Sardegna, un paradiso terrestre… con frutti avvelenati


In quest'epoca di crisi e di emergenze di ogni genere, non può mancare ovviamente l'emergenza ecologica, quella legata all'ambiente, alla temperatura media che inesorabilmente s’innalza, ai ghiacciai che si sciolgono, alla plastica che ormai pervade ogni ecosistema, ai pesticidi, al buco nell'ozono che ogni tanto rifà capolino per spaventarci attraverso le principali testate internazionali, e infine l’emergenza sintetizzata nell’urlo “Salviamo il pianeta! Abbiamo poco tempo!”.

L'epoca in cui viviamo è satura di contraddizioni – lo sappiamo bene – poiché rappresenta la fase estrema del capitalismo, in cui si afferma la sua più brutale ferocia e la sua azione più distruttiva e devastante, sia nei confronti della specie umana sia, e va da sé, nei confronti dell'ambiente e del suo equilibrio.

 

Riappaiono, quindi, i tristi sacerdoti della “decrescita felice” e gli allarmisti che vorrebbero coniugare in modo indissolubile il rilancio dell'economia e il rispetto per il pianeta, il tutto condito con una becera retorica piccoloborghese che predilige il colore verde. Oggi, lo sappiamo bene, il verde salviniano va di moda: manca solo qualcuno che lo agganci ai precetti ecologisti e la farsa apparirà in tutta la sua possanza.

La Sardegna, come tutti sanno, diventa il luogo di rifugio estivo per tutti quelli che adorano l'acqua cristallina, le spiagge di sabbia bianchissima, un entroterra incontaminato e ricco di alberi, la pace che fugge il caos delle concentrazioni urbane, ecc. Ma il mondo capitalista, mentre cerca la quiete, nel contempo la scaccia.

Eppure, “non è tutto oro quello che luccica”, recita un vecchio adagio. La situazione, a ben guardare le cose, risulta non proprio... incontaminata. La Sardegna è, infatti, anche terra di veleni. Quegli stessi veleni che il sistema di produzione attuale crea con la sua prassi di sviluppo e di crescita economica, due mostri che divorano terre incontaminate, cementificano, inquinano, avvelenano e uccidono. Circa 445.000 ettari di territorio sono contaminati non a causa di politiche e modelli industriali sbagliati, ma dal sistema capitalistico in sé, poiché – come noi comunisti ripetiamo da decenni – questo mostro ributtante, che ha come unico fine il profitto, non può allo stesso tempo avere a cuore il rispetto dell'ecosistema e dell'essere umano. I due fattori stanno su posizioni diametralmente opposte, inconciliabili. 

Qui nell'isola, come altrove in Italia, il modello industriale tanto osannato negli anni Sessanta ha visto il proprio declino con l'avvento sul mercato produttivo di paesi in via di sviluppo, in cui la manodopera costa cinque volte meno che nei paesi a capitalismo stramaturo. In modo tangibile, il processo di deindustrializzazione lascia dietro di sé terreni devastati e sottratti a un’agricoltura che indietreggia, di fronte alle aree dismesse da impianti chimici e petrolchimici.

Diverse aree inquinate, ma un solo colpevole

In modo più preciso, procedendo da nord verso sud, si può delineare una mappa delle discariche, ognuna con le sue peculiarità e i suoi veleni.  

Si inizia da Fiume Santo, la centrale idroelettrica di Porto Torres che copre oltre 100 ettari di terreni, dove i dirigenti della società E.On hanno fatto sì che l'olio combustibile venisse rilasciato nel terreno. L’olio esausto unito ad altri veleni si è via via trovato un percorso per infiltrarsi nel sottosuolo, inquinando le falde acquifere, quei corsi d’acqua sotterranei che rappresentano il sistema arterioso di una terra carsica come è la Sardegna. Queste acque possono correre per centinaia di chilometri in profondità, per poi sgorgare in superficie e rifluire nei corsi d'acqua.

