Guerre e trafficanti d’armi in Medioriente

Pubblicato: 2014-11-26 14:00:48

I signori della guerra e i mercanti d’armi (ovvero le grandi potenze imperialiste) si fregano le mani via via che si allarga il fronte di guerra mediorientale, dalla Striscia di Gaza alla Siria, dal Kurdistan settentrionale all’Irak centrale. Da sessant’anni a questa parte, i grandi arsenali di armi e le grosse partite finanziarie che hanno impegnato quest’area hanno moltiplicato all’infinito le opportunità di rendite e profitti. I capitali finanziari internazionali derivati dalle immense rendite petrolifere hanno qui la loro fonte e i loro sbocchi, e qui si spostano da un settore all’altro, da quello civile a quello militare, con la rapidità della luce. E, sotto la spinta degli intrecci commerciali, qui finiscono per fondersi, mettendosi a disposizione di quel “settore che non è mai in crisi”: quello degli armamenti.

Le guerre che si sono accese nel Medioriente ebbero inizialmente la loro matrice razziatrice e spartitoria nei protettorati francesi e inglesi alla fine del primo conflitto mondiale e più tardi, alla fine del secondo, nell’impianto “innaturale” dello Stato israeliano, sostenuto dalle potenze vincitrici. Le borghesie locali, strutturate in forma di clan territoriali, appoggiate da élites religiose e da burocrazie, coperte politicamente dagli interessi delle grandi potenze, si sono via via consolidate al potere arruolando masse di co-trafficanti, di pretoriani super-armati, di petrolieri. Le decine di guerre di cui l’area è stata (e continua a essere) teatro hanno causato milioni di morti e attivato una gigantesca proliferazione di capitali e quindi di armi.

L’espansione deterministica del rapporto circolare guerra-armamenti-affari non poteva e non potrà che allargarsi. Nel corso dell’attuale crisi, la pressione verso la prossima guerra inter-imperialista si rafforzerà sempre più e non ci sarà infine modo di contenerla senza la rivoluzione proletaria. L’accelerazione di questa dinamica è espressione determinata della legge dell’accumulazione capitalistica, che provoca una crescente sovrapproduzione cui segue periodicamente la crisi. Il suo superamento può avvenire solo attraverso la centralizzazione e la concentrazione sempre più grande del capitale, da cui a loro volta derivano la caduta tendenziale del saggio medio di profitto e il progressivo restringimento generale dei mercati di sbocco. A questo punto, la guerra s’impone come soluzione estrema inevitabile.

L’elenco delle guerre chiarisce quale specie di trappola infernale sia divenuto il Medioriente. In breve: la guerra arabo-israeliana (1948), la guerra dei sei giorni (1967), la guerra del Kippur (1973), le guerre anti-libanesi (1978-82), la guerra Irak-Iran (1980-88: un milione di morti!), lo scontro tra sciiti e sunniti, massacratisi a vicenda nel corso e dopo le due guerre del Golfo (1990-91 e 2003), i periodici bombardamenti sulla Striscia di Gaza, le guerre in Afghanistan, la caccia a Osama Bin Laden, la guerra civile in Siria iniziata nel 2011 tra siriani e jihadisti anti-Assad (200mila morti, secondo stime recenti), la guerra condotta da inglesi e francesi in Libia (2011) e la successiva guerra civile...

Tutte guerre che sono state rese possibili da (e a loro volta hanno reso necessario) un gigantesco arsenale, necessario alla sopravvivenza del capitale in epoca di crisi. Esso ha rifornito di armi e alimentato la più varia specie di mercenari, guerriglieri, terroristi di ogni credo e colore politico, pronti a vendersi e a passare da un campo all’altro, al soldo delle multinazionali, dei trafficanti nazionali, delle banche di affari, dei grandi azionisti, dei rentiers di tutto il mondo, delle grandi corporazioni petrolifere. Nella disperazione più totale, masse enormi di popolazioni si sono riversate da un’area all’altra, da un campo profughi all’altro, abbandonando le terre d’origine, estirpate violentemente in nome della sacralità della rendita immobiliare e petrolifera.

Su tutte queste masse in fuga, hanno volteggiato in passato e continuano a volteggiare aerei da bombardamento, droni e missili, di fabbricazione e di origine americana, inglese, francese, che, dividendo territori, distruggendo aree intere, seminano morte, distruzione e disperazione, compattando nella discordia e nell’odio le varie coetnie territoriali affaristiche, si chiamino sunnite o sciite, alawite o baathiste. I predatori imperialisti vanno ripetendo che il loro obiettivo è quello di rimettere in sesto il governo irakeno, di rafforzare i peshmerga curdi nelle aree di Mossul, Kirkuk, Erbil contro i guerriglieri dell’Isis (che “occuperebbero” l’area che va da Mossul alla Siria), di portare aiuti umanitari alle popolazioni cristiane, yazide, turcomanne... Soprattutto, giurano che esporteranno la “sacrosanta democrazia”. Mascherano in realtà il fatto che non si tratta d’altro che alimentare il mercato delle armi, distruggere il surplus attuale, allargarne e modernizzarne la produzione. Lo sviluppo degli avvenimenti, dunque, aggiungerà nuova massa di profitti, ora che altri signori della guerra, ben riforniti dai precedenti, annunciano la propria candidatura. Non mancheranno in questa ennesima partita i marines e le truppe di terra a bordo dei velivoli a decollo verticale Osprey… poiché le sole incursioni aeree “non potranno piegare l’Isis”.

