Democrazia e Stato borghese sono due nemici perenni del proletariato

Pubblicato: 2011-08-12 20:31:15

l carattere dei sommovimenti verificatisi negli ultimi mesi nell’area che va dal Maghreb alla Penisola araba, il modo in cui sono stati trattati dai media internazionali e l’“effetto emulazione” che si è verificato di conseguenza in vari paesi hanno mostrato il livello di manipolazione e mistificazione con cui l’ideologia dominante, attraverso l’opera dei suoi manutengoli e portavoce e portaborse, riesce ancora a imbrigliare e imbrogliare, illudendola e paralizzandola, la classe sfruttata, il proletariato.

Facciamo prima di tutto chiarezza. Come abbiamo ampiamente dimostrato in numerosi articoli, quello che è successo nel Maghreb e dintorni è stato un sommovimento a carattere inizialmente proletario, via via cavalcato, deviato e incanalato entro il vicolo cieco di rivendicazioni democratiche da strati della borghesia e piccola-borghesia che, di fronte all’incalzare della crisi economica, ne hanno approfittato per cercare di far valere i propri “bisogni di classe”: insofferenza per le rigidità strutturali dei “vecchi” regimi e richiesta di maggiore libertà d’azione da parte della prima, ansia di stare a galla e suppliche di salvezza ai “poteri forti” (il sindacato di stato, l’esercito) da parte della seconda, angosciata dall’incipiente proletarizzazione. Lo stesso “armamentario” tecnologico-linguistico messo in campo come simbolo e veicolo privilegiato di queste rivendicazioni (i media, i social network, la “piazza colorata”, le “primavere arabe”, i “gelsomini”, l’arancione, ecc. ecc.) dichiara in maniera esplicita, nella sua sostanziale inconcludenza e nel suo dichiarato inter-classismo (e dunque nella sua stessa vulnerabilità e inconsistenza di fronte alla risposta dei “vecchi” come dei “nuovi” regimi), la natura borghese e piccolo-borghese del cappello messo abilmente sopra a un movimento nato da una rivolta proletaria suscitata dalle necessità di sopravvivenza quotidiana.

Le ripercussioni, in scala infinitamente minore, si sono presto avute anche sulla sponda nord del Mediterraneo: in Spagna, per esempio, con il movimento degli “indignados”, ma anche in Francia e, in forme ancor più miserevoli, in Italia, dove le recenti elezioni hanno portato in superficie tutta la melma piccolo-borghese accumulatasi in decenni sul fondo della palude interclassista.

Al centro di queste rivendicazioni, stavano soprattutto l’“appello alla democrazia” e l’“appello allo Stato”: ed è proprio qui che si misura l’abisso scavato da ormai quasi novant’anni di controrivoluzione.

Noi comunisti abbiamo avuto sempre ben chiari la natura e il ruolo sia della “democrazia” sia dello “Stato borghese”. La prima altro non è che la forma del dominio di classe: esaltando il “potere del popolo” (questo il significato di “democrazia” – e non a caso, nell’antica Grecia dove nacque, essa escludeva dal “popolo” gli iloti, gli schiavi), si trascura comunque il fatto che, dentro a quel “popolo” indifferenziato, si agitano, con interessi opposti, classi diverse, e che dunque non tutti sono “eguali”, per condizioni di vita e di lavoro e dunque per possibilità di comprendere davvero le dinamiche del vivere collettivo e di far sentire la propria voce. Non solo: gli sviluppi stessi del dominio di classe borghese sull’arco dell’ultimo secolo hanno portato a svuotare del tutto quella rivendicazione squisitamente borghese di qualunque reale significato che non fosse un autentico specchietto per allodole: la trasformazione in senso imperialista della società del capitale ha prodotto modifiche definitive e profonde nel modo di gestire il potere, centralizzandolo, esasperandone i caratteri repressivi, svuotando di ogni realtà e significato qualunque contenitore in apparenza democratico (il parlamento, e da lì tutte le varie forme di pretesa “partecipazione” – fino all’assemblea di condominio!). Già nel 1917, sulla scorta di tutta l’analisi condotta da Marx ed Engels sulle forme di dominio del capitale, Lenin ricordava ai proletari di tutto il mondo che “la repubblica democratica è il migliore involucro possibile per il capitalismo”, che “per questo il capitale, dopo essersi impadronito […] di questo involucro – che è il migliore – fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” e infine che “il suffragio universale [è] uno strumento di dominio della borghesia” (Stato e rivoluzione, Cap. I).

Gli eventi successivi alla Seconda guerra mondiale non hanno fatto che confermare (e, anzi, consolidare) questa valutazione: il regime dittatoriale del capitale, passata l’esigenza di mostrarsi brutale ed esplicito nel proprio dominio, è tornato a forme democratiche, illudendo i proletari che, grazie a esse e attraverso esse, la loro condizione sarebbe migliorata senza posa, rendendo inutili rotture rivoluzionarie. Ma, nella sostanza, il dominio fascista del capitale nella sua fase imperialista è stato mantenuto, e anzi s’è ingigantito in maniera mostruosa: centralizzazione e concentrazione economico-finanziaria, preponderanza del potere esecutivo, militarizzazione diffusa e profonda della società, inserimento delle organizzazioni sindacali nel meccanismo statale, creazione di veri Leviatani (quegli stati-nazione totalitari su cui gli intellettuali borghesi spendono parole a non finire, senza poter trarre le dovute conseguenze!), ricorso ossessivo alle urne nella stessa misura in cui ogni processo democratico è stato svuotato di reale valore e significato, repressione di qualunque moto d’insofferenza della classe sfruttata, ricorso insistente alla retorica nazionalista e patriottica…

Lo stesso discorso vale per l’“appello allo Stato”, senza alcuna specificazione che lo caratterizzi. Esattamente come la “democrazia” è diventata unico valore supremo, così lo Stato – che per noi comunisti è il braccio armato del potere borghese, marito fedele di Madama Democrazia – è diventato un… organismo al di sopra delle parti, un buon papà severo quando è necessario, ma rassicurante nei momenti di crisi, cui rivolgersi per aiuto e salvezza. Ancora Lenin, e sempre sulla scorta delle analisi di Marx ed Engels, dimostrava invece che “lo Stato è l’organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra; è la creazione di un ‘ordine’ che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto con le classi” – e, quando non sia più possibile moderarlo, intervenendo con tutta la “sapienza” del proprio diritto e della propria magistratura (altro organismo di classe, e non neutro e imparziale come vorrebbero far credere borghesi e piccolo-borghesi) e con tutta la violenza dei propri organi di repressione legali e illegali.

Per tutte le schiere di piccolo-borghesi terrorizzati dalla crisi economica e dalla prospettiva molto reale di cadere (orrore!) nel “popolo dell’abisso”, “democrazia” e “Stato” sono le due àncore di salvezza, i miserabili e rappezzati salvagente che s’affannano a gonfiare ad ogni momento a forza di buoni sentimenti, luoghi comuni e retorica sotto prezzo, mostrando la propria caratteristica impossibilità di esprimere un progetto politico che non sia quello di mantenere in piedi questo stracotto e velenoso modo di produzione.

I proletari che, magari senza rendersene conto del tutto, assaggiano le delizie del dominio borghese in tutte le sue forme e attraverso tutti i suoi strumenti di oppressione, stiano bene in guardia: la loro parola d’ordine non deve essere “più democrazia e più Stato”, ma rifiuto di farsi illudere e imbrigliare dalla prima e lotta aperta al secondo.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2011)