Qui, presso la centrale, secondo i dati sulla mortalità per tumori polmonari – aumentati dal 13 al 49 % tra il 2002 e il 2015 – rilasciati dall'associazione Medici per l'ambiente, le malattie oncologiche sono più gravi che nelle aree attorno all'Ilva: ma non se ne parla, per non… intimorire i turisti.  Senza considerare le più recenti rilevazioni fatte dall'Arpas, le quali dimostrano un aumento del benzene nell’aria e nell'acqua del mare, ma la borghesia sta bene attenta affinché non si metta mai in stretta correlazione l'inquinamento e l'insorgenza di tumori, tanto che tali dati vengono occultati, con la complicità dei politici, dalle multinazionali, le quali non hanno nessun interesse ad avviare realmente le operazioni di bonifica, giacché si tratta di una classica faccenda di profitti privati e di spese pubbliche.  

Sull’altro versante, ma sempre nella Sardegna settentrionale, abbiamo l’arcipelago de La Maddalena. Qui, alcuni anni fa, il governo di Berlusconi aveva previsto il G8, progettando recupero delle aree militari e interventi di bonifica che avrebbero dovuto riportare il mare e l’ambiente a uno stadio adamitico. Tuttavia, le cose sono andate diversamente e ad oggi i risultati delle analisi – compiute dalla capitaneria di porto di La Maddalena con il supporto di esperti biochimici e  provetti geologi dell'Università di Cagliari – hanno evidenziato lo stato di estrema pericolosità delle acque. La ricaduta di materiali inquinanti, in un'area sottomarina che va dai nuovi pontili all'isola di Santo Stefano, rende pericolosa non soltanto la balneazione e la pesca, ma addirittura il transito nell'intera area, estesa per oltre dieci ettari. La miracolosa bonifica che fu commissionata da Bertolaso non è mai stata realizzata, ma in compenso 72 milioni di euro sono stati divorati dal sistema in modo sorprendente. È proprio del mese di giugno la notizia che vede tutti gli imputati per disastro ambientale, falso e peculato, assolti. Questo esempio rappresenta uno dei tanti per capire che al capitale poco importa dell’inquinamento. Esso si muove in base al profitto e, in genere, risanare i disastri ambientali non rientra nelle sue necessità primarie.

Viaggiando in direzione sud, si incontra poi la piana di Ottana, nel nuorese. L'amianto che avvelena questo territorio rappresenta un'altra tappa del percorso sardo dell'inquinamento. Qui si è iniziato a parlare di bonifiche già dal 2000, cioè da quando Enichem e Montefibre avviarono la chiusura e le dismissioni degli impianti, ma il risanamento non è mai stato avviato. Va sottolineato che, per ben 40 anni, Ottana ha ospitato l'industria chimica di base e di Stato: ma neppure lo Stato, appunto, ha interesse a risanare e a sprecare soldi in settori improduttivi. Ciò va detto, affinché si allontani l'idea che a creare danni siano solo le multinazionali private: non si tratta di questioni etiche o di coscienza o, peggio, di mancanza di consapevolezza ecologica; il tutto dipende da questioni di mero tornaconto economico e di interessi, denominatore comune di tutte le imprese capitalistiche mondiali, siano esse sotto il controllo statale o di borghesie e capitalisti stranieri. Se servisse un'ulteriore prova, si consideri che, in modo del tutto simile, in Puglia l’inquinamento e le morti causate dalla “privata” Ilva, sono stati preceduti dalle morti e dall'inquinamento della “statale” Italsider. Le proteste, ovviamente, sono sorte dalla mobilitazione degli ex-lavoratori rimasti senza tutele sanitarie e previdenziali, o dalle mogli di quelli morti a causa di malattie provocate dal contatto con l'amianto negli stabilimenti della Montefibre. Di questa fibra a Ottana si continua a morire ancora oggi, con il bollettino che ha ormai toccato i 127 decessi, benché il picco, tenuti in debita considerazione i tempi di manifestazione della malattia, non è ancora stato raggiunto.

Un centinaio di chilometri più a sud, dal canto suo, la Sardinia Gold Mining, società australiana impegnata nella ricerca dell'oro, si è “presa cura” dell'ambiente attorno al comune di Furtei, in provincia di Cagliari. Il progetto avrebbe dovuto portare sviluppo, occupazione, ricchezza per tutti, e alla fine la dorata società avrebbe dovuto occuparsi di bonificare i terreni e ripiantumare l'area delle miniere con alberi tipici della vegetazione isolana. E invece? Invece, niente di tutto ciò. Laghi di cianuro – composto chimico utilizzato nell'attività estrattiva aurifera – ancora fuoriescono dalle rocce anche distanti centinaia di metri dal sito minerario, dal momento che con ogni probabilità tutto il terreno risulta zuppo di tali liquidi. Gli agricoltori si sono lamentati e la Regione è stata costretta a intervenire negli ultimi tre anni con ben 65 milioni, solo per tamponare la situazione devastante, senza per altro risolvere nulla.

