenta la cittadinanza di classe, e in quanto tale è polizia, tribunale e carcere. Nel corso degli anni, la popolazione carceraria negli USA è aumentata enormemente, fino a contare due milioni e 300 mila detenuti e si calcola che circa 5 milioni di proletari abbiano provato, oltre alla miseria, alla fame, alla ghettizzazione, almeno una volta l’esperienza della prigione. Nello stesso tempo, i circa 800mila agenti di polizia, sparsi oggi a livello locale nei vari stati dell’Unione, posseggono un arsenale militare gigantesco, capace di sconfiggere qualunque protesta improvvisata e di travolgere qualunque barricata. I singoli stati hanno poi spesso anche una propria polizia, che ha giurisdizione limitata nello stato per assicurarsi meglio che funzioni e che sia efficace il suo coordinamento: in quanto corpi armati alla dipendenza della classe dominante e creature dello Stato moderno, non possono sfuggire al loro ruolo politico.

Il conflitto di classe tende ad andare oltre le proteste, a rompere la pace economica fra le classi, a trasformarsi in guerra di classe: cioè in lotta politica che è lotta per il potere – per difenderlo da una parte, per abbatterlo dall’altra. La violenza borghese che si scaglia sulla povertà e sulla miseria, e quindi sul proletariato, è storia della lotta di classe. “Il proletariato o è rivoluzionario o non è nulla”, scriveva Marx in una lettera a un suo corrispondente. Lo spettro che si aggira per il mondo è e sarà sempre il comunismo, la nuova società umana.

Nota

(1) https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2017/10/26/bolzaneto-caserma-delle-torture-

“Dopo un violento pestaggio, tutte le 93 persone che dormivano all'interno della scuola vennero fermate e la maggior parte trasferite nella caserma di Bolzaneto. Qui vennero trattenute per uno o due giorni, a seconda dei casi, subendo violenze sia da parte delle forze di polizia che del personale medico. Secondo i loro racconti, i detenuti sono stati umiliati, picchiati, minacciati e privati della possibilità di incontrare i loro legali, oltre ad aver subito altre forme di maltrattamento. Sul banco degli imputati per quelle violenze sono finiti a vario titolo poliziotti, carabinieri, agenti della penitenziaria e medici”. La storia è nota.

 

13/09/2020