Il summit Nato di Varsavia e il corridoio polacco-baltico

Pubblicato: 2016-09-08 20:47:39

La corsa agli armamenti Usa-Russia

Prima di analizzare le disposizioni del recente summit Nato tenutosi a Varsavia a luglio scorso, ci sembra utile riprendere e citare alcuni brani di un nostro articolo uscito due anni fa su queste pagine, dal titolo: “Armamenti: la crisi e le prospettive di guerra” (1). Al centro dell’articolo, stavano i dati sulla spesa militare mondiale di Usa e Russia nel 2012 e alcune valutazioni sulla loro corsa agli armamenti: dati e valutazioni che, indirettamente, ci dicono molto sugli interventi recenti nell’area del Baltico, della Crimea e dell’Ucraina orientale (quest’ultima insanguinata da violenti scontri militari, in una situazione di guerra rimasta congelata dai cosiddetti “accordi di Minsk”, in Bielorussia).

 

Le forze convenzionali Nato nell’Europa Orientale e Russia (2013)

[dall’alto verso il basso: Truppe, Artiglieria pesante, Carri armati, Aerei militari, Spese militari % Pil. Fonte: Il Sole-24 ore, 8 luglio 2016]

Polonia

Estonia

Lituania

Lettonia

Slovacchia

Ungheria

Bulgaria

Romania

Turchia

Russia

99.300

5.750

11.800

5.310

15.850

26.500

31.300

71.400

510.600

845.000

783

334

48

76

68

68

311

899

2.504

5.436

893

0

0

0

30

30

80

437

7.822

2.550

106

0

0

0

20

14

42

69

352

1.389

1,8

2,0

0,8

0,9

1,0

0,9

1,4

1,4

1,8

 

 

L’articolo ricordava dunque che “con 684 miliardi di dollari, gli Usa rappresentavano da soli il 38% della spesa globale in armamenti nel 2012. Benché le loro spese abbiano subito, in un solo anno, un decremento del 5,6%, il livello di spesa è più alto del 69% rispetto al 2001 quando cominciò la cosiddetta guerra globale al terrorismo. Gli Usa rimangono il maggiore acquirente di sistemi d’arma al mondo. Anche se la loro quota sul globale mondiale di spesa, per la prima volta dal crollo della Russia scende nel 2012 sotto il 40%, essa rimane maggiore della spesa complessiva dei successivi Paesi al mondo”. Al di là delle chiacchiere sul “pacifista Obama”, “lo stato di allerta, nei confronti della Russia, a causa del suo incremento della produzione bellica a base di materiale fissile all’uranio arricchito”, è già stato lanciato e i contratti per allargare gli arsenali sono stati già regolarmente firmati. “Non deve quindi suscitare sorpresa alcuna, il dato effettivo che vede gli USA proiettare la propria potenza di fuoco con circa 1000 basi militari su tutto il pianeta. […] Il progetto di scudo spaziale avviato da Bush negli anni ’80 è in uno stato di quiescenza,ma non è stato bocciato […] Ora, noi non possiamo trarre conclusioni sugli sviluppi futuri in base ai soli dati di un anno e nemmeno di un decennio. Il rapporto tra crisi economica e corsa agli armamenti non è meccanico: è mediato in termini dialettici da fattori politici e sociali. La flessione al lieve ribasso degli ultimi anni è stato solo un riflesso politico e immediato, temporaneo, del tentativo della nuova dirigenza Usa di costruirsi una facciata pacifista. […] E’ stato il crollo economico del principale concorrente, la Russia – con il ridimensionamento di gran parte del suo apparato militare, equivalente a una sconfitta di guerra – a permettere agli USA di instaurare il ‘Nuovo ordine mondiale’ senza dover incrementare in maniera eccessiva il proprio apparato militare. Per tutto il periodo degli anni ’90, in cui sulla Russia pesavano le conseguenze del crollo economico, gli USA hanno potuto ridurre le proprie spese militari: sono riusciti addirittura a impegnarsi nelle guerre del Golfo, facendone pagare in gran parte il costo ai loro alleati. Solo dal 2001 […] si ha una nuova tendenza al rialzo legato alla recessione precedente agli attentati dell’11 settembree al presentarsi sulla scena di nuovi concorrenti per il controllo di aree strategiche dal punto di vista degli scambi commerciali e delle risorse energetiche […] Da anni, gli Usa sono impegnati su questi tre fronti strategici (Europa dell’Est, Medioriente, Pacifico sud occidentale-Asia orientale) e devono confrontarsi con concorrenti che stanno aumentando la propria spesa militare: Cina, Russia, Iran e India”.