Nei territori fra Guspini e Arbus, invece, i siti minerari dismessi di Montevecchio e di Ingurtosu coprono una superficie di ben 110 chilometri quadrati e assieme alle ex miniere del Sulcis-Iglesiente costituiscono una delle aree industriali più inquinate d'Europa, proprio perché caratterizzati dalla presenza di ferite ambientali gravi in cui si notano sversamenti con altissima concentrazione di piombo, zinco, rame, cadmio e altri metalli pesanti. Tale situazione permane invariata da decenni, senza che nessuna giunta e nessun politico si sia preso mai la briga di intervenire. Disinquinare costa e non produce profitti: occupazione, recupero aree inquinate, sviluppo agricolo e forestale sono solo racconti per ingenui elettori.

Se poi facciamo rotta a sudovest, ci imbattiamo nella discarica industriale dell'Enel a Portovesme. Si tratta dell’area industriale vicina a Portoscuso, un comune il cui territorio viene impreziosito dai vapori pestilenziali che si sprigionano dal sottosuolo. Proprio così! Qui sono state interrate a vari metri di profondità oltre 45mila tonnellate di rifiuti industriali pericolosi, fra olii sintetici, miscele bituminose, scorie di cemento, fusti corrosi e lana di roccia. Ma non è tutto, perché non possiamo dimenticare che, sempre a Portovesme si trovano i fanghi rossi – qui i comunisti non c'entrano nulla! – dell'Eurallumina, stipati a cielo aperto su un'area che si estende per centinaia di ettari. Sotto l'azione del vento e di tutte le altre intemperie, le loro polveri vengono generosamente elargite agli abitanti in modo del tutto gratuito, affinché possano inebriarsi respirandoli a pieni polmoni. Inoltre, la loro infiltrazione nel terreno ha ormai raggiunto livelli allarmanti, dal momento che i campioni d’acqua prelevati nei piezometri, cioè dai pozzi di osservazione, hanno evidenziato la presenza del cromo esavalente che supera di oltre il doppio i limiti-soglia nell’area compresa fra il bacino dei fanghi e il mare.

Pochi chilometri ancora verso sud est e appare il Poligono di Capo Teulada. Qui lo Stato borghese ha operato un gioco di prestigio che ha dell’incredibile: l’inquinamento è stato cancellato con un decreto legge. Il disegno di legge approvato nel 2016 dal governo Renzi, equipara infatti le zone militari ai siti industriali, di modo che le soglie di contaminazione del suolo sono state innalzate (!) fino a 100 volte rispetto alle precedenti norme. Come dire, se la soglia di obesità venisse portata ai 250 kg, tutti i grassi potrebbero sentirsi ancora come delle silfidi. Sta di fatto che in base alle nuove disposizioni, i dirigenti dell’Arpas si sono trovati nell’impossibilità di avviare qualsiasi tipo di indagine, specie proprio quando erano in procinto di avviare analisi relative all’uso dei missili Milan, tristemente noti perché disperdono nell’aria il micidiale uranio impoverito, oltre ai non meno dannosi cobalto e arsenico. Che dire? L’effetto è stato a dir poco dirompente nei confronti di quegli ambientalisti ingenui che facevano affidamento sul rispetto delle leggi… borghesi!

