I proletari statunitensi di ogni origine e colore, come i proletari di tutto il mondo, hanno sempre piĆ¹ bisogno del partito rivoluzionario

Pubblicato: 2016-07-17 12:25:21

La sparatoria di Dallas (il cecchino solitario che, esasperato dai continui omicidi di neri da parte della polizia, ha ucciso 5 agenti) mostra molte cose su cui riflettere.

Innanzitutto, come abbiamo più volte ribadito sulla nostra stampa in tutti questi mesi a proposito degli omicidi a sangue freddo da parte delle forze statali di repressione USA, il problema non è razziale, ma di classe. Il razzismo è uno strumento che la classe dominante ha sempre usato per dividere e così indebolire il proletariato, spingendone ampi settori gli uni contro gli altri. Ciò è avvenuto fin dall’epoca dell’abolizione della schiavitù a seguito della Guerra Civile americana (1861-1865): lo sviluppo travolgente del capitalismo e la formazione di un mercato nazionale richiedevano l’individuazione di un capro espiatorio contro cui spingere l’esasperazione sociale, in questo modo dividendo e comandando: lavoratori bianchi contro lavoratori neri, ma anche lavoratori “indigeni” contro lavoratori immigrati, aristocrazia operaia bianca contro “bianchi poveri”, e via dicendo.

Non diversa è stata la storia del divide et impera coltivato dalla classe dominante britannica dentro la classe operaia inglese nei confronti del proletariato irlandese, tanto per fare un esempio: si leggano le pagine dedicate da Marx ed Engels a questo proposito, con l’insistenza nel rilevare che la classe operaia inglese avrebbe potuto svolgere il proprio ruolo rivoluzionario solo liberandosi dei pregiudizi anti-irlandesi e scendendo in campo contro il capitale in un unico fronte proletario in lotta. Il razzismo è uno dei prodotti velenosi del capitalismo e quindi diciamo apertamente, parafrasando qualcuno, che “chi non vuol parlare di capitalismo non deve parlare di razzismo”!

Ma la sparatoria di Dallas ci dice anche (e di nuovo ripetiamo quanto stiamo affermando da mesi) come la situazione sociale statunitense sia in rapido deterioramento, nonostante tutti i proclami ottimistici sulla “ripresa economica” e la vomitevole retorica rovesciata sull’opinione pubblica da una campagna elettorale che è sempre più un inutile e fetente baraccone democratico. Le “diseguaglianze sociali” (espressione pudica dei sociologi per non dire “fratture di classe”) sono sempre più nette e colpiscono inevitabilmente gli strati più esposti e da sempre utilizzati come capri espiatori. I ghetti di città grandi e piccole, ma anche i quartieri e le comunità di “bianchi poveri” e di proletari immigrati più o meno di recente (negli stati del sud-ovest gli immigrati più o meno clandestini dal Centro e dal Sud America vivono e lavorano in condizioni disumane) sono drammatici serbatoi di miseria, colmi di una rabbia che non trova sbocco, se non in azioni individuali e disperate.

Fedeli a tutta la nostra tradizione di comunisti, noi non condanniamo queste azioni. Ma torniamo a ribadire con forza che questo deterioramento sociale (che non è patologia della società del capitale, bensì sua fisiologia) è destinato ad acuirsi sempre più ponendo le basi di ben altre tragedie; che la necessità dell’autodifesa deve tornare a presentarsi quotidianamente, in ogni manifestazione ed evento di lotta; che proprio attraverso la radicalizzazione delle posizioni e la riaffermazione, nei fatti, del disfattismo rivoluzionario, anti-patriottico e anti-nazionale, dovrà tornare a porsi la questione del potere; e che, a fronte di tutto ciò, si fa sentire con sempre maggiore e più drammatica urgenza la necessità del partito rivoluzionario in grado di unificare la classe proletaria al di sopra delle barriere d’origine, di lingua, di colore. La vera lotta al razzismo si attua nel corso delle lotte proletarie, nei picchetti e nei blocchi delle merci e della produzione, quando la lotta economica di difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro diventa allenamento e presupposto per la lotta politica rivoluzionaria. La risposta non può essere certo offerta da formazioni piccolo-borghesi, riformiste e pacifiste come la tanto celebrata “Black Lives Matter”, che si propone (come si legge sul suo sito) di affermare e rivendicare “il contributo dato dalla gente nera a questa società”! “Questa società”, che si fonda sul capitale, va distrutta e, per distruggerla, occorre la mobilitazione di una classe proletaria unita e guidata dal suo partito rivoluzionario. A questo noi lavoriamo, ben consci di essere forza minoritaria, ma anche del fatto che non c’è altra via per uscire dagli orrori – di guerra e di miseria, di razzismo e di sfruttamento, di oppressione e di repressione – di “questa società”.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)