Nonostante lo stallo in cui si trova ora il progetto di scudo spaziale a causa di tensioni politiche, si può affermare che per l’amministrazione americana il progetto di scudo anti-missile (Nmd, National Missile Defense) il cui costo viene valutato fra i 60 e i 100 mld di dollari, non può che farsi strada come una necessità: “un nuovo volano di spesa pubblica e quindi di sostegno alla domanda del settore industriale pesante, oltre che come attivo ‘deterrente’ nei confronti tanto dei concorrenti capitalistici quanto del proletariato asiatico ed europeo. Inoltre, gli Usa si trovano in una fase di transizione e stanno spostando le loro truppe dal fronte eurasiatico e medio-orientale a quello del Pacifico sud Occidentale”.

Per quanto riguarda la Russia prima del crollo, “il comparto tecnologico militare prima raggiungeva una spesa di poco superiore ai 400 miliardi di dollari annui. Oggi Mosca dichiara solamente una spesa militare di circa 96 miliardi di dollari annui. In seguito al crollo del 1991, la Russia ha dovuto tagliare il proprio budget militare in modo considerevole”. Lo Stato russo continua cioè a giocare un ruolo decisivo all’interno dell’economia nazionale, ancora molto orientata verso l'estrazione e le esportazioni di risorse, sostenendo con le spese militari un settore manifatturiero relativamente debole se paragonato al capitale impiegato nell’energia. “Nel periodo 2003-2012 la spesa in armamenti della Russia è cresciuta del 113%. Il ministro della difesa russo ha reso noto che nel 2014 la spesa militare crescerà del 25 % rispetto all’anno precedente, per lanciare un ambizioso progetto di riarmo che dovrebbe toccare i 640 miliardi di dollari entro il 2020, dando priorità all’aspetto qualitativo rispetto a quello quantitativo”. Esiste quindi un nuovo rilancio di potenza della Russia, come dimostrato anche da diversi fattori oggettivi: missili Iskander nell’enclave di Kaliningrad nel cuore dell’Europa; nuova difesa antiaerea; grande attivismo in Armenia e nell’Asia Centrale; le continue tensioni in Ucraina e più in generale lo scontro per il controllo dell’Europa orientale, in cui la Russia vuole riguadagnare le posizioni cedute dopo la sconfitta nella “guerra fredda”; l’alleanza tra Russia e Cina; gli scontri in Siria. A luglio 2013, si è poi svolta l’esercitazione militare combinata tra Russia e Cina, denominata Mare unito 2013: essa ha avuto un'importante eco dal punto di vista geopolitico, tanto che, secondo ilNew York Times, le manovre congiunte tra Cina e Russia avrebbero inaugurato una nuova fase, di rapporti più stretti tra i due Paesi. Le esercitazioni, infatti, devono essere considerate, commentava ancora quell’articolo, come “la risposta alla strategia Usa di allargamento della propria sfera di interessi nell'area”. E tanto basti a mo’ d’introduzione.

La radice scoperta del nazionalismo

Molta acqua è passata sotto i ponti in questi settanta anni dalla fine della guerra. Lo sviluppo economico e la sovrapproduzione produttiva e industriale (i “favolosi trenta anni” del dopoguerra, come li hanno chiamati) hanno portato alla crisi di sovrapproduzione della metà degli anni settanta. Essa lentamente ha prodotto i suoi effetti straordinari: lo scioglimento della cosiddetta Unione sovietica, la riunificazione della Germania con tutte le sue contraddizioni economiche e la lunga depressione giapponese. Dal 1989, il territorio europeo, dopo la riunificazione, è percorso da un rinato nazionalismo lungo diverse linee di frattura – balcaniche, carpatiche, baltiche, caucasiche – che non tardano a esplodere. Assistendo a questa dinamica imperialistica, gli Usa si sono installati in modo strisciante nel cuore orientale dell’Europa e la forza economica tedesca (ma non ancora la sua politica di potenza) non riuscirà a ricacciarli fuori, né potrà impedire che la Russia tenti di riprendere il proprio posto di un tempo.