Sempre parlando di inquinamento militare, non va certo dimenticato il Salto di Quirra, altro esempio di inquinamento di Stato e uno tra i casi più discussi a livello nazionale. In questi luoghi, i colori e i paesaggi sono tali che li si potrebbe definire simili al paradiso terrestre, se non fosse che qui si trova il Poligono militare interforze, luogo in cui ogni anno – per un periodo ininterrotto di almeno tre mesi – si danno appuntamento gli eserciti dei principali alleati NATO. Militari provenienti da ogni angolo del mondo sperimentano gli ultimi ritrovati della tecnologia bellica, compreso il temutissimo uranio impoverito, il cui nome potrebbe suscitare una certa pietà e muovere i cuori a compassione, visto il suo stato di… indigenza. Così, nell'arco delle 24 ore si svolgono le simulazioni di attacchi via terra e via mare, con conseguente crogiolo di esplosioni, raffiche, boati, deflagrazioni, scoppi, detonazioni... Il risultato si immagina con estrema facilità: bombe interrate, fumi saturi di polveri sottili e mortifere cariche di elementi radioattivi che, in modo lento e silenzioso, hanno causato inquinamento di suoli e acque, causando malformazioni negli ovini (le foto degli agnelli imitatori del mitologico Ortro bicefalo sono state divulgate su internet da due veterinarie, le quali sono state sentite come testimoni al processo ancora in corso!),  e scatenando una epidemia di leucemia e di linfomi di ben 21 fra 25 allevatori, i quali, ignari, portavano le proprie pecore al pascolo su quei terreni, e di un altro numero imprecisato di militari, su cui regna il silenzio assordante del segreto di Stato... borghese. Si capisce!

A pochi chilometri da Cagliari, l'aria e il suolo a Sarroch, che in passato era terra di vigneti, frutteti e pascoli, è carica delle emissioni velenose della raffineria Saras. Questa raffineria avrebbe dovuto garantire posti di lavoro per tutti e rilanciare l'economia isolana, ma la situazione è ormai cambiata e gli affari non vanno più tanto bene, poiché le raffinerie cinesi producono a costi minori della metà. Nondimeno, a denunciare lo stato di avvelenamento dei terreni sono gli imprenditori agricoli, i quali sono costretti dalla Regione a chiudere le proprie aziende, per via della eccessiva presenza del vanadio nel suolo, ma il paradosso sta nel fatto che non viene avviato nessun processo di disastro ambientale nei confronti della raffineria:  «la Saras – si difende l'amministratore delegato – inquina entro i limiti consentiti dalla legge!». Nel frattempo, una ricerca scientifica mostra che 75 bambini delle scuole elementari e medie presentano danni e alterazioni al Dna. Eppure, non si affermi che esista una correlazione fra inquinamento e tumori!

La laguna di Santa Gilla, contigua all'area urbana di Cagliari, un tempo era ricca di mitili e frutti di mare; oggi è ,sì, ricca: ma di rifiuti nascosti dalla Fluorsid, un'altra società che si occupa di profitto e poco di ambiente, come tutte le altre. Insomma, l’area attorno al centro urbano di Cagliari non gode di uno stato di salute apprezzabile, ma la macchina dell’industria turistica vive e si alimenta di quello che è ormai diventato un miraggio: aria salubre e acqua di mare pulita e cristallina.

Sardegna che te specchi nell'onde...

Per l’appunto, se volgiamo lo sguardo attorno all'isola, lungo le coste, il mare di Sardegna è ritenuto uno dei più trasparenti e puliti, caratteristiche che lo trasformano nel biglietto da visita dell'industria turistica, sempre in cerca di attrarre vacanzieri da ogni dove. In effetti, sulla qualità delle acque di numerose aree litoranee non ci sarebbe nulla da dire; nondimeno, in determinati tratti, l'inquinamento microbiologico risulta ben oltre certi limiti a causa di strategie di depurazione che risultano inesistenti o molto limitate. In tal senso, specie alla foce dei fiumi, diverse località sono sottoposte a divieto di balneazione. Le principali cause dell'inquinamento del mare sono dovute sia a scarichi urbani e industriali, sufficienti a scatenare l'eutrofizzazione che ha reso in passato le acque di Alghero verdastre e non balneabili, sia alla presenza di metalloidi derivati dalle attività industriali e dalle esercitazioni militari. Questi fenomeni sono comunque in aumento un po’ su tutto il pianeta, a dimostrazione del fatto che il sistema capitalistico, nella stessa misura in cui aumenta il proprio potenziale industriale ed espande la propria crescita economica, parimenti decuplica la sua virulenza, diventando sempre più distruttivo e pericoloso per la specie umana,  peggiorando le condizioni di vita di masse di persone di fronte ai fenomeni naturali. Di conseguenza, esso deve essere spedito quanto prima nel museo delle antichità assieme all'ascia di bronzo e alla rocca per filare, così da estirpare il suo veleno che già si insinua in profondità nel suolo contaminando l'acqua e la vita nel pianeta.

