Un secolo fa, il 19 luglio 1920, a Pietrogrado, in quello stesso Palazzo della Tauride nel quale poco più di due anni prima la voce di un marinaio aveva sommerso le voci noiose e inconcludenti dei delegati alla Costituente proclamando: “È tardi, abbiamo sonno, l'assemblea è sciolta!”, si aprì il II Congresso dell'Internazionale Comunista (IC), che nella nostra Storia della Sinistra Comunista, cui rimandiamo per una trattazione ampia e approfondita, abbiamo definito “un culmine e un bivio” [1].
Un culmine, perché di certo il II Congresso segnò il punto più alto nella storia dell’IC. Un bivio per due motivi: da un lato, perché con esso la rottura si fece netta e completa, sia con la socialdemocrazia internazionale sia con altre formazioni politiche, solo a parole “compagne di strada”, ma in realtà veicoli di confusione e d’indebolimento; dall’altro, perché, a partire da quel culmine, presero a delinearsi (come sarà poi più che evidente al IV Congresso dell’IC) [2] quelle incertezze e ambiguità sul piano tattico che – come più volte noi ammonimmo l’IC e i bolscevichi – , se non corrette tempestivamente e pienamente superate, avrebbero avuto seri contraccolpi su tutta la politica del movimento comunista mondiale, con gravi pericoli di degenerazione – il che poi di fatto avvenne, con lo stravolgimento e ribaltamento della dottrina comunista e il massacro della Vecchia Guardia bolscevica.
Il II Congresso dell’IC rimane dunque il punto di riferimento obbligato per i comunisti. I suoi lavori, le Tesi che vi furono discusse e approvate (in primo luogo, sulle condizioni di ammissione all’IC, sul ruolo del partito nella rivoluzione mondiale, sul parlamentarismo rivoluzionario, sulla questione sindacale e sulla questione nazionale e coloniale), rappresentano il possente architrave su cui doveva poggiare l’intera costruzione del Partito Mondiale della classe proletaria. Noi avremmo voluto che quelle tesi fossero scolpite in maniera ancora più tagliente e definitiva e in più d’un caso operammo perché così fosse, proprio per evitare che, nell’eventualità di un riflusso delle lotte proletarie nel mondo, potessero aprirsi spiragli attraverso i quali il tenace e sempre risorgente virus dell’opportunismo (di destra come di sinistra) potesse insinuarsi in quell’organismo. Così, grazie al nostro intervento, le Tesi sulle condizioni di ammissione furono rese più vincolanti; ed è nota sia la nostra battaglia perché le Tesi sul parlamentarismo tenessero conto dell’ambiente infetto della democrazia borghese imperante in Occidente, sia la nostra battaglia perché dal Congresso uscisse un testo programmatico e di principio cui legare solidamente le tesi tattiche, in modo da creare un unico, vero corpus organico, atto a guidare senza incertezze teoriche e pratiche la classe proletaria in una guerra che era appena iniziata. Come si legge nella nostra Storia:
Non è soltanto nell’interesse di una maggiore organicità ed efficienza dei lavori del II Congresso che la nostra Frazione aveva auspicato una ripartizione dei grandiosi temi nel senso di “procedere innanzi tutto a una discussione generale sui princìpi programmatici del comunismo, fissandoli in una ben precisa enunciazione, e quindi, su tali basi, passare alla discussione dei vari problemi d’azione e di tattica che dal Congresso attendevano la loro soluzione” [da “Il Soviet” del 3/10/1920]. Le questioni tattiche, se così fosse avvenuto, si sarebbero presentate in un ordine più naturale, meno vincolate a questioni locali, più libere da sovrapposizioni e interferenze reciproche, e avrebbero raggiunto un grado ben superiore di omogeneità; soprattutto, la loro approvazione non avrebbe concentrato su di sé quell’attenzione che prima e pregiudizialmente avrebbe dovuto essere riservata all’accettazione incondizionata dei princìpi e del programma. Giacché la discriminante era lì, ed era su quella pietra di paragone che doveva saggiarsi il diritto non solo di chiamarsi (che poco conta), ma d’essere comunisti. Se per noi doveva essere vincolante la tattica, a maggior ragione lo dovevano essere quei princìpi generali, da cui essa non può che discendere: a quella barriera era necessario che fossero, fin dall’inizio, inchiodati i portavoce di partiti oscillanti, con un piede ben saldo in un passato democratico e un altro spinto timidamente in direzione del futuro rivoluzionario, internazionalisti nel linguaggio e nell’aspirazione ma ancora uniti da un solido cordone ombelicale all’orizzonte della nazione con tutto il suo armamentario di tradizioni e il suo paludamento di “cultura” [3].