Tutti i media vanno ripetendo fino alla nausea che è in atto la formazione di un califfato, di uno Stato islamico, quando è chiaro che si tratta di una massa combattente in movimento, frutto della disgregazione degli stati irakeno, siriano e libico prodotta dalle guerre imperialiste, dalla militarizzazione del Medioriente, dalle fratture sociali, politiche ed economiche ormai irreversibili. Questo artefatto mediatico chiamato “Stato islamico” è costituito da una massa di miserabili sciacalli aggressivi e superarmati, che non hanno aerei ma blindati, carri, pick-up di contraerea, missili e arsenali bellici in movimento. Che cosa spinge allora questa grande brigata “umanitaria” internazionale (comprendente, oltre alle grandi potenze imperialiste, USA in testa, la Siria di Assad, la Repubblica islamica dell’Iran, l’Arabia saudita e il Qatar) a intervenire in un Medioriente devastato contro questo fantomatico e inesistente Stato, miscela di banditi (non solo arabi) e di trafficanti, brutte copie delle truppe mercenarie americane, inglesi, francesi, italiane?

I curdi irakeni, che sono in prima linea contro l’Isis e che non si sognano di farsi inghiottire nell’Irak americanizzato, hanno chiesto missili anticarro Javelin, visori notturni di ultima generazione, corazzati moderni, droni e sistemi di difesa antiaerea. Che cosa offrono, ovvero che cosa offriranno, quando l’enclave indipendente chiamata Kurdistan, una volta rafforzatasi, si scioglierà dal legame con lo Stato centrale irakeno, come hanno fatto i sunniti passati dalla parte dell’Isis? Un Kurdistan superarmato non è nell’interesse dell’Irak e della Turchia, spiegano preoccupati i media. Non c’è alcun dubbio: la guerra si estenderà. I curdi riceveranno materiale bellico dalla Francia, dall’Italia (mine anticarro, sistemi di sminamento e armi forniti dal mercato libero mediorientale) 1, dalla Germania (elmetti, apparati di comunicazione, veicoli blindati, visori notturni). Nessuno degli Stati europei aspetta più eventuali decisioni dell’Unione europea (quanto agli inglesi, che non stanno certo a guardare, parteciperanno con un paio di C130, caccia Tornado ed elicotteri da trasporto Chinook). Via! Si parte!

L’Intelligence americana, in questo frangente, coordinando i rifornimenti di una massa variegata di fornitori, distribuirà armi a questo o a quell’altro fronte, mentre quella russa, che possiede una gigantesca mole di materiale bellico, non disdegnerà di fornire ai diversi contendenti camionate d’armi, blindati, razzi e fucili, tra cui, sempre, i famosi kalashnikov. La Bulgaria, una delle basi storiche fornitrici di armi, in ottobre ha vinto un contratto per spedire bocche di fuoco e altro in Irak, mezzi necessari per rimettere in piedi l’esercito di Bagdad sotto il tiro dell’Isis. L’arruolamento di volontari nelle milizie sciite coordinate dall’Iran, così come quello delle milizie sunnite fortemente osteggiate da Al Maliki e oggi allo sbando, renderà necessari nuovi acquisti. Nulla pare sia cambiato dal tempo dell’implosione russa. In questa situazione di allargamento degli scenari di guerra, il mercato si sta ulteriormente affollando anche di intermediari bielorussi e ucraini. Tutti infestano da tempo il Medioriente e l’infestazione continuerà.

Il conflitto siriano (stimolato dalle armi cedute dagli americani e dai francesi ai mercenari anti-Assad) ha messo in moto il vasto giro di vendite. Le unità speciali americane hanno fatto già transitare in Siria mitragliere, pezzi anticarro e fucili, mentre si svolgevano tra tutte le parti interessate contatti diplomatici per ottenere uno stato di tregua e, infiammandosi i confini russo-ucraini, fioccavano altre specie di armamenti. Il dipartimento di Stato americano ha approvato in luglio due contratti del valore totale di un miliardo di dollari per fornire missili per elicotteri Hellfire e pezzi di ricambio all’Irak. I russi nello stesso tempo avevano già firmato nel 2012 un accordo di 4,2 miliardi di dollari per il rifornimento di elicotteri d’assalto M35 e M28, caccia da supporto Sukhoi e razzi termobarici. Ma c’è qualcuno che si scandalizza quando viene a conoscenza che una parte del conto è pagato dai sauditi e dal Qatar e che gran parte dei cannoncini proviene dagli arsenali croati ancora strapieni dal tempo del conflitto balcanico! Grandi scorte di fucili kalashnikov, di lanciarazzi (Rpg) e mitragliatrici (Pkm) vengono prelevate da arsenali, magazzini e capannoni pieni d’armi e impiegati per “operazioni coperte”, gestite da piccoli eserciti di mercenari equipaggiati per interventi mirati. I sistemi occidentali (Tow - i sistemi d’arma anti-carro a lunga gittata) ceduti dagli eserciti arabi filoccidentali e le molte casse di armi partite dalla Libia completano il giro d’affari.

Nell’incessante cambiamento di scenari, in queste guerre di fazioni borghesi contrapposte e pronte a cambiar casacca a seconda del vento degli affari, il “cattivo” Assad diventa un alleato della “Santa alleanza” e un eroe difensore del suo paese, e i guerriglieri anti-Assad si sciolgono nello stesso abbraccio. Gheddafi, Saddam Hussein, Mubarak trovano nostalgici ammiratori in ogni fronte. Il generale Al Sisi diventa il grande pacificatore e difensore della causa palestinese…

Amen: non c’è altro da dire.

1 Tipica ipocrisia italiana: non potendo ufficialmente vendere armi, si tratta di… “donazioni”. Ci torneremo ancora su.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2014)