Divisa al proprio interno, la classe dominante borghese è solida e compatta contro il suo nemico di sempre: il proletariato

Pubblicato: 2018-04-12 11:54:37

Non abbiamo alcuna intenzione di commentare le recenti, buffonesche elezioni italiane. Sempre più, dagli USA al Regno Unito, dalla Francia alla Russia, dalla Germania alla Spagna e via di seguito, il bordello parlamentare è un unico schiamazzo indecente. E sempre più acquista rilievo la posizione comunista: il parlamento borghese è “una macchina che serve a un pugno di sfruttatori per schiacciare milioni di lavoratori” (Lenin), i sistemi politici usciti dal secondo massacro mondiale hanno ereditato la sostanza del fascismo travasandola nelle forme ingannevoli di una democrazia che da più di un secolo e mezzo è svuotata di ogni contenuto progressivo, i proletari non hanno nulla da attendersi dalle istituzioni (statali, regionali, comunali) fondate sulle “libere elezioni” perché non è lì che si decidono le sorti che ci riguardano, bensì là dove pesa e detta legge il Capitale come forza economica e sociale impersonale. L'unica via da percorrere è dunque quella della preparazione rivoluzionaria all'abbattimento, fin dalle sue stesse istituzioni, di questo modo di produzione obsoleto e ormai solo assassino: e ciò vuol dire – in sintesi estrema – a partire dalla lotta aperta e intransigente per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro, nel rifiuto di ogni illusione democratico-riformista e con l’impegno costante al rafforzamento e radicamento internazionale del partito rivoluzionario. In questa prospettiva, limitiamoci a due osservazioni.

Punto primo. A dominare il mondo capitalistico e a riflettersi (sottolineiamo: riflettersi) negli schiamazzi elettorali è l'incertezza su come sciogliere il nodo di una crisi economica mondiale che, come stiamo documentando nel nostro lavoro di partito, al di là di episodiche e stamburate “ripresine” continua la sua marcia inarrestabile, macinando posti di lavoro, “garanzie” illusorie, “diritti” immaginari, vite ed esistenze reali, originando conflitti e massacri impressionanti a ogni angolo del mondo (dimentichiamo il Medio Oriente, dove le guerre infuriano da decenni?), alimentando i più osceni rigurgiti di razzismo e una crescente brutalità nei rapporti interpersonali. La classe dominante borghese cerca disperatamente di giocare le proprie poche e vane carte per far fronte a una crisi che proviene dal DNA stesso del Capitale: crisi di sovrapproduzione di merci e capitali, cui il Capitale può uscire solo con un nuovo conflitto mondiale. Ma, al riguardo, è profondamente divisa al proprio interno: si pensi alle acute polemiche che agitano il mondo economico e politico statunitense (protezionismo sì/protezionismo no) o quello britannico (Brexit sì/Brexit no), al tortuoso cammino di formazione del nuovo governo tedesco, ai continui e contraddittori balletti diplomatici internazionali, ai posizionamenti e riposizionamenti in Estremo Oriente, ai populismi e revanscismi che attraversano l'Europa Dis-unita… Tutto ciò e altro ancora è l'espressione di quest'incertezza, di questi conflitti e contrasti tra capitali nazionali in lotta per ritagliarsi o difendere una fetta della torta e tra fazioni diverse all’interno di ciascuno d’essi, di quest'incapacità sempre più evidente della classe dominante borghese di fare i conti con le inevitabili forze centrifughe prodotte dalla crisi del proprio modo di produzione.