Quei mesi e anni vedevano infatti l’esplodere dell’entusiasmo per la vittoria recente della giovane Repubblica dei Soviet contro tutte le forze coalizzate dell’imperialismo mondiale: e quell’entusiasmo spingeva verso l’IC tanto formazioni molto combattive ma non del tutto salde dal punto di vista teorico-politico come i wobblies statunitensi, gli shop stewards britannici e altri gruppi più o meno d’origine anarco-sindacalista o spontaneista, quanto gli abili e infidi centristi dei vecchi partiti socialisti, eternamente indecisi se rompere con la destra riformista e animati più da una chiassosa retorica pseudo-rivoluzionaria (per esempio, il massimalismo serratiano in Italia) che da una reale assimilazione dei principi e della pratica comunista o addirittura (come nel caso francese) pachidermici partiti socialisti attratti dalla “Rossa Russia” per motivi esclusivamente sentimentali, se non più o meno apertamente opportunisti. Per molti, purtroppo, in quegli anni, la Russia rivoluzionaria era “di moda”! Ma che cosa sarebbe stato, di tutte queste formazioni che bussavano alla porta dell’IC e che, in troppi casi, vi furono ammesse a braccia aperte o con fin troppa pazienza, al primo rallentare delle dinamiche rivoluzionarie all’interno dei principali Stati borghesi, al primo attenuarsi del fuoco sprigionatosi dalla presa del potere nell’Ottobre 1917, al primo delinearsi di un ricompattamento del dominio borghese dopo il tracollo cui era andato incontro?
In quel luglio di cent’anni fa, queste domande incalzavano i delegati al II Congresso: 218 delegati, di una ventina di partiti comunisti, di almeno altrettanti frazioni o correnti non ancora costituitesi in partito, di organizzazioni parasindacali o sindacali – tra i quali “figuravano – […] per la prima volta – militanti comunisti delle Indie britanniche e olandesi, preziosi gioielli nella corona dello sfruttamento imperialistico, della Turchia e della Persia rinascenti, della Cina e della Corea alla vigilia di poderosi moti rivoluzionari” [4].
È in ricordo di quel Congresso di cent’anni fa che riproduciamo qui le Tesi sulle condizioni di ammissione. Un ricordo che è ben vivo in noi e che nutre e deve continuare a nutrire i militanti e le avanguardie di lotta decise a battersi per il comunismo, perché “il movimento rivoluzionario marxista può rinascere solo a patto di riallacciarsi al filo spezzato della dottrina, del programma, delle finalità, dei princìpi ribaditi al II Congresso, in tutti i testi e le proclamazioni che lo precedettero e lo accompagnarono, e, nello stesso tempo, delle deduzioni tattiche e organizzative che allora non si ebbe la forza – come noi auspicavamo – di trarre fino alle conseguenze estreme dal nesso, tuttavia riconosciuto inscindibile, fra ognuno degli anelli della poderosa catena di cui si compone l’organo della rivoluzione proletaria – il partito di classe, il partito comunista mondiale” [5].
