“Organismi territoriali di lotta proletaria” Che cosa sono e che cosa devono diventare

Pubblicato: 2013-04-25 15:19:19

Premessa

Abbiamo più volte insistito sul fatto che, se l’esito dell’evoluzione dei sindacati nell'ambito della moderna fase imperialista ha trasformato la tradizionale struttura sindacale in un vero e proprio organo di controllo economico e sociale del proletariato, con ciò non è certo scomparsa la necessità della difesa economica, come non è scomparso l'antagonismo radicale e potenziale del proletariato nei confronti del capitale. Il procedere stesso della crisi economica, le contraddizioni che essa apre, le conseguenti derive sociali risospingono inesorabilmente i lavoratori di ogni stato imperialista su quel terreno di lotta e li costringeranno a darsi nuovamente strutture stabili di difesa. E queste saranno anche uno dei terreni di scontro tra i comunisti e il fronte variegato del nemico riformista borghese (cfr. il nostro opuscolo di agitazione, Per la difesa intransigente delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari-forme di organizzazione, metodi e obiettivi di lotta). Questo, in estrema sintesi, il percorso che coinvolgerà la nostra classe nella ripresa di lotte sul piano squisitamente sindacale e sociale: un percorso che non solo non è e non sarà lineare, ma che si nutre e si nutrirà sempre più di esperienze organizzative transitorie – un po' come l'energia potenziale che si va accumulando prima di esplodere.

Una di queste esperienze organizzative è la formazione di “organismi” o “comitati” di lavoratori che si raggruppano al di là dei confini aziendali, di fabbrica e – come nel caso di elementi provenienti dal frantumatissimo pubblico impiego – di categoria e che cercano di aggregare anche quei proletari che vivono nell' isolamento di micro-aziende o nella prigione della “partita Iva”.

Sono esperienze importanti, che spesso indicano la via di una riorganizzazione possibile: ma non sono (e non possono essere) l'embrione di un sindacato di classe. Spesso si affiancano ad altre esperienze di lotta, importanti ma organizzativamente diverse, e anch'esse, per noi comunisti, transitorie.

Quel che è importante per noi è che questi organismi siano aperti a tutti i lavoratori, anche a quelli che subiscono ed esprimono posizioni appartenenti al mondo variegato del riformismo massimalista. E tuttavia, per evitare che si trasformino in sterili e inutili centri di discussione tra militanti o che diventino gruppi di volonterosi attivisti al servizio delle più diverse cause, noi comunisti abbiamo il dovere di porre contenuti e limiti precisi che ne favoriscano la vitalità, la durata e il perseguimento di obiettivi atti a rompere con il tradimento e l'inerzia di tutte le corporazioni sindacali nazionali, grandi e piccine.

Si tratta dunque di precisare le linee-guida secondo le quali orientare la volontà di lotta di questi organismi e di precisarne gli obiettivi per organizzare la spontanea ribellione e ripulsa alla “corrotta prassi dei sindacati”.

Il terreno di lotta di questi organismi è quello della difesa degli interessi immediati della nostra classe: salario, salute e in generale le condizioni di vita e lavoro, a partire da situazioni aziendali specifiche ma generalizzate e riferibili a tutti i lavoratori salariati.

Si deve essere consci del fatto che ben difficilmente questi organismi possono, nell'ambito delle attuali leggi vigenti e con gli attuali rapporti di forza, diventare un soggetto contrattuale e avere l’autorità di “chiudere una vertenza”. Ma proprio per questo possono organizzare una combattività che rappresenti gli interessi di tutti i lavoratori, oltre i limiti della contrattazione stessa: promuovere e organizzare la lotta (e la sua difesa), coordinarla e sostenerla con casse di resistenza, individuando sempre un nucleo di lavoratori affidabili e combattivi che controllino i sindacalisti di professione, standogli alle costole in ogni momento della vertenza.

Con il sindacalismo di regime e i suoi rappresentanti è evidente la rotta di collisione ed è per questo che deve essere sempre chiara la differenza tra gli “organismi territoriali di lotta proletaria”, di cui auspichiamo la formazione, e le RSU e le sezioni sindacali aziendali: il che significa che, mentre si può tollerare che per ragioni pratiche lavoratori aderenti all'“organismo” abbiano in tasca una tessera sindacale, diventa necessario che esso propagandi e pratichi tutte le forme possibili di sindacalismo classista.

Vediamo dunque di seguito quali sono i punti attorno ai quali si devono organizzare queste esperienze di lotta proletaria.


 

Quattro ambiti di azione

Nell’attuale situazione storica, risultato di una profonda trasformazione delle forme di difesa del proletariato nell’epoca dell’imperialismo, l’organizzazione dei lavoratori si manifesta in due modi: in strutture sindacali del tutto integrate negli apparati politici ed economici dello Stato (per così dire, “nazionalizzate”, anche se formalmente “libere”), animate da un’aristocrazia operaia ancora ampia e diffusa sul territorio, definitivamente e rigidamente attestate sul fronte nemico, e in un insieme di strutture sindacali minute.

Prima di delineare una bozza organizzativa, definiamo gli ambiti in cui vengono a convergere la lotta di difesa economica nel suo aspetto più generale, la lotta dentro alle grandi corporazioni come alle piccole, e infine il contesto in cui, al loro interno, devono agire le forze politiche classiste e rivoluzionarie.

Possibile bozza organizzativa

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2013)