Vietnam e Cambogia, uniti nella... repressione antioperaia

Pubblicato: 2014-11-16 21:44:52

Ricordate il “Vietnam rosso”, la “Cambogia rossa”? Ricordate l'arrogante faciloneria con cui alcuni (molti, ahinoi!) applicavano l'aggettivo “comunista” a movimenti rivoluzionari anti-coloniali, certo importanti per le ripercussioni che avevano sullo scenario imperialista mondiale (e soprattutto perché implicavano lo sviluppo pieno, in quei paesi, del modo di produzione capitalistico, e dunque la nascita di un moderno proletariato), ma a carattere squisitamente borghese? Bene: son passati quarant'anni abbondanti dall'epoca in cui gli arroganti faciloni di cui sopra proclamavano che “il socialismo avanza in tutto il mondo”, e ci ritroviamo con due paesi che ne hanno fatta di strada, ma – chissà come? – tutta all'insegna del modo di produzione capitalistico. Moderni Stati borghesi, industrializzazione e finanziarizzazione, un ruolo non secondario in quel sud-est asiatico non più solo “emergente” ma abbondantemente emerso, intenso sfruttamento del proletariato, scioperi e mobilitazioni... E repressione anti-operaia.

Negli ultimi tempi, il Vietnam e la Cambogia sono diventati la “terra promessa” di quelle ditte e compagnie, soprattutto nel campo tessile ed elettronico, che, a fronte della diffusa instabilità sociale (scioperi estesi, forti rivendicazioni salariali), stanno abbandonando la Cina per trasferirsi là dove la manodopera costa meno e gli sgravi fiscali sono maggiori – paesi, per intenderci e usare la terminologia di moda, che sono “business friendly”.

Così, nella provincia di Thai Nguyen (nord del Vietnam), il colosso elettronico coreano della Samsung sta da qualche mese costruendo quello che dovrebbe diventare il suo più grande stabilimento al mondo: 10mila operai all'opera. Qui, la prima settimana dell'anno, dopo un diverbio fra alcuni operai e le guardie interne su questioni relative alla sicurezza sul lavoro, sono scoppiati violenti disordini: una buona metà degli operai è scesa in sciopero, s'è scontrata con la polizia in assetto antisommossa, ha dato fuoco all'ingresso del cantiere e ai container in cui sono ospitate le guardie private. Ci sono stati almeno 11 feriti, ma si parla anche di otto morti, fra i lavoratori.

Negli stessi giorni, qualcosa di analogo è accaduto nella vicina Cambogia: a scendere in sciopero da qualche settimana erano qui i lavoratori dell'industria tessile (più di 600mila, distribuiti in 500 fabbriche; il settore produce l'80% delle esportazioni cambogiane), che chiedevano il raddoppio del salario (attualmente di 80$ al mese), rifiutando la proposta governativa di 95$. Nel parco industriale di Canadia, a sud della capitale Phnom Penh, dove sono concentrati gli stabilimenti che riforniscono le multinazionali più importanti del settore (H&M e Pvh, proprietaria di Calvin Klein,Tommy Hilfiger, Speedo), i lavoratori in sciopero si sono scontrati con la polizia – la quale, armata di Kalashnikov, ha aperto il fuoco, facendo almeno quattro morti e decine di feriti. I lavoratori cambogiani sono stati protagonisti di altre manifestazioni prima dell'estate, con altri scontri violenti e altre morti nelle loro file (a metà maggio 2013, a poche settimane dal massacro di proletari nel crollo di una fabbrica a Dacca, in Bangladesh, una fabbrica di scarpe nel distretto di Kong Pisey, provincia di Kampong Speu, 40 km ad ovest della capitale, è crollata, facendo 6 morti).

Proletari di Vietnam e Cambogia, benvenuti nel girone infernale del capitalismo – ma soprattutto nelle file del proletariato mondiale in lotta!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2014)