Punto secondo. Questa incertezza e queste divisioni nel campo borghese (sia nazionale che internazionale) non devono però ingannare e illudere il proletariato. Divisa al proprio interno, la classe dominante è solida e compatta nell’affrontare il proprio nemico storico: il proletariato. Dalla sua ha il potere statale con tutte le sue articolazioni repressive (militari e legislative, legali e illegali), il dominio sui mezzi di comunicazione di massa (anche e soprattutto quelli che si propongono come i più “democratici”!), l’indotta amnesia collettiva per tutto ciò che riguarda la lotta di classe, l’inerzia sociale e culturale alimentate e modellate nel tempo che fanno sì che lo status quo e la “legge e ordine” siano divinità cui inchinarsi senza esitazioni, e un’esperienza plurisecolare di comando culminante in repressioni feroci ogni qual volta il proletariato imbocca la propria strada rifiutando le lusinghe della pace sociale (continuiamo a ricordare i nostri compagni comunardi massacrati a decine di migliaia nel 1871, o i nostri compagni spartachisti eliminati dai Freikorps con l’attiva complicità della socialdemocrazia tedesca nel 1918-19!). Negli ultimi tempi, sia con il pretesto di un terrorismo abilmente confezionato e alimentato sia a fronte dei piccoli o grandi episodi di lotta da parte di un proletariato che dimostra nei fatti d’essere indomito anche se disperso e abbandonato a se stesso, le diverse borghesie nazionali sono state concordi, compatte e coordinate tanto nel riesumare e rispolverare codici repressivi del proprio passato più o meno recente (in Italia, il famigerato e mai abrogato Codice Rocco, in vigore dal 1931: a proposito di continuità fascismo-democrazia…) quanto nell’introdurvi varianti e ampliamenti nel senso di una sempre maggiore blindatura statale – quella che abbiamo chiamato (fra gli strilli scandalizzati dei “sinceri democratici”) “democrazia dittatoriale”. Per questo, la classe dominante si serve di un’ampia e crescente gamma di strumenti repressivi: cariche poliziesche ai picchetti, aggressioni da parte di squadracce di crumiri, agguati ai delegati, intervento sempre più duro ed esplicito della magistratura, uso manipolatorio dei mezzi di comunicazione di massa, sapiente utilizzo di formazioni fasciste e naziste in funzione apertamente anti-proletaria... Si tratta di una realtà internazionale. In Francia, le banlieues sono militarizzate; negli Stati Uniti, il razzismo operativo delle “forze dell’ordine” ha portato a uno stillicidio di assassinii di giovani proletari neri (di cui pare che oggi si sia già persa la memoria); in Egitto e in Tunisia, gli scioperi vengono repressi con inusitata violenza; in Gran Bretagna come in Cina, interi quartieri metropolitani periferici sono “svuotati” a forza della popolazione proletaria per evitare pericolosi concentrazioni classiste; in Italia, oggetto di una brutale raffica di interventi da parte della “forze dell’ordine” e degli apparati statali sono le continue, coraggiose lotte dei lavoratori della logistica – lotte che vedono fianco a fianco proletari di ogni provenienza, di credi diversi, maschi e femmine, e che dimostrano come solo la battaglia di classe può liberare ciascun lavoratore dai pregiudizi ideologici e sbattere sul muso del capitale la pratica dell’internazionalismo proletario… L’elenco potrebbe continuare e – come se non bastasse la miseria crescente ovunque – dimostra che la crisi economica procede inesorabile e alimenta i peggiori incubi per la classe dominante.

I proletari non debbono dunque illudersi. Ma nemmeno debbono lasciarsi intimidire: al contrario, debbono tornare a sentire d’essere una forza possente e in cammino, che nessuno può fermare. Certo, hanno di fronte un nemico potente: ma hanno anche due grandi risorse. Una è quella del numero: ovunque nel mondo, sotto la pressione della crisi economica, l’esercito proletario si gonfia e si diffonde creando una forza potenziale smisurata e, nei fatti e nelle condizioni oggettive prima ancora che nelle convinzioni e nei comportamenti, solidale a livello internazionale. L’altra risorsa è quella dell’organizzazione di resistenza sociale e di rivendicazione economica, prima, e di lotta sociale e politica, poi: organizzazione che certo oggi manca, dopo le mille devastazioni teoriche e pratiche causate da novant’anni di controrivoluzione, ma la cui necessità urgente scaturisce ogni volta che i proletari scendono in lotta, abbandonati come sono da partiti apertamente anti-proletari e da sindacati di regime. Un’organizzazione, la prima, che, allargandosi sul territorio e occupandosi di tutte le questioni relative alle condizioni di vita e di lavoro, permetta di opporre un fronte reale, non fittizio e parolaio, in grado di contrastare e rigettare l’attacco ormai quotidiano; e, la seconda, di battaglia politica, che organizzi i proletari in un soggetto critico e antagonista, attivo e operante, e li prepari alla disarticolazione rivoluzionaria della dittatura borghese e da lì li guidi nell’esercizio del potere per eliminare ogni traccia di quest’odiosa società divisa in classi, aprendo la via a una nuova società dove il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti. Di queste due grandi risorse i proletari dovranno tornare a essere coscienti.

E allora è urgente che si rafforzi e radichi a livello internazionale il partito rivoluzionario: il necessario punto di riferimento politico per uscire dalla lunga, sanguinosa agonia di un modo di produzione superato dalla storia. A ciò noi lavoriamo da decenni.

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)