Dopo la caduta del muro di Berlino, è scattato un vero festival del “principio di autodeterminazione dei popoli”. In nome del cosiddetto “diritto dei popoli alla separazione”, così com’era avvenuto dopo il congresso di Versailles nella Prima guerra mondiale, si sono mobilitate presunte nazioni tenute sotto chiave e si sono alimentate nostalgie dietro le quali si nascondevano e si nascondono grandi interessi economici (tra cui il gas e il petrolio lungo i corridoi energetici del Baltico, del Mar Nero e del Caspio, oltre che continentali). La Mitteleuropa si risveglia, dunque, con le sue nazioni storiche e i suoi “popoli senza storia” (Engels), scoprendo tradizioni e interessi cosiddetti comuni in tutta l'area balcanica dal Kossovo alla Serbia, dall’Austria alla Slovenia e alla Slovacchia, fino alla Polonia. La dinamica di alleanze in ambito Nato si spinge a includere il Montenegro e, sollecitando l’Ucraina e sollevando “sospetti” russi, prosegue la stessa strategia nelle piccole entità del Caucaso, dopo le vicende dell’Ossezia e la Georgia.

Negli anni precedenti la Seconda guerra mondiale, la situazione post-crisi 1929 del territorio polacco e del corridoio baltico divenne estremamente pericolosa. Divisa la Polonia tramite il Patto russo-tedesco Molotov-Ribbentrop (1939), occupato il corridoio baltico nel 1940 dalla Russia, esso sarà rioccupato dalla Germania nazista nella sua avanzata verso Mosca. Dal 1944, nuovamente inglobati nella Russia, gli Stati baltici riusciranno dopo la deflagrazione russa a diventare repubbliche indipendenti. Attualmente repubbliche parlamentari, accomunate da dimensioni e popolazione ridotte e da un pesante nazionalismo che nega la cittadinanza alle forti minoranze russe, Lettonia (63% lettoni, 27% russi e altri), Lituania (lituani 83,4%, polacchi 6,7%, russi 6,3%), Estonia (69,7% estoni, 24,8% russi) potrebbero essere al centro del prossimo incendio che dalla Polonia si espanderà verso la Russia secondo il vecchio copione e la regia delle grandi potenze. Tutti e tre gli Stati hanno adottato l'Euro: Estonia dal 2011, Lettonia dal 2014 e infine Lituania dal 2015; tutti e tre sono dal 2004 membri dell'Unione Europea e della Nato. In quanto tali, le miserabili borghesie baltiche finiranno nel prossimo mattatoio monetario-militare Euro/Nato. Di rimbalzo, si sono riallacciate le vecchie alleanze, fra Polonia e Lituania in primo luogo, e poi fra Lettonia ed Estonia, con le loro connotazioni linguistiche ed etniche nutrite di russofobia. A esse si è aggiunto il più recente fronte di guerra filorusso del Donbass e del Donetz nell’Ucraina orientale, ai confini russi, delineatosi dopo la secessione della Crimea.

A sua volta, in questi ultimi anni, il Regno Unito, stringendo i nodi di un più stretto rapporto con gli Usa, con in più attività ed esercitazioni militari sempre più frequenti con gli Stati baltici e la Polonia a garanzia del fronte nord della Nato, ha tentato di aprirsi la strada verso la Russia. Che le alleanze stiano cambiando rapidamente lo si avverte con l’avvicinamento turco-israeliano, ma anche con il superamento del disaccordo russo-turco in merito all’aereo abbattuto sul fronte turco-siriano. Mentre sembra giunta a un punto di stallo la guerra all’Isis, la guerra anti-siriana si avvicina alla “soluzione” con le sue migliaia di morti e la fuga disperata dei migranti.

Il Summit dell’organizzazione militare Nato a Varsavia

In questo quadro di instabilità crescente, l’8 e il 9 luglio di quest’anno si è tenuto a Varsavia il Summit della Nato: il summit “della svolta”, come lo definisce il segretario Stoltenberg (2). Il pericolo di guerra è reale, ma qui si recita sul palcoscenico della Nato una vera e propria commedia, in certi momenti una sceneggiata. L’incontro è ritenuto tra i più importanti del dopoguerra, mentre la crisi economica e la guerra non cessano di seminare, soprattutto in Medioriente, disperazione e morte. Tutti i 28 capi di Stato della Nato, tra cui, in testa, quelli di Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, sono presenti in forma ufficiale: ma non mancano gli invitati Svezia e Finlandia. Tutti, sembrerebbe, sotto minaccia russa: “la Russia potrebbe invadere i paesi Baltici in 60 ore, nonostante tutti i militari Nato presenti, grazie al ‘vantaggio geografico’”, spiega il vice-segretario alla Difesa Usa. Così, in una Varsavia blindata da 6 mila poliziotti, si è discusso di deterrenza e sicurezza. L’agenda politica del Summit contemplava le “ambizioni russe” in Siria a difesa di Assad e l’azione diretta contro il terrorismo dell’Isis: ma in essa sono rientrate anche la crisi ucraina e l’annessione della Crimea con la base navale di Sebastopoli, oltre alla pericolosa enclave di Kaliningrad tra Polonia e Lituania. Vi è rientrata anche la “stabilizzazione libica”, che implicherà presto o tardi un intervento armato, e infine anche il traffico di migranti nel Mediterraneo.

