Siria

Pubblicato: 2013-08-31 10:21:24

Tra partigiani e lealisti, nazionalisti e mercenari, tutti foraggiati dalle armi dei mandanti imperialisti, si consuma come da copione storico l’assassinio programmato dei proletari. Oggi è il turno dei siriani. Il proletariato lanci la sua parola d’ordine disfattista: “Il nemico è la borghesia in ogni patria! La si abbatta!”  

 

Il partigiano è quello che combatte per un altro, se lo faccia per fede per dovere o per soldo poco importa. Il militante del partito rivoluzionario è il lavoratore che combatte per sé stesso e per la classe cui appartiene. Le sorti della ripresa rivoluzionaria dipendono dal potere elevare una nuova insormontabile barriera tra il metodo dell'azione classista di partito e quello demoborghese della lotta partigiana  (da “Marxismo o partigianesimo”, Battaglia comunista, n°14, 1949

 

Da comunisti e internazionalisti, noi sappiamo per memoria e scienza storica che, nell'epoca dell'imperialismo, il dominio e l’oppressione di classe si estendono e s’intensificano. Le crisi economiche che si susseguono lasciano attorno a sé una crescente miseria e una scia di morte tra i proletari di tutto il mondo. La guerra è l‘habitat naturale del capitalismo: imperialismo significa infatti accresciuta competizione internazionale, acuite guerre commerciali, esportazione di capitali che entrano inevitabilmente in conflitto gli uni con gli altri, controllo delle sorgenti di materie prime e delle loro vie di trasporto e dunque tentativo di escluderne i concorrenti, fino all'esplodere incontrollato di conflitti prima locali e poi, in prospettiva e in presenza di condizioni materiali favorevoli e necessarie, mondiali. 

E' quello che sta succedendo da decenni, dalla fascia dei Balcani, attraverso il Medio Oriente (Irak e Territori palestinesi) fino all'Afganistan e al Pakistan, crocevia di commerci più o meno leciti e legali (armi e droga), di vitali corridoi commerciali, di oleodotti e gasdotti, di campi petroliferi e sorgenti d'acqua. Quello stesso territorio in cui l’imperialismo italiano ha parecchi interessi da difendere e non da oggi e in cui vuole (deve) cercare di ritagliarsi una fetta di autonomia e presenza. Da mesi, dopo aver percorso le vie della Libia e del Mali (e, da un po’ di anni, della Nigeria, del Sudan e del Centrafrica), l’imperialismo multinazionale sta devastando il territorio siriano e massacrando masse povere e diseredate, proletarie e proletarizzate. E’ un attacco multicentrico, che ancora rispecchia e rappresenta le divisioni e i mandati colonialisti e imperialisti inglesi, francesi, americani, russi, cui si sono aggiunte le recenti mire cinesi e quelle, più datate, israeliane che si spingono fino all’Iran. Stati inventati di sana pianta e fin dalla loro costituzione subordinati ai vecchi centri coloniali (Giordania, Cisgiordania, Libano, Siria) sono ancora nel mirino delle grandi potenze, obbligate a fronteggiarsi dalle pressioni della crisi devastante in cui siamo immersi. Il mandato internazionale dell’Onu, che ha permesso la morte di migliaia di proletari slavi, irakeni, afgani, è l’accordo che permette a quei briganti di avventarsi oggi e ancor più domani sulla Siria. Nel fervore ideologico imperialista, alla rivendicazione della cosiddetta “pace”, allo sdegno per la “dittatura” di questo e di quel burattino, al lamento per l’assenza della fantomatica “democrazia”, all’inno per la presenza di “liberatori”, lealisti e mercenari di tutte le sponde, con il rincalzo di jiahdisti vari e “fratelli nella fede”, s’accompagnano le ben più concrete e micidiali trame dei grandi trafficanti d’armi, in perfetta armonia fra di loro, diretti o indiretti inviati dell’Anonima S.p.A del Capitale, impegnata a distruggere merci sovraprodotte.Da comunisti e internazionalisti, le parole d’ordine non possono essere che quelle del disfattismo rivoluzionario contro la borghesia di tutte le nazioni, grandi e piccole, già organizzate in uno stato o ancora subordinate, aggredite o che aggrediscono:

1. Rifiuto di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell’“economia nazionale”.

2. Organizzazione della lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari, come passaggio obbligato per colpire duramente l’impegno bellico della borghesia. 

3. Ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, con la rottura nei confronti di ogni logica di concertazione e di pace sociale – metodi e obiettivi che rappresentano per ora l’unica reale solidarietà internazionalista dei proletari delle metropoli imperialiste nei confronti delle masse proletarie oppresse.

4. Rifiuto di ogni partigianesimo (nazionalista, patriottico, mercenario, umanitario, pacifista) a favore di questo o quel “fronte”. Solo sulla base di queste basilari premesse, che implicano l’indipendenza d’azione del proletariato, sarà possibile organizzare, mettendolo al centro della strategia di classe, l’aperto disfattismo rivoluzionario, che permetta di spezzare e sgretolare il fronte di guerra.

In questo impegno di lotta, chi sono i nostri alleati? Sono i proletari di tutto il mondo e in particolare quelli dei paesi massacrati dalla guerra imperialista. Non lo sono e non lo saranno mai questa o quella frazione borghese, comunque armate o “resistenti”, qualunque sia la loro veste, laica o religiosa, riformista o – peggio ancora – pseudo-socialista. La crisi economica profonda e gli interventi armati che si sono susseguiti in quest’ultimo decennio dimostrano che il modo di produzione capitalistico è giunto ormai al capolinea, che questa sua lunga agonia è solo distruttiva e che è dunque necessario dargli il colpo di grazia, per giungere finalmente, attraverso la presa violenta del potere e l’instaurazione della dittatura proletaria diretta dal partito comunista, alla società senza classi, al comunismo. Perciò la vera e propria conquista dell’epoca presente è la rinascita, l’estensione, il radicamento del partito comunista mondiale.

 

 

Partito Comunista Internazionale 

(il programma comunista n°03 - 2013)