Premessa al volume "In difesa della continuità del programma comunista"

Pubblicato: 2014-01-05 20:15:00

I comunisti combattono per il raggiungimento degli scopi e interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento attuale rappresentano(1), nello stesso tempo, il suo futuro

Dal manifesto del partito comunista, 1848

Non a caso abbiamo intitolato la presente raccolta di tesi fondamentali del Partito dal 1920 ad oggi: “In difesa della continuità del programma comunista”. In realtà, se il marxismo rivendica con fierezza e con tenacia il proprio carattere invariante, oltre cent’anni di travagliata storia del movimento proletario dimostrano che l’opportunismo, il quale si fregia di esser nuovo e innovatore, aggiornato e aggiornatore, inventivo e sempre à la page, possiede a sua volta una formidabile, dannata invarianza, un filo rigorosamente continuo. Le pagine del Che fare? in cui Lenin prese coraggiosamente per le corna la prima variante revisionista che la storia del movimento marxista avesse conosciuta (giacché i “falsi fratelli” proudhoniano e bakuninista appartenevano ad un altro filone), descrivono con chiarezza cristallina i tratti caratteristici e l’inevitabile traiettoria di ogni opportunismo; ed è facile constatare che 70 anni non solo non hanno aggiunto nessuna “nuova” pennellata al grigiore uniforme del quadro, ma hanno ribadito la diagnosi di un male che è sempre quello e solo cresce di virulenza distruttiva col passare degli anni. Si comincia – citiamo testualmente Lenin – col “negare la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provarne, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, la necessità ed inevitabilità”; poi, per logica deduzione, si negano “la miseria crescente, la proletarizzazione, l’aggravarsi degli antagonismi capitalistici” ( teoria del neocapitalismo, pretesa della coesistenza pacifica, ecc, ); un passo ancora e “si respinge categoricamente l’idea della dittatura del proletariato” ( l’opportunismo ultimo grido non dichiara più “ inconsistente la concezione stessa dello scopo finale” ma che cos’è di diverso la proclamazione della “via pacifica al socialismo”, o quella di un “socialismo pluralistico”? Che cos’è di diverso la conclamata “eccezionalità” dell’Ottobre russo, se non la smentita della scientificità della nostra classica prognosi, ed anzi la concessione di una patente di scientificità alla prognosi inversa, dal momento che, lo sa anche l’ultimo della classe, l’eccezione – in questo caso, la rivoluzione e la dittatura – conferma la regola – in questo caso il gradualismo e la democrazia? ); un altro passetto e si rifiuta “l’opposizione di principio fra liberalismo ( oggi persino cattolicesimo ) e socialismo”; ed eccoci approdati al traguardo di “un partito democratico di riforme” aperto a tutte “le idee e gli elementi borghesi”; si precipita – per aver perduto il filo che permetteva di salire la china accidentata della lotta di emancipazione proletaria “tenendosi forte per mano” e resistendo all’assalto “da tutte le parti” del nemico e al suo “fuoco” costantemente puntato su di noi – “nella palude qui di fianco”. 1902, signori delle “nuove”, o 1970 ?

Quanto a coloro che da questa palude pretendono di uscire riscoprendo, un passo dopo l’altro, il tesoro nascosto dello “scopo finale”, ma gridando il vade retro Satana alla dottrina scientifica, al programma fissato una volta per tutte e reso sempre più tagliente nei suoi tratti immutabili dal bilancio dinamico di scontri fisici fra le classi sull’arco di un secolo e sul palcoscenico dell’intero pianeta, al partito che ne è il depositario o non è nulla, giacché - si pretende – dire programma, dottrina e partito è dire orrore di tutti gli orrori, “dogmatismo, dottrinarismo, fossilizzazione” e ( vogliamo concedere almeno questa…novità terminologica ) “talmudismo”, il meno che si possa dire è che essi non si accorgono di ripercorrere a ritroso la stessa inesorabile china genuflettendosi da un lato all’idolo borghese della “libertà di pensiero” e affidandosi dall’altro ai capricci della storia, ai flussi e riflussi di un oceano nel quale ci si è buttati senza bussola e senza nocchiero, attendendo che ci dettino essi una guida – essi che ci ingoiano, sommergono e sbatacchiano come miseri fuscelli: nell’uno e nell’altro caso cedendosi in schiavitù all’0ra che fugge, al paese che capita, al padrone di ieri e di oggi, di qui e di dovunque.

