Che cosa sta dietro l’intervento francese in Mali?

Pubblicato: 2013-03-26 20:53:41

La nostra scienza (il materialismo dialettico) c'insegna a guardare oltre i fenomeni, al di là di ciò che appare. A metà gennaio 2013, politici, giornalisti, opinionisti (l'esercito di zombies che quotidianamente ci appesta), si sono dati da fare per spiegarci che l'intervento francese in Mali (e in Somalia), approvato e sostenuto attivamente da gran parte delle potenze euro-occidentali con il coinvolgimento militare di numerosi paesi africani circostanti, era mirato a contenere l'espansione di Al Qaeda nel Sahel, la regione a sud del Sahara, da anni territorio di scontri e tensioni locali e internazionali.

Come succede in realtà da più di dieci anni, Al Qaeda (nelle sue varie vesti e reincarnazioni – una vera Legione Straniera che, sotto il manto dell'islamismo fondamentalista, funge da braccio sporco per gli interessi del migliore offerente) è il pretesto per un ennesimo intervento squisitamente imperialista, dopo quello messo in campo, due anni fa e con dinamiche simili, in Libia (la continuità Sarkozy-Hollande dovrebbe essere evidente a tutti, in quest’ennesima prova di una mai sopita ansia di grandeur). In realtà, a scontrarsi in quest'area così cruciale dal punto di vista economico (risorse umane e materie prime: uranio, oro, gas, petrolio, ferro, tungsteno, bauxite, carbone, idrocarburi, cotone, arachidi, mango, ecc. – senza dimenticare le preziose risorse idriche) e strategico (un vero e proprio cuneo, formato da Algeria, Mali, Niger e Nigeria, collega il Mediterraneo con il Golfo di Guinea, separando l'Africa Occidentale dal resto del continente, a est e a sud), sono appetiti resi ancor più acuti dal progredire della crisi mondiale.

Da una parte, non da oggi, l'Africa ha conosciuto la progressiva penetrazione di capitali (e dunque di imprese) cinesi, indiani, russi, giapponesi, a erodere la presenza dei “vecchi” imperialismi euro-americani – e allora non stupisce che una delle leve della tenaglia dell'intervento francese si situasse a est: in Somalia, cioè in quel Corno d'Africa che, nel continente, rappresenta da sempre una delle faglie sismiche più critiche. Dall'altra parte, e ancora non da oggi, si estende la zona d'influenza di quello che, come abbiamo mostrato all'epoca del massacro di minatori di Marikana (agosto 2012), si propone sempre più come il maggior polo imperialistico interno al continente: il Sud Africa.

L'Africa dunque (lo ricordavamo nell'editoriale del n.1/2013 de “Il programma comunista”) è un'altra di quelle “aree critiche” in cui, in maniera più o meno diretta, a muso duro o per interposta persona, vanno a confliggere interessi contrastanti di un mondo capitalistico all'insegna dell'instabilità crescente, della tendenza inesorabile verso un conflitto di ampie dimensioni. Chiusasi l'epoca della dominazione coloniale in un arco di tempo che comprende due guerre mondiali e si estende fino a metà degli anni '70 del '900 (l'indipendenza di Angola e Mozambico dal dominio portoghese è del 1975, e completò il ciclo delle rivoluzioni nazionali anti-coloniali), il continente è rimasto comunque preda degli imperialismi. Non a caso preceduto di poche settimane dal viaggio di Hollande in Algeria, presentato come il suggello, all'insegna del ramo d'ulivo, del cinquantennio trascorso dalla sanguinosa guerra civile, l'intervento armato francese nella repubblica del Mali (indipendente dalla Francia dal 1960) con il pretesto di sconfiggere le armate jihadiste di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, è l'esempio più recente e lampante di questo scontro inter-imperialistico che progressivamente affiora in superficie. Esempio, inutile aggiungere, tragico per intere popolazioni che al solito ne fanno le spese: sono già centinaia di migliaia le persone in fuga dalle zone di guerra che si stanno riversando nei paesi circonvicini, destinate a ingrossare ancor più gli eserciti di quell'esodo biblico che investe tutto il mondo (con buona pace degli idioti che vorrebbero erigere barriere!).

Nel frattempo, tutti ne approfittano per… curare i propri affari. La Francia è interessata a difendere il proprio (prezioso) rifornimento di uranio e di altri minerali (idrocarburi, in primis) e a contenere l’avanzata del capitale “altrui”: infatti, l’India ha già messo le mani su importanti giacimenti di ferro nella regione di Koulikoro e su un cementificio in quella di Bafoulabé, il Canada è presente a Falea, nel sud-ovest, e a Gao, nel nord, e l’Australia a Kidal, nel nord, tutti con enormi impianti di estrazione dell’uranio; fra il 2001 e il 2008, nel solo settore aurifero, sono stati concessi ben 60 permessi di esplorazione ad aziende straniere; un enorme giacimento di bauxite (il cui sfruttamento permetterebbe al Mali di diventare il primo esportatore mondiale) è stato poi scoperto di recente, e tutto ciò acuisce gli appetiti internazionali 1... Al tempo stesso, come già nel caso libico, la Francia svolge il ruolo di “punta di lancia” di una Santa Crociata Internazionale, che si tira dietro i relativi contingenti africani 2. Da parte sua, l’Algeria cerca di difendere i propri gasdotti e siti petroliferi, anche a costo di far fuori gli “ostaggi internazionali”. Inoltre, specie dopo lo scompaginamento della Libia (e come già avvenne nei Balcani), signori delle armi e mercenari pullulano un po’ ovunque nell’area, alzando il prezzo dei propri servigi in misura direttamente proporzionale ai “gridi d’allarme” che (insieme al solito corredo di notizie sensazionali della cui veridicità nessuno ha le prove provate – ah, la libertà di stampa!) vengono levati in tutto il mondo a uso e consumo dei cretini, sulla “nuova minaccia terroristica”. L’Italia, poi, ha messo a disposizione numerosi aeroporti militari (e intanto si discute sulla … eticità o meno dei droni al posto degli aerei pilotati!). Insomma, l’intera geografia politica dell’area è in corso di ridisegno, con l’invenzione di nuovi territori nazionali e nuovi “Movimenti di liberazione”…

Dunque, mentre le scosse sismiche si rinnovano a intervalli via via più brevi, bisognerà seguire con attenzione l'evolversi degli eventi. Intanto, sempre più decisa deve levarsi, da parte del proletariato di tutti i paesi, la consegna del disfattismo rivoluzionario: il rifiuto di rendersi complici, a tutti i livelli (dalla difesa dell'“economia nazionale” alla mobilitazione militare), del gangsterismo imperialista mondiale.

 

 

1 Timidamente, “Il Sole-24 ore” del 3/2 titola “Parigi in missione per l’uranio del Niger” e commenta: “L’intervento francese in Mali combatte l’avanzata dell’estremismo islamico ma difende anche importanti interessi economici. […] Le forze militari proteggono i giacimenti nigerini di Areva che presto assicureranno alle centrali nucleari il 40% del minerale utilizzato””. Ohibò!

2 Non a caso, il vice-presidente USA s’è di recente congratulato per l’exploit francese, raccomandando che esso ora… ritorni sotto l’ombrello NATO. Va bene farsi gli affari propri, ma poi bisogna anche ascoltare la “voce del padrone” (non importa se un po’ più fievole che in passato).

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2013