Le richieste di armamenti e di nuove truppe da parte dei partecipanti sarà soddisfatta: a livello generale, la forza congiunta di soccorso rapido multinazionale della Nato dispone di 40mila uomini, cui si aggiungeranno, da qui in avanti, quattro battaglioni di un migliaio di soldati ciascuno, operativi nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia. “Ci saranno più truppe – ha ripetuto il segretario – in modo da inviare un chiaro segnale che un attacco contro la Polonia sarà considerato un attacco contro l’intera Alleanza”. A sua volta, il presidente polacco è entusiasta e perentoriamente ha esclamato: “la Polonia non deve essere solo un membro della Nato, vogliamo avere la Nato in Polonia, avere le truppe degli Alleati qui!”. Il dialogo con la Russia comunque non è stato interrotto: il 13 luglio, infatti, s’è tenuto il Consiglio Nato-Russia, durante il quale la Nato ha “aggiornato” (!) la Russia sulle decisioni militari e di sicurezza adottate al Vertice e ha ascoltato le risposte di Mosca, compresa… una proposta per ridurre gli incidenti aerei (?!) nel Mar Baltico nel corso delle esercitazioni militari. “Gli Alleati studieranno attentamente la proposta e accoglieranno con favore il tentativo della Russia di voler portare avanti le misure di riduzione del rischio”, è stato il commento, seguito dall’affermazione di non vedere l'ora di ulteriori discussioni relative alle misure per evitare "incidenti e incomprensioni" (?!).

Tuttavia, si sono sentite a Varsavia voci discordanti dal coro. Quella di Hollande, ad esempio, che ha affermato: “La Russia non è un avversario, né una minaccia, perché rappresenta un partner che può avere l’effetto di proteggere l’Europa da altre minacce. La Russia è stata sempre aperta al dialogo ed è interessata alla cooperazione, ma solo quella reciprocamente vantaggiosa, quella che tiene conto dei rispettivi interessi”. Altra voce discordante, quella del Ministro alla difesa tedesco Steinmeier, secondo il quale “gli alleati Nato devono fare attenzione a non distorcere il loro messaggio sulla Russia e rovinare i nostri sforzi, il che significherebbe meno sicurezza per l’Europa”. Si tenga presente che, il 18 giugno, Steinmeier aveva definito le manovre militari Nato in Polonia un “eccessivo e inutile rumor di sciabole”: al che, il Ministro alla difesa italiano, Pinotti, aveva replicato: “il rumor di sciabole non deve diventare escalation”. Sotto il velo, quindi, del confronto degli arsenali in possesso, della superiorità numerica dell’uno sull’altro, i presenti hanno preso le misure per una nuova corsa agli armamenti, nascondendo spudoratamente la situazione sempre più pericolosa e la destabilizzazione che stanno determinando in Europa. Non è un caso che alcuni membri della Nato abbiano affermato che “occorre rivedere la dottrina nucleare di deterrenza della Nato entro la fine del mandato presidenziale di Barack Obama”.

Due sarebbero le minacce principali, agli occhi dell’Alleanza Atlantica: l’instabilità internazionale come dato indiscutibile e il terrorismo politico. A ciò, si aggiungerebbe poi la recente uscita dall’UE del Regno Unito, vista come un indebolimento del fianco nord dell’Alleanza, dato il ruolo di alleato di ferro della Nato sempre svolto dal RU. Né poteva mancare tra le chiacchiere, per completare l’intero quadro, l’autodenuncia di qualche giorno prima di Blair sull’attacco ingiustificato all’Irak, ovvero il consenso alla menzogna americana sulle pretese famose “armi di distruzione di massa” in possesso di Saddam Hussein. Stoltenberg ha voluto spiegare anche perché il corridoio polacco-baltico debba essere rafforzato: non solo per rispondere al dispiegamento militare di uomini e di missili della base russa di Kaliningrad, ma anche per la situazione creatasi ai confini dell’Ucraina orientale. Il tutto preceduto da un avvertimento: “la militarizzazione del territorio non deve essere considerata come una vera e propria corsa agli armamenti o un inizio di una nuova guerra fredda”. Che fanno? Ci fanno o ci sono?