Se “non c’è azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria”, se l’opportunismo si definisce come “assenza di princìpi”, ebbene non si ha diritto di parlare di marxismo e di professarsene seguaci e, meno che mai, militanti, se non lo si accetta in blocco. Esso sta o cade con ognuna delle sue pietre: non v’è una dottrina conservata in naftalina in un ipocrita museo, e un programma lanciato alla ventura; non v’è un programma al quale si fa riverenza appena desti, e una tattica libera di correre la sera ( ed anche il giorno ) il marciapiedi; non v’è un marxismo che è dottrina delle leggi che presiedono al sorgere, alla parabola e alla catastrofe del modo di produzione capitalista, è un “marxismo” che sarebbe agnostica attesa di fatti imprevedibili negli schieramenti classi e sottoclassi, negli svolti maggiori e minori della storia; non v’è teoria da un lato e prassi del movimento operaio dall’altro, come non v’è neppure classe finché dal suo seno non si sia enucleato il partito, ma non v’è partito se non v’è teoria, princìpi, programma e direttiva tattica, o v’è un simulacro infame che si chiama partito ed è solo un vaso nel quale è lecito versare qualunque contenuto, a cominciare dall’idealismo in teoria, dal machiavellismo in politica, dal liberismo in economia e, poiché tutti i salmi finiscono in gloria, dal fideismo… in metafisica ( per informazioni rivolgersi allo spettro di Stalin, allo spettro ambulante di Krusciov e al candidato spettro di Breznev ). E il punto è che, perdendo l’intreccio di questi fili diversi ma inscindibili, si perde non solo una “teoria” – che, se tale fosse soltanto, non meriterebbe al suo funerale neppure la lacrima dell’ultimo proletario – ma l’intero “movimento” di cui essa è, se si vuole, il cuore o il cervello ma che, come tutti i cuori e i cervelli, ha senso unicamente se muove in costante e precisa determinazione le membra, e cesserebbe di battere o di funzionare se queste avessero la pretesa di muoversi ciascuna per sé “libera”, “antitalmudica”, non più “fossile”, o se, viceversa, avesse lui l’elegante pretesa di “agire in libertà”.

Sull’arco di più di mezzo secolo, la nostra corrente si è mossa – come il bolscevismo di Lenin prima che il diluvio universale del tatticismo prima e del socialismo in un solo paese poi lo travolgesse – sul filo continuo di posizioni programmatiche e tattiche legate in modo insolubile alla globalità della dottrina. Non l’ha fatto per amore di coerenza astratta o per lusso di consequenzialità logica, ma nella sicura coscienza che solo a questo patto, nel confuso alternarsi delle fasi di avanzata e di rinculo del movimento comunista, il futuro si salva solo salvando nel presente il passato e proiettandolo nell’avvenire, oppure si perde – l’ieri, l’oggi e il domani. Le tesi che qui pubblichiamo come altrettante pietre miliari emananti da una corrente prima e da un partito poi che ha l’orgoglio di ricollegarsi al Manifesto del 1848 anche nel non presentarsi ai proletari col luccichio ingannatore di nomi di persone né celebri né aspiranti a divenirlo ( affinché sia ribadito una volta di più che – nella frase di Marx ed <Engels – “le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee o principi inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo: esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi” ), non sono nate dal fertile cervello di un genio: sono il condensato di un movimento reale esteso a tutto il mondo, senza etichette nazionali o limiti di tempo; a rigore, si potrebbero leggere a rovescio e ritrovarle sempre le stesse, se non fosse che al termine esse contengono il bilancio di un precipizio nell’opportunismo che non ha precedenti nella storia, e di fronte al quale i “talmudici” e solo essi hanno potuto, invece di recitare il pater peccavi, trarne una ragione di più per affilare l’arma trasmessa dal passato, tenerla salda in pugno, e consegnarla intatta a chi dovrà e potrà usarla per tagliare la testa all’orribile mostro del capitale. Dir questo oggi, lo sappiamo, è andare controcorrente: ma, se il proletariato deve avere nel suo travagliato cammino un punto di riferimento stabile, una stella polare, per non subire il martirio di perdere ad ogni passo la strada e ricominciare ogni volta daccapo, ebbene è solo se un’avanguardia anche piccola, anche “solitaria”, avrà saputo resistere alle suggestioni dell’ultima moda, non seguendo il lacrimevole destino di movimenti che durano l’espace d’un matin, risorgono nell’espace d’un soir, rimuoiono nell’espace d’une nuit, col solo risultato di imbrogliare le carte, confondere le idee, distruggere conquiste faticosamente conseguite.

Chi ha letto il primo volume della nostra Storia della Sinistra capirà, dalle prefazioni che inquadrano storicamente ognuno dei testi, che in queste pagine è già contenuto il filo conduttore dei volumi futuri, e trarrà, ci auguriamo, la grande lezione di battaglie condotte non nella stupida torre d’avorio che i venduti di tutte le specie amano – mentendo – rappresentare come il nostro ideale, ma nel vivo delle lotte ardenti nel corso delle quali – fra il 1920 e il 1926 – si è purtroppo giocato il nuovo Ottobre mondiale, e si è poi discesa fino in fondo la china della degenerazione opportunistica, fra i cinici sghignazzi della classe dominante.


  1. Non si tratta di una “rappresentanza” formale; vertreten è in tedesco rappresentare nell’inseparabile senso di sostenere, propugnare, difendere!