Tesi sulle condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista
(Protokoll des II.Weltkongresses der Kommunistischen Internationale,
Hamburg 1921, pp.387-395)
Il I Congresso dell’Internazionale Comunista [marzo 1919 – NdR] non ha fissato condizioni precise per l’ammissione alla III Internazionale. Fino al momento della convocazione del I Congresso, nella maggioranza dei paesi esistevano soltanto tendenze e gruppi comunisti.
Il II Congresso dell’Internazionale Comunista si riunisce in altre condizioni. Nella maggioranza dei paesi esistono oggi non solo correnti e tendenze comunista ma partiti e organizzazioni comunisti.
All’Internazionale Comunista si rivolgono spesso partiti e gruppi che ancora poco tempo fa appartenevano alla II Internazionale e ora vogliono aderire all’Internazionale Comunista, ma che non sono ancora di fatto comunisti. La II Internazionale è definitivamente sconfitta, e i partiti intermedi e i gruppi del “centro”, consapevoli della situazione disperata in cui versa la II Internazionale, tentano di appoggiarsi all’Internazionale Comunista, che si rafforza sempre più; ma sperano di conservare una “autonomia” che permetta loro di continuare nell’antica politica opportunistica e “di centro”. L’Internazionale Comunista sta in una certa misura diventando di moda.
Il desiderio di alcuni gruppi dirigenti del “centro” di aderire all’Internazionale Comunista conferma indirettamente che questa si è conquistata le simpatie della stragrande maggioranza degli operai coscienti di tutto il mondo, e che diviene una forza di giorno in giorno crescente.
L’Internazionale Comunista è minacciata dal pericolo di essere inquinata da elementi oscillanti e irresoluti che non si sono ancora definitivamente spogliati dell’ideologia della II Internazionale.
Rimane inoltre, fino a oggi, in alcuni grandi partiti (Italia, Svezia, Norvegia, Jugoslavia, ecc.), la cui maggioranza condivide i principi del comunismo, una rilevante ala riformista e socialpacifista, che aspetta solo l’occasione per risollevare il capo, iniziare il sabotaggio attivo della rivoluzione proletaria, e così venire in aiuto della borghesia e della II Internazionale.
Nessun comunista deve dimenticare gli insegnamenti della Repubblica dei Consigli di Ungheria [marzo-agosto 1919 - NdR]. Troppo cara è costata al proletariato ungherese la fusione dei comunisti magiari con socialdemocratici cosiddetti “di sinistra”.
Il II Congresso dell’Internazionale Comunista reputa quindi necessario fissare col massimo rigore le condizioni di ammissione di nuovi partiti, e richiamare e partiti già ammessi all’Internazionale Comunista agli obblighi loro imposti.
Il II Congresso dell’Internazionale Comunista formula le seguenti condizioni di appartenenza all’Internazionale Comunista:
La stampa periodica e non periodica e tutte le case editrici del partito devono essere interamente sottoposte alla direzione del partito, a prescindere dal fatto che in un dato momento il partito nel suo insieme sia legale od illegale. E’ inammissibile che le case editrici del partito abusino della loro autonomia e conducano una politica non del tutto conforme a quella del partito.
Nelle colonne dei giornali, nei comizi, nei sindacati, nelle cooperative – dovunque i militanti dell’Internazionale Comunista abbiano accesso – è necessario stigmatizzare sistematicamente e spietatamente non solo la borghesia, ma i suoi manutengoli, i riformisti di tutte le sfumature.
[1] Storia della Sinistra Comunista. Vol. II, Edizioni Il programma comunista, Milano 1972, pp. 545-733.
[2] Cfr. Storia della Sinistra Comunista. Vol. V, Edizioni Il programma comunista, Milano 2018.
[3] Storia della Sinistra Comunista, Vol. II, p.572.
[4] Storia della Sinistra Comunista, Vol. II, p.568.
[5] Storia della Sinistra Comunista, Vol. II, p.675.
13/09/2020