Discutere sulla possibilità di conciliare sviluppo capitalistico e salvaguardia dell'ambiente, che nell'ipocrita formula dello “sviluppo sostenibile” riassume l'intento di moderare la devastazione pur continuando a ampliare il vortice degli affari, appare oggi piuttosto inutile, se si considera che il problema ambientale e la diffusione di una coscienza ecologica sono state proposte già oltre 60 anni fa: ma se volgiamo lo sguardo attorno, ci accorgiamo che la situazione è andata sempre più peggiorando. Al medesimo tempo, per coloro i quali proponevano leggi più severe, è sufficiente enfatizzare il fatto che dai tribunali arriva sempre l'assoluzione per i manager. Di conseguenza, pensare che tutto si risolverà con una presa di coscienza e una nuova morale è oltremodo allarmante, e a chi ancora pensa una cosa simile bisogna ricordare che inquinare è stato fino ad ora più conveniente del rispetto delle regole: la priorità capitalistica rimane il PIL.

In Sardegna come in ogni altro angolo del pianeta, le foreste, la purezza dei fiumi, la salubrità dei suoli sono tutti sacrificati sull'altare del profitto, proprio perché il capitalismo rappresenta una brutale e lunghissima forma di distruzione di ogni forma vivente, umana e ambientale assieme... La sua stessa sopravvivenza ha bisogno di questa distruzione.

Purtroppo, la solitudine politica e sindacale del proletariato sardo lo rendono facile preda della classe dominante. Così, nel progredire della crisi, sempre gli viene proposta la scelta fra morire di fame o mangiare cibi contaminati, bere acqua avvelenata o morire di sete, respirare aria appestata o fare lo schiavo in una fabbrica di morte, perché in primis vi è il cieco perseguire l’affare ad ogni costo.

Il capitalismo sacrifica la vita umana e ambientale, al fine di perseguire l'infinito accrescimento della produzione, suo scopo supremo. Per tale motivo, esso non riesce a vedere più lontano del breve periodo, benché la borghesia lo celebri come immortale e imperituro, facendo coincidere la sua fine con la fine della specie umana, ovverosia, quella che Marx definì “la rovina di tutte le classi in lotta”. Un siffatto esito sarebbe per un comunista oltremodo disarmante, specie perché ha consapevolezza del fatto che, con il superamento di questo sistema di produzione e con conseguente affrancamento di tutte le forze produttive, la specie umana sarà capace, non solo di aiutare l’ambiente a recuperare uno stato di salubrità, ma addirittura di rinverdire aree oggi desertiche, contribuendo a ripristinare le foreste che un tempo ricoprivano il pianeta.

In ragione di quanto detto fin qui, oggi più che mai, la rivoluzione proletaria mondiale, sotto la guida del Partito di classe, appare una esigenza non più procrastinabile, poiché essa ha il compito di salvare la specie umana da sé stessa; ha il dovere di impedire al capitale di trascinarla nel baratro dell'estinzione. Si badi bene, noi non parliamo – come usano gli ecologisti piccoloborghesi – di salvare il pianeta. Quest'ultimo sarà in grado, come fatto in passato altre volte dopo varie catastrofi naturali, di ripartire da zero. In questi termini, ad essere a rischio non è il pianeta, vero e proprio sistema autorigenerantesi e in grado di produrre nuova acqua, nuova aria, nuovo suolo e nuova vita fino a quando quella nana gialla – alla quale ruota attorno da ormai 4,6 miliardi di anni – avrà da trasformare idrogeno in elio… No, a rischio è la specie umana.

Ferro, catrame, bitume, plastica, corpi privi di vita... Quel meraviglioso movimento dialettico che esiste in natura trasformerà tutto nell'arco di pochi secoli, con l'aiuto di due potenti alleati: la pressione e il tempo. Dureranno un po' di più, con ogni probabilità, solo le ceramiche. È divertente pensare che possa essere un cesso – eccellente metafora dell’olezzante sistema capitalistico – l'ultimo testimone della civiltà borghese. Ma è risaputo: alla Storia non è mai mancato il senso dell'ironia.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)