Il 28 gennaio: di che sciopero si tratta?

Pubblicato: 2011-01-26 21:57:19

Uno sciopero di categoria: per che cosa? Per difendere i “diritti di sfruttamento precedenti”? per mantenere la lunghezza della vecchia catena ai piedi? Come possono essere invertite le condizioni d’isolamento e di solitudine a causa delle quali i lavoratori non vedono altra scelta che l’accettazione delle dure condizioni imposte per sopravvivere e preferiscono vivere alla catena, piuttosto che morire di fame? Come può essere diminuita la concorrenza tra operai, se non si presenta ai loro occhi una vera sfida in campo aperto, anche se non ci fosse una pur minima speranza di vittoria o di cedimento del nemico?

Uno sciopero che non rivendica niente quanto alle condizioni di vita e di lavoro nelle condizioni di produttività e intensità odierni non è uno sciopero: È UNA FARSA.

Perché?

Questa la situazione dopo il referendum Fiat:

aumento delle turnazioni (5 giorni lavorativi a otto ore a turno per 3 turni, oppure 6 giorni lavorativi a otto ore a turno per 3 turni, oppure 6 giorni lavorativi a dieci ore a turno per due turni: introducendo perciò il principio delle dieci ore più una di straordinario),

aumento degli straordinari (fino a 120 ore, cioè il triplo delle attuali 40, con l’obbligo di contrattare altre 80 ore per ogni lavoratore),

diminuzione delle pause (3 in totale per ciascun turno, fino a 10 minuti per la durata di 30 minuti, mentre oggi ammontano a 40 minuti).

Il sindacato che fa?

Si china ai piedi del signor amministratore delegato e implora lo Stato, il “comitato d’affari della borghesia nazionale”, illudendosi di portarlo dalla sua parte.

Chiede per giunta alla Confindustria un’alleanza impossibile.

Non promuove lotte ad oltranza e obiettivi consistenti rivolti a tutti i lavoratori, ai migranti, ai precari, ai disoccupati, senza differenziazioni di categorie, sesso, ecc.

Un’organizzazione di categoria che non denuncia di tradimento la sua stessa Federazione, la Cgil, la quale si rifiuta di dichiarare lo sciopero generale di tutte le categorie a tempo indeterminato, disposta a firmare (una firma tecnica!?) con il sangue operaio un infame contratto, è solo un sindacato di servi.

Un’organizzazione di categoria che firmerebbe per un aumento della produttività quali che siano le condizioni odierne, solo se fossero assicurati i privilegi dei gestori sindacali e la loro esistenza di garanti dell’oppressione e di pompieri a vita, non è un’organizzazione che merita di essere salvata, perché non è uno strumento della classe e per la classe. Il fatto che i proletari metalmeccanici non abbiano più fiducia nella loro organizzazione è evidente ed è reso più che giustificabile dalle migliaia di “omicidi in fabbrica”, dalla caccia ai fratelli immigrati, dai licenziamenti e dall’aumento dello sfruttamento, dalle forme di precariato ormai dominanti, dall’innalzamento dell’età pensionabile, dall’autodisciplina del diritto di sciopero e delle assemblee interne.

Che cos’altro pretenderebbe la Fiom? Quanti padroni bisogna servire? La “democrazia operaia” di cui tanto ci si riempie la bocca in quanto pura forma organizzativa non è fondamento di alcuna forza di classe: una forza, che non sia unitaria e compatta contro la borghesia e il suo Stato, diventa solo una scimmiottatura, illude ancora una volta gli operai lasciando intendere che un giorno Santa democrazia, all’interno o all’esterno dei luoghi di lavoro, potrà mutare la loro condizione di classe sfruttata.

E lo chiamano sciopero generale!!

Sciopero generale? Basta leggere le modalità con cui sarà organizzato per capire quale ennesima pagliacciata si prepara. Se non è sostenuto da una forza organizzata, pronta a sfidare lo stato d’allarme in cui è stata posta la società tutt’intera, finirà in un flop e il ripiegamento sarà assicurato. Il 28 gennaio, lo sciopero categoriale di otto ore articolato per regioni e con presidi nei luoghi di lavoro, invece di unire, servirà a disgregare e disperdere le forze della classe.

E cosa faranno le altre organizzazioni sindacali concorrenti (l’USB, lo Slai Cobas, etc.: non c’è limite alla frantumazione del sindacalismo di base!)? Si faranno gli scioperetti in famiglia al posto di partecipare allo sciopero generale o se ne dissoceranno? E poiché, per convenienza, per il timore di perdita di deleghe, forse parteciperanno, quali indicazioni daranno, quali metodi di lotta proporranno?

La sfida del Capitale non è roba per vecchie corporazioni minoritarie, non è un semplice conflitto di lavoro: è un ordine di battaglia. Ce ne vorranno di lotte, per uscire dalla solitudine tremenda in cui si dibatte la classe, dalla paura che incombe sulla vita dei proletari, dal servilismo in cui sono stati fatti piombare – senza futuro, senza la speranza di poter scavalcare il muro della società presente, senza un proprio Stato maggiore che diriga le operazioni della guerra di classe. Questo non sarà l’ultimo sciopero: ma deve diventare senso comune il baratro in cui è precipitata la classe operaia ad opera del tradimento sindacale e politico. Solo da qui si può ricominciare: con la lotta ci si libererà della vecchia merda.

 

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Partito Comunista Internazionale
(Supplemento al n°01/2011 de " Il programma Comunista")