Come ulteriore compito, si è esaminato il ruolo che dovrà assumere la Nato nel Mediterraneo Centrale (Libia, Tunisia) per la questione dei migranti e del terrorismo. E’ stata prevista la presenza (“per allargare la confusione”, commenta qualcuno) di una flotta di sette navi da guerra che si uniranno alle flotte Ue e italiane. Entrando nel cuore del Medioriente, si è valutata anche la necessità del prolungamento dell’addestramento militare a Bagdad e ad Amman e l’invio di aerei Awacs da aggregare alla coalizzazione guidata dagli Stati Uniti contro l’Isis in Siria.

***

Dopo un decennio, dunque, le spese militari della Nato per la prima volta aumenteranno. Nel 2015, gli Alleati europei hanno speso per la difesa 253 miliardi di dollari, contro i 618 miliardi spesi dagli Usa. L’accordo dei membri prevede una spesa minima standard pari al 2% del Pil: per questo, i paesi europei dovranno aumentare di 100 miliardi il loro budget militare annuale (quello attuale infatti si ferma all’1,43%). Il contributo complessivo dal 2008 è sceso costantemente, raggiungendo l’1,7% del Pil, per un valore di 288 miliardi. Il trend di lungo periodo negli anni ottanta era diverso: rivelava una spesa del 3% del Pil; la fine della “guerra fredda” modificò alla radice il senso dell’Alleanza. L’inversione di tendenza (rialzo del Pil) per il budget dei paesi confinanti con la Russia è stato annunciato ufficialmente. Per i Paesi baltici, il budget aumenterà del 60% nel corso del 2016, quello della Lituania del 35% e quello dell’Estonia del 9%. Anche la Polonia, il paese militarmente più forte dell’Est Europa, ha previsto un incremento delle spese militari del 9% nel 2016, mentre la spesa militare del Regno Unito crescerà del 2% del Pil. “Gli scenari saranno incerti, le minacce numerose, sfide di tal fatta non si erano mai viste, occorre unità, forza e stabilità”, ripete Stoltenberg.

Ma c’è dell’altro. Che cosa cambierà con l’uscita del Regno Unito dall’UE? Qualche dato: il Regno Unito è il primo paese europeo per potenziale militare (la quarta potenza più grande del mondo, pari a 56,2 miliardi di dollari nel 2015), è il maggiore finanziatore dell’Alleanza, ha i più consistenti investimenti militari, è secondo agli Stati Uniti come peso nella Nato. La spesa per la difesa britannica supera di gran lunga il budget militare di ogni altro Stato membro dell’Unione Europea. Il Summit non si è fermato a questi impegni, numeri e percentuali, perché è stato agitato un problema politico che ovviamente rimarrà senza risposta. Per la sicurezza comune dell’UE e del progetto europeo, occorrerà prendere una decisione a Bruxelles: sarà la Nato ad avere piena autorità nel proteggere gli Stati membri dell’UE o basterà l’integrazione militare nel Blocco europeo? L’indipendenza della “struttura militare dell’UE” implicherebbe una minore dipendenza dall’Alleanza Nato sulla scena internazionale e nello stesso sarebbe una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti. Che il gioco delle tre carte cominci!

 

Note

  1. Armamenti: la crisi e le prospettive di guerra”, Il programma comunista, n.3-4/2014. Fra i molti nostri studi sull’argomento, rimandiamo poi in particolare a: “L’imperialismo delle portaerei”, Il programma comunista, n. 2/1957; “Armamenti: un settore che non è mai in crisi”, Quaderni del Programma Comunista, n. 2, giugno 1977; “Lo spettro della riunificazione coreana sulla dominazione americana in Asia e nel Mondo”, Il programma comunista, n. 2/2001; “La minacciosa Corea del Nord”, Il programma comunista, n. 4/2013; “Politiche e geo-strategie nell’Asia Sud orientale”, Il programma comunista, n. 5/2013; “La Cina tra nuove riforme, repressioni e antagonismi inter-imperialistici”, Il programma comunista, n. 1/2014.

  2. I dati e le citazioni che seguono sono tratti dai seguenti siti: http://www.analisidifesa.it/2016/07/le-sfide-del-summit-nato-di-varsavia/;http://www.analisidifesa.it/2016/06/la-difesa-europea-senza-londra/http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-05-31/nato-torna-crescere-dopo-10-anni-spesa-militare-paesi-europei-142540.shtml?uuid=ADc9gGT

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)