Il metodo dello scribacchino

Pubblicato: 2012-09-18 19:41:03

 Con il titolo tanto pomposo quanto oscuro de “L'Italia antiliberale dei maghi incantatori”, sul Corriere della Sera del 4 giugno u. s., Piero Ostellino si spende a dimostrare “Perché la retorica ideologica prevale sui fatti”. Ohibò, siam tutt'orecchi! L'augusto giornalista se la prende con tutti coloro che non ricordano che “i fatti son ostinati” (al riguardo cita addirittura Lenin: bontà sua!), e tra costoro annovera chi si ostina a parlare del capitalismo “come fosse ancora quello della Rivoluzione industriale inglese, quando non solo i maschi adulti, ma i bambini e le donne lavoravano sedici ore al giorno”. Ahia!, ci siamo: speravamo in qualcosa di nuovo, e invece è la solita rancida minestra, il solito svenevole ritornello: “Sì, certo, allora le cose stavano così... Però adesso, il progresso... la tecnologia... la democrazia... ”. Varrebbe il conto di chiuderla lì, perché tali coglionerie le abbiamo sbeffeggiate, fatti alla mano, decine e decine e decine di volte. E invece andiamo avanti, di poche righe, per rilevare quello che è il tipico “metodo dello scribacchino” – che se ne strafrega proprio di quei “fatti” che invece invoca. Leggiamo ancora (abbiate pazienza! è istruttivo): “Un capitalismo [quello della Rivoluzione industriale inglese – NdR] che aveva indotto Karl Marx a interpretare (erroneamente) il concetto di valore-lavoro – mutuato dall'economia classica (di Adam Smith e David Ricardo) – come plusvalore, sfruttamento e alienazione del lavoratore dal prodotto del proprio stesso lavoro”. Lasciamo perdere il guazzabuglio (“Ostellino, torni al posto: due meno meno”). Quello che c'interessa è il metodo, tutto racchiuso in quella prima, piccola parentesi: “(erroneamente)”. Ci si aspetterebbe la dimostrazione di quell'“erroneamente”, magari basata sui “fatti ostinati”, magari finalmente scevra di “retorica ideologica”: in che senso Marx ha sbagliato, dove, come, perché... E invece, nisba, come si dice da qualche parte: niente! Ipse dixit, e morta lì: Ostellino dice che Marx ha sbagliato e dobbiamo crederci – è pur sempre una penna del Corriere!

“La Repubblica” del 22 luglio u. s. ci offre un altro bell’esempio del “metodo dello scribacchino”, con due paginone centrali, firmate Giancarlo Bocchi e intitolate “L’Ardito del Popolo. Guido Picelli, le battaglie dimenticate del ‘Che’ di Parma”. Ora, si sa che da sempre la “questione” degli Arditi del Popolo è l’occasione per tutti i farabutti o gli ignoranti più o meno in buona fede per accumular calunnie  (“calunnia, calunnia – qualcosa pur sempre resterà”) sull’operato del PCd’I diretto dalla Sinistra, che non avrebbe tenuto in debito conto il ruolo da essi svolto nella “resistenza” al fascismo. Documenti e prassi alla mano, non abbiamo mai avuto difficoltà, all’epoca come in seguito, a smentire questa falsa accusa (da un lato, si veda l’azione del partito a fronte dell’offensiva fascista; dall’altro, si leggano le continue direttive impartite alle sezioni e i vari resoconti delle azioni condotte dal partito sulla stampa comunista dell’epoca, oltre alla “Relazione del PCd’I al IV Congresso dell’Internazionale Comunisa, novembre 1922”, al “Rapporto dell’Ufficio I – illegale – al Comitato Esecutivo dell’IC – 1921” e ai materiali raccolti nel cap. III del IV volume della nostra Storia della Sinistra Comunista. Dal luglio 1921 al maggio 1922, Milano 1997). In maniera molto sintetica, riassumiamo: in accordo totale con le direttive dell’IC, il giovane partito nato a Livorno nel ’21 s’era dato una struttura militare illegale, con il duplice scopo di rispondere all’offensiva borghese e difendere il partito e di costituire la spina dorsale per l’organo militare cui sarebbe stata demandato il compito di organizzare e guidare l’insurrezione armata, quando le condizioni oggettive fossero favorevoli; questa struttura doveva agire in piena autonomia rispetto a eventuali altri organismi nati in quegli anni per rispondere all’offensiva fascista: in particolare, gli Arditi del Popolo, formazione ambigua, dal programma politico confuso, che si riproponeva di ripristinare la legalità infranta dal fascismo. Mai e poi mai la struttura illegale comunista avrebbe potuto sottomettersi alle direttive organizzative e militari di tale formazione, ma avrebbe dovuto conservare una propria totale autonomia militare, anche in azioni comuni, come avvenne per l’appunto in occasione delle giornate di Parma. Insomma, la catena di comando (come si direbbe oggi) doveva restare saldamente in mano al partito e non “affittarsi” a formazioni spurie e, quanto a prospettiva politica, diversamente orientate.

Ora, che ti fa il Bocchi? Nel ricostruire con una buona dose di sensazionalismo e color locale la figura e le azioni di Guido Picelli, giunge alle giornate di Parma, e ti piazza la solita bufala: “Anche i comunisti si sono schierati con gli Arditi, ignorando i diktat di Bordiga”. Eccolo lì di nuovo, il “metodo dello scribacchino”. Quale diktat? Non si dice, e si passa oltre. Il lettore resta con l’idea che Bordiga (sempre lui, l’individuo) abbia dato ordine di non far nulla, settario e schematico com’era – con le… immaginabili conseguenze sulla lotta al fascismo. In due paginoni interi, il Bocchi ti piazza solo cinque parole, badando bene di non documentarle: le lascia così, in dono al lettore ignaro.

Eccolo, il “metodo dello scribacchino”: affermare e guardarsi bene dal dimostrare, tanto il pubblico è boccalone! In effetti, vanno sempre a coppia (paghi uno e compri due), lo scribacchino e il boccalone: l'uno presuppone l'altro, l'uno “educa” l'altro, e viceversa. Lo scribacchino le spara grosse, il boccalone prende su e porta a casa: “L'ho letto sul giornale”. Azione del partito, teorica e pratica, sarà sempre di contrastare, documenti alla mano e nella viva lotta politica quotidiana, l’opera calunniosa di questa genia, interessata sempre e soltanto a seminar confusione.

 

 Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2012)